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di Anna Petrozzi e Lorenzo Baldo - 25 aprile 2009
Un giorno a l’Aquila tra le vittime del terremoto e dell’incoscienza criminale. Sono orbite vuote che guardano in silente attesa.
I buchi, le finestre senza vetri ritagliate nelle carcasse di case
rimaste in piedi svelano l’attimo in cui la vita è stata sospesa.
Come specchi rotti restituiscono il punto interrogativo di chi le osserva sbigottito e si chiede: e ora che ne sarà di noi, della gente, delle famiglie, del lavoro, del futuro?
Dopo il pianto, il dolore, lo sgomento è il tempo del domani. Che incombe sui campi degli sfollati dell’Aquila e dei paesini circostanti più come le nubi nere e gonfie di pioggia che riempiono il cielo di questi giorni che come un sereno orizzonte.
Confusione, incertezza, informazioni poche e contrastanti, la speranza che i ruderi della propria casa siano ancora agibili e il brutto presentimento che non si potrà più tornare alle proprie origini.
L’animo umano è singolare al cospetto della morte e della paura, c’è chi si dice contento e non osa lamentarsi perché gli è sufficiente essere vivo e avere ancora attorno a se i propri cari, anche se ha atteso giorni e giorni prima di poter avere un riparo e i minimi servizi, e chi trattiene le lacrime a stento perché costretto in una tenda fredda in cui entra acqua da sopra e da sotto. C’è chi si arrabbia e chi sorride, chi saluta e chi siede in silenzio con la testa tra le mani. C’è tutta l’umanità qui, tutti noi, tutti quelli che potrebbero essere chiamati ad una prova difficile.
Non so più chi in questo giorno lunghissimo constata con luminosa semplicità che l’uomo non è più in sintonia con la terra e non si cura dei suoi messaggi.
Essì che la terra qui nel centro della nostra travagliata Italia di messaggi ne aveva lanciati parecchi negli ultimi mesi ed è rimasta inascoltata.
Essì che la terra ha parlato tante volte negli ultimi cent’anni, ma noi, niente, superbi.
Costruire, costruire, guadagnare, guadagnare, accumulare, accumulare… a qualunque costo, anche quello della vita del nostri figli, del nostro futuro, appunto.
E di chi è la responsabilità?
Forse un po’ di tutti. Distratti, compiacenti ed egoisti a sufficienza per non accorgersi che al sistema che ci governa o sono sfuggite le cose di mano, o è coscientemente criminale.
Costruire senza rispettare la legge, senza osservare le norme di sicurezza, non predisporre piani di evacuazione e campi di emergenza è una sottovalutazione o un delitto?
297 morti, contati finora oltre ad una cifra impressionante e ancora imprecisata di senza tetto, superficialità o omicidio?
Si può ricostruire, in fretta e furia, senza rispondere a queste domande?