Il magistrato: “Disinformazione sulla sentenza Dell’Utri, la Cassazione non ha negato i legami tra Berlusconi e la mafia”
“E’ una riforma di cui si parla da tempo. Separare le carriere erano dei punti fondamentali della P2. Ed era uno dei programmi del primo governo Berlusconi. E’ stata ripresa ciclicamente l’iniziativa di portare avanti questa riforma ma mai si era andati a fondo. Adesso con la procedura prevista per la revisione della riforma di legge costituzionale che il Parlamento ha approvato c’è la possibilità che il referendum confermativo, invece, nel caso di prevalenza del no non approvi questa riforma. E che quindi non entrerebbe in vigore, cosa che mi auguro”. Così Nino Di Matteo, sostituto procuratore nazionale antimafia, ha commentato l’approvazione della riforma sulla separazione delle carriere avvenuta ieri in Senato. Intervistato da Alessandro Di Battista, attivista di Schierarsi e reporter. “Dobbiamo partire da un dato di fatto: oggi il problema per i cittadini che in un modo o nell’altro vengono coinvolti nel processo penale come persone imputati, come indagati come persone offese, è quello della lentezza dei processi. Questa riforma costituzionale non sposta di un centimetro il problema. Non risolve quello che è il motivo principale della crisi della giustizia penale in Italia”, ha affermato Di Matteo. “Il processo non viene accelerato e non si prevede nulla che possa rendere più veloce l’accertamento della colpevolezza o dell’innocenza di un imputato”.
Separare le carriere dei pubblici ministeri da quelle dei giudici, ha spiegato il magistrato, “significa privare il pubblico ministero di quello che è stato sempre un cardine fondamentale della nostra attività cioè l’appartenenza alla stessa cultura della giurisdizione. L’appartenenza a un’unica carriera è stata fino ad ora una garanzia” e nei paesi in cui separazione delle carriere è in vigore, “i pubblici ministeri o immediatamente o dopo pochi anni sono stati sottoposti al controllo del ministro della Giustizia, cioè dell’esecutivo”. E questo, ne è convinto Di Matteo, “è lo scopo ultimo di chi ha ideato e ha portato avanti questa riforma. Si vuole un pubblico ministero sottoposto al controllo dell’esecutivo e questo falserebbe i principi fondamentali del nostro ordinamento democratico”. Un pericolo “che incombe non su noi pubblici ministeri ma sui cittadini”, precisa il il sostituto procuratore nazionale antimafia, “perché significa abbandonare e mettere in pericolo ogni garanzia di questi ultimi, soprattutto di quelli che appartengono alle minoranze o nemici del governo di turno”. Non solo. Nel tentativo di rappresentare la riforma “come una norma epocale”, in realtà non ci si accorge che questo slogan “stride con i dati”. “Già negli ultimi anni, dopo la riforma Castelli-Mastella, i magistrati che sono passati da un ruolo ad un altro rappresentano ogni anno lo 0.5% del totale dei magistrati italiani”. “Quindi, di fatto, già c’è una separazione delle funzioni”. “Noi - ha concluso Di Matteo sul punto - abbiamo il dovere di dire ai cittadini che questa riforma può rappresentare per voi un limite alla possibilità di tutelare i vostri diritti”.
Dell’Utri e la sentenza che deve cadere nell’oblio
Sempre sul tema della separazione delle carriere passata ieri in Senato, Di Matteo ha commentato le celebrazioni di membri di Forza Italia avvenute dopo la votazione all’esterno di Palazzo Madama nella quale è stato ripetuto che la riforma è dedicata alla memoria di Silvio Berlusconi. “Oggi viene dedicata una riforma Costituzionale a un soggetto che ha finanziato in maniera massiccia Cosa nostra, che utilizzava quel denaro, assieme a tanto altro che illecitamente accumulava, per portare avanti i suoi progetti stragisti e di eversione dell’ordine costituzionale. Questo è un dato di fatto”, ha dichiarato Di Matteo con fermezza. “Cosa è successo negli ultimi giorni? C’è stata una sentenza che ha riguardato non i reati ma l’eventuale applicazione della misura di prevenzione patrimoniale nei confronti di Marcello Dell’Utri” secondo la quale "non ci sono le prove che il patrimonio di Dell’Utri sia ricollegabile al suo essere concorrente esterno della mafia. Un ambito completamente diverso”. Eppure, “con un’opera di disinformazione scientifica invece è stato fatto credere che questa sentenza della Cassazione avesse azzerato l’altra sentenza, che invece è intangibile e nessuno ha potuto mettere in discussione, che è quella che attesta i rapporti tra Berlusconi, Dell’Utri e la mafia”. Per Di Matteo “è veramente preoccupante che una vicenda processuale completamente diversa, che ha riguardato una misura di prevenzione, sia stata utilizzata per cercare di confondere le acque e di far credere ai cittadini che non c’è stato mai questo rapporto. Questo mi preoccupa come cittadino, perché non tutti possono avere sempre contezza e memoria di quello che è accaduto nelle aule di giustizia negli ultimi anni”. L’alimentare questo clima di confusione porta a uno scopo fondamentale, secondo Di Matteo, “l’oblio di tutto quello che è accaduto di inquietante della storia politica di questo paese”. “L’oblio - ha aggiunto - si può meglio raggiungere anche attraverso la confusione e la falsificazione di dati che inducono il cittadino a non capirne più niente. E a ritenere che in fondo nemmeno quelle volte in cui la magistratura è riuscita ad accertare con prove, che hanno resistito a tre gradi di giudizio, determinati comportamenti sia stato accertato nulla”. Un caso singolare di questo atteggiamento della classe dirigente è la recente dichiarazione del ministro Carlo Nordio sul giallo di Garlasco. Il Guardasigilli, ha ricordato Di Matteo, “ha parlato del fatto che a un certo punto dopo 20-25 anni rispetto a certi episodi forse bisognerebbe rassegnarsi all’oblio. Io spero che questo concetto non valga per altre situazioni, altre indagini o processi come per esempio le stragi del 1992-93. Mi è venuta questa riflessione - ha spiegato il magistrato - perché la riflessione che è stata fatta nei giorni scorsi non è casuale. Bisogna far dimenticare alle persone un dato oggettivo: che un partito attualmente membro della maggioranza governativa è stato fondato anche da un condannato per mafia, Marcello Dell’Utri, e che il suo padre spirituale e il suo leader è un soggetto che ha stipulato e rispettato dei patti con la mafia e che ha finanziato la mafia”.
Si accertino i crimini di Israele a Gaza
A proposito di oblio, Di Matteo, che prima di tanti ha denunciato lo sterminio del popolo palestinese a Gaza definendolo come “genocidio”, ha denunciato il muro di silenzio su ciò che continua ad avvenire nella Striscia, nonostante “una tregua probabilmente finta o labile”. “Non si parla più di quello che sta accadendo, dei morti che continuano ad esserci. E soprattutto, da giurista, è veramente sconcertante il fatto che la questione genocidio sia scomparsa anche dai radar di quelle istituzioni che dovrebbero anche, ammesso e non concesso che il genocidio sia cessato, occuparsi a livello di giustizia penale internazionale di quello che è accaduto”, ha commentato. “Non si parla più di responsabilità penali. E questo è veramente triste e preoccupante. Seppur in ritardo con le manifestazioni di piazza in tutto il mondo c’era stato un risveglio etico, sociale e culturale che fa ben sperare ma una tregua non può far cadere nel dimenticatoio quello che è accaduto e comportamenti che devono essere accertati come criminali e contrari al diritto internazionale e a ogni principio di umanità”. Nel frattempo, ha continuato il magistrato, “noi abbiamo continuato a fornire armi ad Israele mentre Israele le utilizzava non in una guerra contro un altro esercito ma per uccidere civili”. Nino Di Matteo ha poi ricalcato la riflessione sul piano della giustizia internazionale. “Da uomo di diritto vorrei capire se il diritto penale internazionale è stato ripetutamente violato e se paesi evoluti, e che dicono di fare del diritto il proprio faro, abbiano fatto qualcosa per evitare queste violazioni del diritto e se ancora l’Italia continua ad essere un paese che osservi la propria Costituzione che prevede all’Art. 11 il ripudio della guerra”. In tal senso, ha concluso, “rimango perplesso di fronte a certe affermazioni, anche di esponenti del nostro governo, che dicono che il diritto internazionale conta fino a un certo punto”.
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