"Vogliono anestetizzarci"
Nessun passo indietro, ma dieci in avanti, nonostante le minacce, le querele e gli attentati. Sono le parole di stima e incoraggiamento che Saverio Lodato ha dedicato ieri sera a Sigfrido Ranucci, prima dell’inizio della presentazione dell’ultimo libro del giornalista e scrittore “Stragi d’Italia” (ed. Fuoriscena), al Teatro Garbatella di Roma.
“Ci tenevo personalmente a ringraziare per la sua presenza il collega Ranucci, che è andato ad aggiungersi alla lista, ormai sempre più interminabile in Italia, dei giornalisti minacciati, scortati, denunciati, inquisiti, querelati”, ha affermato Lodato. “Ranucci è quello che è andato più vicino alla peggior fine che può capitare a un giornalista investigativo, e quindi noi siamo qui questa sera contenti del fatto che è ancora presente. Il problema era capire, dopo l'attentato, cosa sarebbe stato di Ranucci, cosa sarebbe diventato il suo lavoro. Bene - ha affermato - io sono stato tra quei tanti in Italia che hanno avuto l'occasione, domenica scorsa, di vedere la puntata di Report, e devo dirvi che Ranucci non ha fatto un passo indietro. Ne ha fatti altri dieci in avanti. E quindi io sono contento e felice che lui sia venuto qui tra di noi. Sono orgoglioso di appartenere a una categoria, ahimè, molto negletta e spesso desolata, della quale però fanno parte anche grandi eccellenze”.
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Quindi, sul palco del teatro, davanti al pubblico in sala, è salito il conduttore di Report. “Grazie a Saverio, che hai avuto una delicatezza tale di venire proprio nei minuti successivi all'attentato a trovarmi. Grazie a Luigi Li Gotti, a Salvatore Borsellino, ai magistrati Roberto Scarpinato, Nino Di Matteo, ai colleghi come Giorgio Bongiovanni, perché sono tenaci nel non mollare la pista”, ha esordito Ranucci. “Siamo in un'epoca dove, paradossalmente, nel massimo della comunicazione viviamo il massimo della mistificazione: non abbiamo più la possibilità di avere fonti autorevoli”, ha continuato Ranucci, spiegando che la maggior parte delle persone “non ha più fiducia nella comunicazione, nei giornalisti, nei colleghi”, poiché “c'è un'omologazione dell'informazione” e, in particolare, “c’è una politicizzazione degli editori”.
In questo contesto, ha ricordato la cosiddetta “legge Renzi”, approvata nel 2015, che ha reso i servizi pubblici, come la Rai, più suscettibili all’influenza diretta del governo. “Lo scopo è anestetizzare il giornalismo d’inchiesta". Al contempo, “c’è un importante network televisivo privato, Mediaset, che è in mano alla famiglia che è proprietaria anche di un partito di maggioranza, e quindi si capisce da soli, in base a questi dati, quali sono i rischi dell'informazione”, ha continuato il giornalista, che ha infine evocato “quelle leggi dirette come una scure censoria contro l’obiettivo di rendere i cittadini informati sui fatti”. E ha concluso: “Noi questo dobbiamo impedirlo. Per questo la Costituzione tutela l'informazione: l'articolo 21 garantisce di poter esprimere liberamente un pensiero e, di conseguenza, il vostro diritto di essere informati”.
Foto © Paolo Bassani
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