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Scarpinato: “In corso una guerra contro la Costituzione usando la leva delle riforme”

Combattere contro l’oblio della verità voluto dal governo Meloni, dai nostalgici delle bombe, da quelle forze politiche che vogliono la cancellazione della storia.
Questo è lo scopo del libro “Stragi d’Italia. Il caso Almasri e tutto quello che Giorgia Meloni e il governo non vogliono ammettere” (ed. Fuoriscena) scritto a quattro mani dallo scrittore e giornalista con l’avvocato Luigi Li Gotti, presentato ieri presso il Teatro Garbatella di Roma.





All’evento organizzato da ANTIMAFIADuemila e moderato dal direttore di questo giornale Giorgio Bongiovanni, assieme agli autori - introdotti dal musicista Nicola Alesini - ospiti anche Giuseppe Conte, presidente del Movimento 5 Stelle; Salvatore Borsellino, fratello del giudice Paolo Borsellino e leader del Movimento “Agende Rosse”; Roberto Scarpinato, già procuratore generale di Palermo, oggi senatore M5S e membro della Commissione parlamentare antimafia. Presenti fra il pubblico anche il sostituto procuratore nazionale antimafia Nino Di Matteo e Sigfrido Ranucci, giornalista di Report, vittime di minacce e del recente attentato.


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Foto © ACFB


Il presidente Conte ha parlato di un “intreccio torbido, perverso, tra terroristi neri, servizi deviati, piduisti, e colletti bianchi”: sono mondi diversi ma che nella storia sono arrivati a “proteggersi a vicenda” nell’attuare il loro attacco contro la costituzione repubblicana. L’Italia, ha detto Conte, “non è più la culla del diritto perché i mestieranti di regime strisciano ai piedi di un potere compromesso”. Un potere che vuole assoggettare il parlamento e la magistratura con le riforme del premierato e della separazione delle carriere: “La legge costituzionale che adesso stanno approvando sulla separazione delle carriere non serve a nulla, lo dicono anche loro” e il reale obbiettivo è “allontanare il pubblico ministero della giurisdizione e una volta allontanato potrà essere messo più facilmente sotto il tacco del governo. Questa è la realtà: ma i nemici non sono solo i magistrati autonomi e indipendenti che vengono insultati se si permettono di fare le indagini rispetto al potere costituito, sono anche i giornalisti, i giornalisti con la schiena dritta e come Saverio Lodato che è qui a fianco a me e come Sigfrido Ranucci” ha detto l’ex presidente del Consiglio.
Sono tutte categorie che hanno una cosa in comune: non permettono a certi fatti di essere gettati nell’oblio, nel buco nero della storia.
Luigi Li Gotti ne sa qualcosa: parlando davanti ad una sala piena ha ricordato le parole del Ministro della Giustizia Carlo Nordio intervenuto al Salone della Giustizia intervistato da Alessandro Sallusti: “Ad un certo punto bisognerebbe avere il coraggio di arrendersi e di dire che il tempo non solo è padre di verità, ma è anche padre di oblio. Il tempo è padre di oblio” ha detto Nordio.



A chi sta parlando il Ministro della Giustizia? Chi sollecita l'oblio? Su quali indagini vuole l'oblio? Ci sono nuove indagini che riguardano fatti lontani, è stato arrestato un prefetto avete sentito un commento su questa vicenda da parte di un esponente di destra cioè di Piersanti Mattarella? Avete sentito su questo argomento una parola che fosse una da parte di elementi di destra? E perché non parlano?” si è chiesto Li Gotti.
Perché vogliono “l’oblio, ma noi non glielo consentiremo” ha detto ricordando la batteria politica messa in campo per adempiere a questa opera di ‘pulizia’ della memoria: l’attuale presidente della commissione antimafia, Chiara Colosimo, è stata mandata lì per fare questo. È adeguata al compito che deve svolgere, ossia l'oblio”.
Ma perché tutto questo?
C’è una trama nera che è quella che questo governo vuole nascondere” ha detto Saverio Lodato ricostruendo la sua esperienza da giovane cronista del giornale ‘L’Ora’ a Palermo. Erano i tempi dell’omicidio di Piersanti Mattarella, dell’Attentato all’Addaura, delle stragi e dei morti ammazzati per strada.


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Ma “andando avanti negli anni, di che cosa ci siamo accorti? Che cadeva un velo tra noi, i mafiosi che avevamo di fronte, e quello che stava dietro i mafiosi. Era dietro i mafiosi che stava lo Stato. Lo Stato non stava alle nostre spalle. Era esattamente una prospettiva capovolta. E da qui sono nate poi le grandi stagioni dei veleni, dei depistaggi, degli attentati in cui sono stati assassinati i magistrati. Perché chiediamoci una cosa molto semplice. Se fosse stata solo mafia, la mafia sarebbe stata capace di fare gli attentati. Ma la mafia non sarebbe riuscita a spaccare i palazzi di giustizia, non sarebbe riuscita a infiltrarsi dentro la magistratura, perché gli ordini venivano dall’Alto”.
E chi sconosceva gli artefici di questi ordini?
Di quante verità verremmo a conoscenza “se parlassero i Graviano, se parlassero i Bagarella, se parlassero i Bellini”. Oppure se parlasse chi ha fatto sparire il guanto dei killer di Piersanti Mattarellaavremmo una chiave che aprirebbe tante porte. Io più che il mafioso pentito oggi, e ne abbiamo avuti tanti mafiosi pentiti, vorrei un funzionario di stato, anche un piccolo prefetto di polizia che vuotasse il sacco. Ma loro sanno che sono i primi che verrebbero fatti fuori perché lì scatterebbe il diritto all'oblio, quello vero, quello pesante”.


  

Conte: Fratelli d’Italia utilizza le istituzioni come strumento di lotta politica

Chiara Colosimo, fedelissima di Meloni, è stata collocata al vertice della commissione antimafia per “ricostruire la loro verità di comodo. La strage di via D'Amelio un filone d'indagine suggestivamente approntato dai consulenti Mario Mori e De Donno” ha detto Conte ricordando che si tratta di una versione che “dà dignità a quella che fu la posizione di Vito Ciancimino, l'ex sindaco di Palermo, legato ai Corleonesi. E rispetto a questo brogliaccio già scritto, voi capite che ritrovarsi Roberto Scarpinato in commissione” provoca delle reazioni.
Ed è a questo punto che “in modo assolutamente anticostituzionale, antidemocratico, arrivano a confezionare una norma sul conflitto di interessi. Pensate. La norma sul conflitto di interessi che va a modificare la legge istitutiva della commissione antimafia e dice testualmente che se ci sono dei commissari in conflitto di interessi questi commissari possono essere allontanati, questo significa ledere le prerogative costituzionali di un parlamentare che vengono allontanati e come vengono allontanati? Chi ha certo il conflitto di interessi? All'interno della commissione basta un colpo un voto di maggioranza senza possibilità di appello ora non bisogna avere una grande educazione giuridica per sapere cos'è un conflitto di interessi conflitto di interessi lo insegniamo anche al primo anno di Università ma in quell'incarico pubblico puoi essere portatore di un conflitto, di un interesse personale e quindi che va in conflitto per esempio hai un'azienda che ti riguarda, hai un parente eccetera e quindi svolgendo quell'incarico specialmente puoi andare in conflitto. Il conflitto è anche solo potenziale. Quindi c'è il rischio che tu non faccia l'interesse pubblico ma un tornaconto personale. Chiaro?”


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“Nello svolgimento del mandato
- ha continuato l’ex premier - ora ditemi voi quale può essere il conflitto per dei magistrati Roberto Scarpinato e De Raho che hanno applicato la legge, hanno fatto il loro dovere in decenni di onorato servizio e allora diventa una cosa inaccettabile perché - poi l'abbiamo detto alla presidente Colosimo e lo ha ricordato anche Borsellino - è venuta fuori una foto in cui aveva le mani intrecciate, allacciate con Luigi Ciavardini parliamo di un ex terrorista nero condannato per la strage di Bologna”.
Il disegno di legge per estromettere Scarpinato e De Raho, ha ricordato Li Gotti, “l’hanno messo da parte. Hanno cercato di parcheggiarlo. Lo ripresenteranno, cioè daranno impulso, oppure verrà lasciato cadere per la vergogna”.
L’avvocato Luigi Li Gotti ha parlato anche della sentenza definitiva sulla Trattativa Stato - Mafia che ha assolto gli imputati per “non aver commesso il fatto. La formula per non aver commesso il fatto significa che il fatto c'è stato, ma non l'hanno commesso gli imputati”. Ma quindi “chi l'ha commesso? Voglio dire non si può chiudere una storia con questa sentenza che dice che Mori e Subranni devono essere assolti perché non era commesso, non è stato commesso il fatto, noi vogliamo sapere allora chi sono quelli che hanno commesso questo fatto o no, o dobbiamo essere presi in giro in questo modo”.


  

Scarpinato: i depistaggi sono il marchio della criminalità dei potenti

È in corso “una guerra a pezzi che viene condotta muovendo contemporaneamente tre leve: la leva delle riforme costituzionali — quella del premierato e della riforma della magistratura per sottoporla al potere politico —, la leva delle leggi ordinarie ma di sostanza costituzionale, perché incidono su diritti costituzionali dei cittadini, come il pacchetto sicurezza o una legge sul conflitto di interessi fatta per limitare il mandato parlamentare di esponenti delle minoranze, e le concrete prassi di potere, come l'abuso senza precedenti dei decreti legge” ha detto Scarpinato facendo una disamina chirurgica sulla storia del nostro Paese, rispetto al quale oggi assistiamo ad una “narrativa di regime” per “tentare di convincerci che giustizia è stata fatta”, “che le stragi sono stati solo dei mafiosi, come Riina, come Graviano, e sono stati tutti condannati”.
Questa è la storia che oggi viene riaffermata e imposta violentemente dal governo attuale, ma la realtà è che i “politici e complici eccellenti sono rimasti impuniti e si sono riciclati con i loro seguaci nel nuovo ordine politico attuale”, ha denunciato l’ex magistrato, membro della Commissione Parlamentare Antimafia, ricordando gli attimi successivi all’attentato dell’Addaura, quando “Giovanni Falcone, tra tanti giornalisti, chiamò Saverio Lodato” e gli trasmise che in quell’azione avevano partecipato anche “menti raffinatissime”.


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Scarpinato ha poi evidenziato che “la nascita della Repubblica è stata tenuta a battesimo da una strage politico-mafiosa, quella del maggio 1947 di Portella della Ginestra, la strage di Piazza Fontana a Milano nel 69’, di Gioia Tauro nel 70’, di Peteano nel 72’, della questura di Milano nel 73’, di Piazza della Loggia a Brescia nel 74’, del treno Italicus nel 74’, la strage della stazione di Bologna nel 1980, la strage del 904 e dell'84”, fino alle “stragi politico mafiose del '92-'93”.
Rispetto alle stragi del '92-'93 il senatore ha rievocato gli elementi inoppugnabili che dimostrano come non si sia trattato “solo di stragi di mafia”.
Il primo fattore sono le dichiarazioni convergenti di decine di collaboratori a giustizia, i quali ci hanno detto che le stragi furono inseguite dai mafiosi, ma nei tempi, nei modi e in obiettivi che sono stati scelti da menti raffinate, da specialisti del linguaggio delle bombe in modo da finalizzare le stragi e conseguire non soltanto gli interessi della mafia ma anche interessi politici superiori, la destabilizzazione dei partiti della prima repubblica per creare le condizioni per l'ingresso, per la discesa in campo di un nuovo partito politico. Quando questo partito politico è sceso in campo le stragi sono cessate”.
L’ex magistrato ha poi fatto un excursus storico, citando la recente sentenza della Corte d'Assise di Bologna, depositata il 5 aprile 2023, che ha ritenuto accertato come la strage di Bologna del 2 agosto 1980 sia stata eseguita su mandato di Licio Gelli e fu organizzata da Federico Umberto d'Amato, Capo dell'Ufficio Affari Riservati del ministero dell'Interno e referente della CIA in Italia, “cioè lo Stato”.



Paolo Bellini, “uomo di avanguardia nazionale, collegato ai servizi fu uno degli esecutori materiali della strage”, ha continuato Scarpinato, evidenziando come quello stesso personaggio “nel 1991-'92 viene 35 volte in Sicilia e, come è stato accertato con sentenza definitiva, suggerisce ai mafiosi che avevano già eseguito la strage di Capaci di alzare il livello di destabilizzazione facendo degli attentati ai beni artistici nazionali. Chi è che incaricò Paolo Bellini di farsi portatore di questo massaggio ai mafiosi?”, si chiede il senatore. Nonostante le evidenze – ha proseguito – “(La Commissione parlamentare Antimafia -ndr) ha deciso che non ha altro interesse per la strage di Capaci, per la strage di Firenze, per la strage di Milano, per i depistaggi, sono tutti argomenti a cui non è interessata, ha interesse soltanto per la strage di Via d'Amelio e in particolare soltanto per una pista l'indagine sulla strage di Via d'Amelio che è indicata dal generale Mario Mori, attualmente integrato a Firenze, per concorso alle stragi del 1993”.
“Il secondo fattore sono i depistaggi, il marchio di fabbrica della criminalità dei potenti, perché sono finalizzati a occultare la responsabilità dei mandanti e dei complici eccellenti”, ha proseguito Scarpinato, ricordando i casi del finto pentito Vincenzo Scarantino e Maurizio Avola.
L’elemento più sconcertante denunciato dall’ex magistrato – rivelatore della matrice sinistra di occultamento della verità oggi in opera – è la complicità di questa stagione politica con quegli elementi dell’estremismo nero coinvolti nella strategia di sangue degli ultimi decenni. “Meloni rivendica la sua continuità culturale con Almirante”, colui che “ha istigato alla lotta fisica, allo scontro fisico, ancora un convegno del 1972, ed è stato implicato nella strage di Peteano del 1982, indica come uno dei suoi padri spirituali Pino Rauti, fondatore di Ordine Nuovo, riconosciuto come uno degli strateghi della strategia della tensione”.


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E ancora: “il Presidente del Senato, La Russa, ha partecipato nel 2017, mi pare, al funerale di Nico Azzi. Un terrorista di destra che è salito con una carica di tritolo su un treno”.
Ecco – conclude Scarpinato – queste forze politiche sono eredi di quelle forze politiche che hanno partecipato a quella stagione di guerra contro la Costituzione che vi ho detto, sono utilizzatori finali delle stragi del '92 e del '93 e stanno conducendo oggi una guerra a pezzi alla Costituzione”. L’ex magistrato ha ricordato che “i politici e complici eccellenti sono rimasti impuniti e si sono riciclati nel nuovo ordine politico attuale.”
La nascita della Repubblica è stata tenuta a battesimo da una strage politico-mafiosa” e l’Italia è stata segnata da “stragi politico-mafiose fino al '92-'93” dietro cui c’erano “menti raffinatissime”. “Le dichiarazioni di decine di collaboratori ci dicono che le stragi furono inseguite dai mafiosi ma scelte da specialisti del linguaggio delle bombe per interessi politici superiori.”
Ha denunciato che “il marchio di fabbrica della criminalità dei potenti sono i depistaggi, volti a occultare i mandanti eccellenti.”
La sentenza sulla strage di Bologna prova il coinvolgimento di apparati dello Stato”, ha ricordato, evidenziando che “la politica di oggi è complice con l’estremismo nero coinvolto nelle strategie di sangue” e che “queste forze politiche sono utilizzatori finali delle stragi del '92 e '93 e stanno conducendo una guerra a pezzi alla Costituzione”.


  

Ranucci: viviamo in un’epoca di mistificazione e politicizzazione degli editori

La serata è stata introdotta da un contributo del giornalista Sigfrido Ranucci, che ha colto l’occasione per rendere un omaggio all’evento in difesa dell’attività del giornalismo libero dalle catene di un potere intento ad occultare la verità: “Grazie a Saverio, a Li Gotti, a Salvatore, ai magistrati Scarpinato, Nino Di Matteo, ai colleghi come Giorgio, perché sono tenaci nel non mollare la pista”, ha esordito Ranucci, recentemente vittima di un grave attentato con una bomba artigianale da quasi un chilo di esplosivo, in una deflagrazione che ha distrutto la sua automobile e quella di sua figlia, potenzialmente fatale solo pochi minuti prima. “Siamo in un'epoca dove paradossalmente nel massimo della comunicazione viviamo il massimo della mistificazione, non abbiamo più la possibilità di avere fonti autorevoli”, continua Ranucci, spiegando che la maggior parte delle persone “non ha più fiducia nella comunicazione, nei giornalisti, nei colleghi”, poiché “c'è un'omologazione dell'informazione” e, in particolare, “c’è una politicizzazione degli editori”.
In questo contesto ha ricordato la “legge Renzi” approvata nel 2015, che ha reso i servizi pubblici come la Rai più suscettibili all’influenza diretta del governo.


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Al contempo, “c’è un importante network televisivo privato, Mediaset, che è in mano alla famiglia che è proprietaria anche di un partito di maggioranza e quindi si capisce da soli in base a questi dati quali sono i rischi dell'informazione”, continua il giornalista che ha infine evocato “quelle leggi dirette come una scure censoria contro l’obiettivo di rendere i cittadini informati sui fatti”. La legge che vieta di mettere i nomi che sono all'interno dell'ordinanza di custodia cautelare perché per la presunzione di innocenza si evoca il segreto… Io l'ho già detto in altri contesti, il segreto è solo nella testa di chi ha fatto queste leggi”, ha spiegato Ranucci, denunciando come “quel segreto, se l'arresto riguarda uno che amministra la cosa pubblica”, “può diventare uno strumento di ricatto per (costringere l’accusato – ndr) a scelte che danneggiano la collettività”.
E ha concluso: “Noi questo dobbiamo impedirlo, per questo la Costituzione tutela l'informazione, l'articolo 21 garantisce di poter esprimere liberamente un pensiero e, di conseguenza, il vostro diritto di essere informati”.


  

Salvatore Borsellino: mio fratello è morto perché aveva scoperto gli assassini di Falcone

Paolo è morto perché stava cercando disperatamente di arrivare agli assassini di Giovanni Falcone, e io sono convinto che negli ultimi giorni della sua vita lui l'avesse trovato”. Così è intervenuto Salvatore Borsellino all’inizio del dibattito, ricordando che suo fratello, Paolo Borsellino, nel suo ultimo discorso pubblico del 25 giugno 1992, chiarì di essere testimone di fatti che avrebbe dovuto e voluto dichiarare davanti all’autorità giudiziaria. Ma la procura di Caltanissetta non lo chiamò mai. Nei giorni di fine giugno, davanti ai magistrati Massimo Russo e Alessandra Camassa, Borsellino disse in lacrime che “un amico [lo aveva] tradito”. Secondo Salvatore, quell’amico a cui si riferiva il fratello “è una persona che aveva militato con lui nella destra e che poi aveva preso la strada della destra eversiva, come hanno preso tanti i suoi compagni”, ha spiegato Salvatore. “Quei compagni verso i quali la Presidente del sistema di potere che oggi ci governa ha esibito i suoi atteggiamenti amichevoli”.


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Nonostante le delusioni, i depistaggi e i vergognosi silenzi di Stato, Salvatore non ha mai arretrato di un passo nel percorso di ricerca della verità e della giustizia, ma nel corso della conferenza ha ammesso di non aver “mai attraversato un periodo così nero”. “L'elemento positivo è il fatto che ho ricevuto una comunicazione di indagini sul mio conto per diffamazione aggravata, per avere diffamato qualcuno al congresso di Villa Trabia, insieme a tante persone che oggi sono presenti anche qua”. Quel qualcuno “non può che essere quel colonnello, generale”, il quale “per me è soltanto un inetto, oltre che il responsabile di tante cose che sono successe nel nostro Paese”. Salvatore ha ricordato le dichiarazioni che aveva rilasciato lo scorso luglio a Palermo, dove lo stesso aveva denunciato la sparizione dell’Agenda rossa, il primo depistaggio della strage di Via d’Amelio: “A mio avviso, l’agenda rossa, della quale si è perduta ogni traccia, piuttosto che andarla a cercare a casa di La Barbera, quando muore La Barbera, poi a casa di Tinebra, quando muore Tinebra, forse sarebbe meglio andarla a cercare negli uffici o nella casa di Mori. Perché quell'agenda sicuramente è stata sottratta dai servizi segreti e Mori, avendo ricoperto i ruoli che ha ricoperto nei servizi segreti, non può non sapere dove si trova quell'agenda e forse addirittura utilizzarla per quello che gli permette di navigare a livelli così alti come consulente della Commissione antimafia”.



Salvatore si è detto “contento di questa querela”, perché “finalmente potremo andare davanti a un giudice a parlare dell'agenda rossa, per la quale non c'è stato mai un processo. Il capitano Arcangioli, che è stato fotografato mentre si allontanava con la borsa di Paolo in mano, è stato assolto in udienza preliminare, senza neanche un processo. E poi non c'è stato mai un processo che riguardasse proprio la sparizione dell'agenda rossa, nonostante nel Borsellino quater la Corte aveva raccomandato di approfondire le indagini sulla sparizione di questa agenda. Ebbene, finalmente potremmo andare in un'aula di giustizia a parlare della sparizione di quell'agenda insieme con il mio avvocato e di questo vi assicuro sono contento, anche se sarò io ad essere imputato”.

Fotogallery © Paolo Bassani

Foto sala © ACFB

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