A Cordenons la presentazione del libro del magistrato “Il biennio di sangue". Ospiti Di Matteo, Scarpinato, Repici, Bongiovanni
Le stragi degli anni ’90, le riforme della giustizia, il tema dei collaboratori di giustizia e, infine, il governo Meloni, con le sue inadempienze nella ricerca di verità e giustizia sul biennio stragista ’92-’94. Di tutto questo - e di molto altro - si è discusso ieri sera presso l'Auditorium Brascuglia del Centro Culturale Aldo Moro di Cordenons (PN), in occasione della presentazione del nuovo libro del magistrato Luca Tescaroli “Il biennio di sangue. 1993–94. Le menti e gli esecutori materiali degli attentati di Cosa nostra nel continente”, edito da PaperFIRST. Assieme al procuratore di Prato, l’incontro, organizzato da ANTIMAFIADuemila e dall’Associazione culturale il Sicomoro APS - con la partecipazione artistica del collettivo Casa dei Giovani del Sole, ha ospitato anche l’ex procuratore generale di Palermo (oggi senatore M5S) Roberto Scarpinato, il sostituto procuratore nazionale antimafia Nino Di Matteo (con un intervento in video), l’avvocato Fabio Repici e il direttore di ANTIMAFIADuemila Giorgio Bongiovanni. Moderatore Marco Grilli.
Giorgio Bongiovanni, Luca Tescaroli, Marco Grilli e Fabio Repici
Tescaroli: “In Italia si è verificata una convivenza tra Stato e realtà mafiose”
Ad aprire la serata è l’autore del libro “Biennio di sangue”. Il procuratore Tescaroli ha eseguito un’attenta e puntuale disamina di tutto il contesto stragista di Cosa nostra dei primi anni ’90. Il magistrato ha ricordato le finalità politiche di quelle bombe al patrimonio artistico e culturale del nostro Paese che hanno provocato 12 vittime e oltre 80 feriti: quindi la chiusura delle supercarceri di Pianosa e Asinara, la neutralizzazione del 41bis, il contenimento della legge sui pentiti e sulla confisca dei beni. Tutti strumenti chiave in mano allo Stato e che la strategia stragista mafiosa è riuscita ad eliminare o depotenziare negli anni. “Questa sera abbiamo parlato delle stragi del 93, del 94, di quelle che si sono verificate l'anno precedente. Conosciamo i nomi di molti responsabili, conosciamo le ragioni, molte delle ragioni di quell’agire e sono risultati importanti che non vanno sottovalutati”, ha ricordato Tescaroli. “Utilizzando una metafora, immaginiamo un bicchiere. Quel bicchiere è quasi pieno, ne manca una porzione”, ha commentato. Quella parte vuota è rappresentata dai volti dei mandanti esterni delle stragi e dai pezzi di verità mancanti su altri delitti eccellenti e su altre stragi, “come l’omicidio di Piersanti Mattarella o la strage dell’Italicus”, ha affermato Tescaroli. “Se svolgiamo un'analisi retrospettiva nel passato più remoto molte sono le stragi ancora senza un perché, senza un responsabile, così come gli omicidi eccellenti”. “Senza verità completa non c'è giustizia”, ha commentato il procuratore.

“Quindi occorre continuare a lavorare, per trovare le ulteriori responsabilità”. Al pubblico in sala l’autore del libro ha spiegato che “sono oltre 150 anni che nel nostro Paese esiste una convivenza tra lo Stato e plurime realtà mafiose”. Come è stato possibile? “Secondo una logica manichea che contrappone il bene al male e se il bene è rappresentato dallo Stato e il male dagli appartenenti alle strutture mafiose è inconcepibile che questa convivenza vi sia nonostante la repressione e vi sia nonostante lo Stato disponga di molti più mezzi rispetto alle strutture mafiose. Allora perché questa convivenza?”, si è domandato il magistrato. “La risposta non è semplice. Due punti evidenti. Il primo è che la realtà dei processi celebrati ci ha dimostrato che la linea di discrimine tra il bene e il male, cioè tra lo Stato e le strutture mafiose, non è così netta. Vi sono anelli di collegamento che consentono alle strutture mafiose di raggiungere risultati qualitativamente più elevati rispetto a quelli che potrebbero ottenere come mere congreghe di criminali, uccidendo, trafficando in droga, in armi, incendiando, estorcendo il pizzo alla gente. E quindi - ha aggiunto - bisogna cercare di concentrare gli sforzi per recidere questo anello di collegamento. Impedire che ciò esista. E l'altro dato è quello relativo al fatto che le strutture mafiose del nostro Paese, che sono poliedriche, contano sul consenso sociale, contano sulla popolazione, sulla paura che riescono a erogare, sulla indifferenza”. Oggi, secondo Luca Tescaroli, “occorre uno scatto d'orgoglio da parte di tutti i cittadini, da parte degli esponenti delle istituzioni, perché il problema della mafia venga posto in vetta alle priorità di ogni rappresentante delle istituzioni e i cittadini lo devono pretendere. Perché ci deve essere una sollevazione dinnanzi all'agire e alla presenza degli esponenti mafiosi che molte volte sono conosciuti dalla popolazione perché i mafiosi non vogliono apparire e entrare nella conoscenza collettiva e non si vuole che vengano dipinte e descritte le loro gesta ma sanno di essere riconosciuti nel territorio in cui vivono e quindi bisogna parlarne di questo problema, bisogna dire chi sono i mafiosi, bisogna evidenziare i rapporti che i mafiosi hanno nel nostro contesto in cui viviamo”. In questo sforzo, fondamentale è il ruolo dell’informazione e di “incontri come questo”.
“D’altra parte, si tratta pur sempre di fenomeni umani, di aggregazioni umane, di relazioni umane che, come tali, sono mutevoli. Giovanni Falcone diceva che la mafia è un fattore umano, ha avuto un inizio e avrà una fine. Come non condividere questa considerazione?”, ha commentato il magistrato. “E’ quello che noi tutti vorremmo ma perché ciò accada, lo vogliamo davvero volere e attuare tutti attraverso l'esercizio di tutte le prerogative di cui i cittadini dispongono. E sono persuaso - ha concluso -, perché voglio essere ottimista, che le cose possono migliorare e cambiare e quell'obiettivo un giorno lo potremo davvero raggiungere”.
Di Matteo: “Libro di Tescaroli cristalizza verità sulle stragi”
“Sono i processi, le indagini non più segrete, è quanto emerso nella documentazione acquisita, negli esami testimoniali, negli interrogatori resi nei vari dibattimenti che ci fa ritenere assolutamente probabile che Cosa nostra non agì da sola. E sono questi gli elementi sui quali Luca Tescaroli fonda e concentra l’attenzione nell’ultimo capitolo del suo libro. Un libro importante perché intanto sintetizza in maniera rigorosa e puntuale quanto è stato fatto e i risultati conseguiti nell’affermare la responsabilità penale di mandanti, organizzatori ed esecutori interni a Cosa nostra”. È un giudizio molto positivo quello di Nino Di Matteo, sostituto procuratore alla Dna, rispetto al libro presentato nel corso del convegno.
Intervenuto in video, Di Matteo ha lanciato un monito alla classe dirigente: “È dovere dello Stato a tutti i livelli quello di approfondire gli argomenti rimasti ancora in ombra. Io non so se in questo momento c’è la volontà politica di farlo”.
Da un punto di vista giudiziario, ha spiegato, “è sempre più difficile consacrare prove certe di ciò che emerge con il passare del tempo”. “Mi auguro che la consapevolezza dell’opinione pubblica porti chi di dovere a fare ogni sforzo per cercare di completare il percorso di verità su quelle stragi - ha aggiunto -. Dal punto di vista politico oggi non stiamo andando in quella direzione”. La Commissione parlamentare antimafia, per esempio, “invece di occuparsi in maniera organica, sistematica e collegata delle sette stragi che insanguinarono l’Italia dal ’92 all’inizio del ’94, si occupa solo di una strage - quella di via D’Amelio - e anzi, solo di una possibile pista, quella legata al rapporto “Mafia-appalti” dei Carabinieri che in molte sedi processuali è stata dimostrata poco collegata alla strage di via D’Amelio - ha concluso -. È grave il fatto che in sede di Commissione non ci sia la volontà di affrontare organicamente tutte le vicende di cui il libro di Luca Tescaroli parla, racconta e sintetizza magistralmente”.
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Bongiovanni: “La mafia non ha agito da sola e non è finita”
Nel corso della serata, i relatori hanno spiegato minuziosamente come il biennio stragista '92-'94 sia composto di numerosi tasselli che incastrandosi compongono un puzzle. Uno scenario che obbliga un'analisi d'insieme e non parcellizzata, perché si tratta di fatti legati da una trama unica. "C'è un modus operandi nel nostro paese che continua ad essere tale - ha detto il direttore Giorgio Bongiovanni - cioè noi siamo una colonia degli Stati Uniti d'America, noi siamo eterodiretti dagli Stati Uniti d'America, da sempre, dalla strage di Portella della Ginestra. In quasi tutte le stragi che si sono perpetrate in Italia c'è stata la mano di forze straniere". "Si è scoperto nel tempo - ha aggiunto - che c'erano delle donne nelle stragi, abbiamo scoperto addirittura, stando alla testimonianza del criminologo Federico Carbone, della presenza della CIA nella strage di Capaci".
"Ci hanno raccontato in questi anni che la mafia era finita. Tanto non spara più. Invece c'è ed è potente. Luca Tescaroli, per esempio, da quando si è insediato a capo della Procura di Prato ha fatto emergere il potere criminale della mafia cinese, che fino a poco tempo fa si sottovalutava alla stregua di una mafia minore. Attraverso altre Procure stiamo apprendendo del potere della mafia albanese, che, secondo alcuni esperti, è la terza mafia più potente in Italia, addirittura con collegamenti con la 'Ndrangheta, Cosa nostra e Camorra. Addirittura, si ipotizza che l'attentato a Sigfrido Ranucci sia legato alla mafia albanese", ha continuato.
Dunque, che fare? "Noi continueremo ad avere le bombe fino a quando saremo sottomessi a poteri superiori. Deve cambiare il sistema politico nel Paese: occorre far rispettare la Costituzione. Ecco perché dobbiamo difendere questi magistrati, che incarnano i valori della legge e della Costituzione", ha concluso Bongiovanni.
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Scarpinato: “Gli uomini che stanno dietro le stragi si sono riciclati nel potere di oggi”
È stata poi la volta del senatore del Movimento 5 Stelle Roberto Scarpinato, anche lui intervenuto con un contributo video. “Il cittadino che non è esperto di mafia, di stragi e di delitti politici può essere portato a pensare che questo libro tratta di vicende tragiche che appartengono a un lontano passato - ha detto l'ex procuratore generale di Palermo -. E per le quali è stata fatta giustizia perché sono stati condannati gli autori materiali. Purtroppo, questa storia non ce la possiamo raccontare così. Le indagini hanno consentito di condannare gli esecutori materiali ma a causa di depistatori non è stato possibile identificare e procedere nei confronti dei mandanti e dei complici eccellenti di quelle stragi”.
“Questo libro - ha aggiunto - si compone di due parti. Una prima parte è l’esposizione delle prove che grazie alla professionalità dei magistrati, di Luca Tescaroli in particolare, hanno consentito di portare alla condanna dei componenti della mafia militare che hanno eseguito le stragi e dei mandanti interni. Nella seconda parte, intitolata i ‘quesiti irrisolti’, invece, Tescaroli indica tutti buchi neri che riguardano le stragi”. Si tratta “degli stessi buchi neri che io ho allegato nelle 57 pagine depositate in Commissione Antimafia”, ha commentato. Punti di domanda irrisolti che il senatore, come il procuratore di Prato stanno tentando di sbrogliare, non senza conseguenze.
“A me hanno tentato di escludermi dalla commissione antimafia e Tescaroli è stato oggetto, come ha scritto nel libro, di attacchi istituzionali e mediatici”, ha puntualizzato Scarpinato. “Ci sarà un motivo per cui appena tocchi certi argomenti si scatena la reazione del palazzo. E dimostra che questa non è una materia del passato ma è del presente, ed è incandescente perché altrimenti non ci sarebbe motivo per scatenare un conflitto di questa portata”. “Evidentemente - ha aggiunto - i soggetti che sono dietro le stragi hanno attraversato il tempo e come ha fatto il gattopardo si sono riciclati anche nell’attuale corso politico e non hanno nessun interesse che gli scheletri del passato escano”.
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Roberto Scarpinato ha infine sottolineato che le stragi del 1992-93 non sono state solo stragi di mafia: “Lo attesta una pluralità di risultanze”. In primis i depistaggi. “I depistaggi sono il marchio di fabbrica della criminalità del potere perché non sono finalizzati a coprire i mafiosi che hanno eseguito le stragi ma a coprire i mandanti eccellenti. I depistaggi - ha spiegato - hanno caratterizzato tutte le indagini sulle stragi. Sono stati eseguiti con la sparizione di documenti essenziali, con la creazione di falsi collaboratori di giustizia, con l’eliminazione di esecutori delle stragi che si apprestavano a collaborare con la magistratura”. E chi di questi, come i fratelli Giuseppe e Filippo Graviano, Salvatore Biondino, Leoluca Bagarella ed altri, è ancora in vita se ne guarda bene dal saltare il fosso perché “o uccidono loro o uccidono i loro figli e quindi sono prigionieri dei loro segreti”, ha aggiunto il senatore. “Se una sola di queste persone dicesse un decimo di quello che sa il Paese si dovrebbe fermare e le conseguenze politiche sarebbero gravissime”. “Ecco perché - ha concluso - Luca Tescaroli, come tanti altri magistrati, sono stato oggetto di attacchi istituzionali e mediatici gravissimi”.
Fabio Repici: chi suggerì a Cosa nostra di colpire il patrimonio artistico?
È un dato ormai acclarato che oltre Cosa nostra sono intervenuti elementi esterni nell’organizzazione di stragi e delitti eccellenti: esempi sono l’omicidio del generale Carlo Alberto dalla Chiesa, di Piersanti Mattarella, Giovani Falcone, Paolo Borsellino ma anche di altre stragi come quella di Brescia e quelle del 1993. Tali elementi, come dimostrano sentenze passate in giudicato, sono riconducibili ai servizi segreti o più generalmente ad apparati dello Stato. Ma, le stragi del 1993, ebbero un’anomalia: chi suggerì a Cosa nostra di colpire il patrimonio artistico dell’Italia?
“La riposta ha un nome e un cognome: Paolo Bellini che a partire dalla fine del 1991 comincia a fare il messo viaggiatore verso la Sicilia” a incontrare dei mafiosi per conto “di un maresciallo del nucleo Carabinieri del patrimonio artistico per cercare di recuperare dei dipinti trafugati alla Pinacoteca di Modena e si trova a trattare con i mafiosi” in particolare con Nino Gioè “che in quel momento stava lavorando insieme a Giovanni Brusca, a Pietro Rampulla, a Santino Di Matteo, a Gioacchino La Barbera e ad altri mafiosi per la strage di Capaci. Quindi c'è un uomo mandato dai carabinieri che incontra i mafiosi che stanno per uccidere Giovanni Falcone. Questa è la situazione surreale nella quale ci troviamo” ha spiegato l’avvocato. 
Ricordiamo che Bellini è stato condannato con sentenza definitiva per la strage alla stazione di Bologna del 2 agosto 1980, quindi, prima di andare in Sicilia aveva già compiuto l'eccidio dodici anni prima. Oltretutto: mentre si relazionava con un maresciallo dei carabinieri andava a “commettere un omicidio per la ‘Ndrangheta” e “negli stessi giorni organizza quello che poi diventa l'attentato al giardino di Boboli” a Firenze, città in cui ci fu poi l’attentato in via dei Georgofili. “Ma lo capite che ci sono azioni di uomini dello Stato, azioni di emissari di uomini dello Stato e azioni dei vertici di Cosa Nostra che camminano in parallelo?” ha detto Repici.
E qui si sta parlando di un uomo che, oltre ai fatti già elencati, era legato anche “a un magistrato: il procuratore di Bologna che faceva le indagini sulla strage alla stazione di Bologna. La polizia giudiziaria il 3 agosto dell'80, quando ci furono i primi atti di indagine, si ritrovò a dover cercare il procuratore della Repubblica Ugo Sisti, che era irrintracciabile. Dov'era? Era nel resort di Aldo Bellini, papà di Paolo Bellini, sull'Appennino Reggiano. Cioè, dal papà dello stragista”. In effetti, verrebbe da pensare, se si analizza la storia d’Italia le coincidenze e le tragedie si sprecano.
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Prendiamo un esempio recente: “Il sottosegretario alla presidenza del consiglio, Alfredo Mantovano, convocò a Palazzo Chigi l’ex ufficiale dell’Arma Mario Mori per “dargli la sua solidarietà” a seguito della sua convocazione “alla procura di Firenze per rendere interrogatorio nella qualità di indagato per le stragi del 1993-’94”. “Cioè, anziché di convocare i familiari delle vittime” il sottosegretario alla presidenza del Consiglio “ha convocato l'indagato per strage, il governo, manifestando la solidarietà”.
Inoltre si scopre che “Mori in questi anni ha agito come referente della commissione parlamentare antimafia per reclutare consulenti”, cioè lui, un “indagato per strage cercava i consulenti per la commissione preseduta da Chiara Colosimo, l'amica di Luigi Ciavardini”, il terrorista nero sposato con Germana De Angelis, sorella di Marcello De Angelis, il portavoce della regione Lazio che pochi anni fa aveva, con un post pubblicato sui propri canali social, nella tarda serata del 3 agosto, dichiarato di ‘sapere per certo che con la strage di Bologna non c’entrano nulla Fioravanti, Mambro e Ciavardini’. 
Questo è un paese pazzo; un paese in cui vengono fatti attentati a giornalisti come Sigfrido Ranucci, il 16 ottobre alle 22.30 davanti a casa sua. Alcuni indizi suggeriscono che si tratti di mafia albanese, in rapida ascesa nel controllo del narcotraffico.
Ragionando su questo Repici ha ricordato dell’omicidio del capo della tifoseria della Lazio, Fabrizio Piscitelli, alias Diabolik.
Quest’ultimo aveva una chat in cui “comparvero i messaggi di un ragazzo che si chiama Paolo Signorelli Junior, nipote di uno dei criminali di Ordine Nuovo condannato per banda armata, Paolo Signorelli Senior. Quel ragazzo mandava messaggi a Fabrizio Piscitelli e in uno di questi esultava per l'assoluzione di uno dei capi dei gruppi albanesi del narcotraffico a Roma. Ma sapete chi è stato fino a due anni fa quando uscirono i messaggi e si dovette dimettere Paolo Signorelli Junior? Era il portavoce del ministro Lollobrigida, cioè il cognato in quel momento della Presidente del Consiglio”.
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Foto © Devid Tronchin
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