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A Palermo gli interventi di Bongiovanni, Lodato, Scarpinato, Repici, Borsellino, Baldo, Ilardo, de Magistris e Vinci

Che fine ha fatto l'agenda rossa di Paolo Borsellino?
Chi la possiede oggi?
E perché nessuno sembra parlarne più?
Mentre i depistaggi, vecchi e nuovi, continuano a nascondere la verità sulla strage di via d’Amelio del 19 luglio 1992, in cui persero la vita il giudice Paolo Borsellino e gli agenti della sua scorta Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Cosina e Claudio Traina (con il solo Antonio Vullo sopravvissuto), l’attuale governo e commissione antimafia associata vogliono mettere al bando un elemento cruciale: l’agenda rossa del magistrato.
Tra quelle pagine, come recita il titolo della recente conferenza di ANTIMAFIADuemila tenuta ieri a Villa Filippina davanti a un pubblico numeroso, sia in presenza che online, c'è scritta “Tutta la verità”.





Gli ardui interrogativi poc'anzi elencati sono stati il filo conduttore della serata moderata dal caporedattore di questo giornale Aaron Pettinari.
Numerosi gli ospiti illustri: il direttore e il vice direttore di ANTIMAFIADuemila Giorgio Bongiovanni e Lorenzo Baldo, il fondatore delle agende rosse Salvatore Borsellino, l'ex sindaco di Napoli e già sostituto procuratore di Catanzaro Luigi de Magistris, l'ex procuratore generale di Palermo e oggi senatore Roberto Scarpinato, l'avvocato Fabio Repici, lo scrittore e giornalista Saverio Lodato e la scrittrice nonché biografa di Tina Anselmi, Anna Vinci.
Paolo Borsellino "avrebbe scritto senza dubbio quello che già Saverio Lodato sapeva da Giovanni Falcone. La mente raffinatissima dell'attentato a Falcone si chiamava Bruno Contrada. Quindi è assolutamente logico che Paolo potrebbe averlo scritto"; "se all'Addaura Bruno Contrada c'entrava, perché la fonte è autorevole, è logico che Paolo avrebbe potuto scrivere questo".



Poi: "L'amico che l'ha tradito"; "si è messo a piangere di fronte ai suoi colleghi, è ovvio che ha scritto nell'agenda dell'amico che l'ha tradito e che probabilmente era consapevole, se non partecipe, della strage di Capaci".
Inoltre potrebbe esserci scritto quello che "aveva già rivelato ai giornalisti francesi e cioè che Marcello Dell'Utri è amico dei mafiosi e che stava indagando la procura di Palermo quando ancora c'era il giudice istruttore Leonardo Guarnotta che poi è quello che ha condannato Dell'Utri. Stavano indagando su Berlusconi e Dell'Utri quindi è probabile che lui" sapeva "che ci sarebbe stato un nuovo partito che governerà l'Italia". Una rivelazione dirompente che avrebbe messo "a rischio 20 anni di governo in Italia e anche coloro che hanno ereditato da Berlusconi e Dell'Utri, i fascisti che ci sono oggi al governo". E poi ancora: "Abbiamo scoperto nelle agende di Giovanni Falcone che c'era un'associazione clandestina criminale che si chiamava Gladio. È ovvio che Paolo Borsellino" avrebbe potuto scrivere anche di servizi segreti, eversione e 007 statunitensi.
"Sono convinto che nella strage di Capaci, di Via D'Amelio e del continente c'erano gli apparati dei servizi segreti italiani, ma che non sono italiani, quelli degli Stati Uniti d'America" è che "sono state da loro eterodirette".





È un frammento cruciale della nostra storia, quella degli ultimi settant’anni d’Italia, per essere precisi. Le verità legate a quel periodo potrebbero sconvolgere gli equilibri politici e mettere in discussione assetti internazionali. Il giornalista Saverio Lodato lo ha detto chiaramente: è questo il cuore della questione, “che fa la differenza”. Ma come si può nascondere una verità così grande? Semplice: attraverso l’attuale Commissione parlamentare antimafia, che ha deciso di “indagare su una strage sola, solo sulla strage di via D’Amelio”. Come spiega Lodato, “se noi esaminiamo questo atteggiamento politico capirete che abbiamo la risposta alla mia domanda iniziale”. L’attuale classe politica sembra voler puntare tutto su via D’Amelio, concentrandosi esclusivamente sulla pista mafia-appalti e lasciando da parte il resto. Perché? Perché andare oltre significherebbe sfiorare i fili neri che collegano le stragi italiane dal dopoguerra a oggi. E, come ha detto Lodato, parlare di “pista nera in Italia" vuol dire parlare "di corde in casa dell’impiccato”.



 

Sonia Bongiovanni legge Nino Di Matteo: ''Caro Paolo in te vedevamo il simbolo del riscatto''

"Caro Paolo, nel mio cuore si è subito scatenato un putiferio di emozioni, di sentimenti, di ricordi. Ho subito avvertito la precisa consapevolezza di non essere in grado di esprimere in poche righe tutto ciò che mi porto dentro fin da quando ero un semplice studente universitario. Un giovane che come tanti altri coetanei siciliani ha visto in te, giudice Borsellino, nell’impegno e nel coraggio tuo e degli altri magistrati del pool antimafia, il simbolo del possibile riscatto. Quel vento di pulizia, di moralità, di legalità, che ai miei occhi avrebbe spazzato via per sempre l’insopportabile immagine di una Sicilia legata inevitabilmente in eterno alla mafia, alla violenza, al tanfo del compromesso e della rassegnazione". Sono alcuni passaggi della toccante lettera che il magistrato palermitano Nino Di Matteo dedicò alla memoria di Paolo Borsellino in occasione del 19° anniversario della strage di via d’Amelio. In un caldo 19 luglio l’allora sostituto procuratore di Palermo si rivolgeva al giudice con la delicatezza di chi indossò la toga sull’esempio di un gigante come Borsellino e con la determinazione di chi, come altri, mosso da sete di verità e giustizia lo ha dovuto salutare da martire, accarezzandone il feretro. Le parole di Di Matteo sono state lette e interpretate dall’attrice Sonia Bongiovanni, direttrice dell’associazione Our Voice e della compagnia Extasia. Un messaggio potente e attuale, che attraverso l’interpretazione dell’attrice ha restituito piena voce e significato all’impegno e al monito di chi, come Di Matteo, continua a lottare nel nome della giustizia e della verità.

  
Cosa c'è scritto nell'agenda rossa?

Salvatore Borsellino, fratello del giudice e fondatore del Movimento delle Agende Rosse, ha risposto che questa domanda andrebbe "posta al colonnello Mario Mori. Lui sicuramente lo sa, sicuramente l'ha letta e attraverso quello che c'è scritto in quell'agenda rossa, purtroppo, - vista l’influenza che ha sulla Commissione antimafia che sta letteralmente pilotando -, riesce a mettere in atto questa strategia di occultamento delle verità”. Salvatore ha una certezza: “Mio fratello è stato ucciso perché stava indagando sui veri autori della strage di Capaci. E li aveva trovati, probabilmente, e avrebbe dovuto o voluto andare a riferire alla procura di Caltanissetta su quello che aveva scoperto su quella strage”.
In merito alla scomparsa dell’agenda rossa del giudice Borsellino, il vicedirettore di ANTIMAFIADuemila, Lorenzo Baldo - con un videomessaggio - ha sottolineato l’importanza di ripartire dalle dichiarazioni dell’ispettore Garofalo, in servizio il 19 luglio 1992 alla sezione volanti della Questura di Palermo.


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Salvatore Borsellino


Garofalo, riferendosi ai primi minuti dopo l’esplosione dell’autobomba in via d’Amelio, raccontò di aver notato una persona in abiti civili vicino all’auto del giudice e di avergli chiesto spiegazioni. L’uomo rispose di appartenere ai servizi. In un Paese civile, ha detto Baldo, “una dichiarazione del genere avrebbe aperto la strada a un processo. Ma non in Italia. Qui, il principale protagonista di quell’episodio, il capitano dei carabinieri Giovanni Arcangioli – ripreso mentre si allontanava con la borsa del giudice – è stato prosciolto dalla Cassazione, che ha rigettato il ricorso della procura di Caltanissetta contro la sentenza di non luogo a procedere”. “Nemmeno le versioni contrastanti dell’ex pm Giuseppe Ayala sul ritrovamento della valigetta di Borsellino, né quelle contraddittorie dello stesso Arcangioli, sono bastate per l’apertura di un processo ad hoc – ha continuato -. Per fare finalmente luce sulla scomparsa dell’agenda rossa, occorrerebbe individuare chi fu l’amico che tradì Borsellino, e chi, all’interno degli apparati istituzionali, diede l’ordine di far sparire l’agenda, fornendo indicazioni precise all’ex Questore di Palermo, Arnaldo La Barbera, risultato poi legato ai Servizi segreti”.
A questo disegno, come puntualizzato da Luana Ilardo, figlia di Luigi Ilardo, confidente del colonnello Michele Riccio, si aggiunge il tentativo di "riscrivere la storia di questo Paese con i soliti depistaggi che continuano, purtroppo, a essere messi in atto e inventano, se ne inventano sempre di più, questa è la cosa più assurda secondo me”.



 

Chi ha paura delle verità sulle stragi?

"Chi ha paura della verità sulle stragi?" È stato proprio il senatore del Movimento 5 Stelle Roberto Scarpinato ad aver preso parola per analizzare quelle “ragioni politiche, ragioni di Stato” che hanno impedito di far conoscere al pubblico quelle verità sulle stragi. “Ragioni che impediscono di far riconoscere i nomi dei soggetti esterni che hanno partecipato ad alcune delle fasi logistiche della strage di Capaci, di Via d'Amelio, di Firenze, di Milano. Ragioni che impediscono di fare conoscere gli esponenti degli apparati statali che hanno depistato le indagini, che hanno fatto sparire documenti essenziali, ragioni di Stato e politica che impediscono di fare conoscere i nomi di coloro che pianificarono quelle stragi all'interno di un complesso piano diretto ad abbattere la Prima Repubblica che non garantiva più l'impunità del passato e fare strada a una forza politica”, ha esordito l’ex magistrato che ha denunciato un ostracismo aperto e violento sulle indagini sui mandanti e sui complici esterni alle stragi del '92 e del '93 che si è fortemente acuito con la nuova stagione politica avviata col governo Meloni, a partire dall'ottobre del 2022.



Significa che le stragi del '92 e del '93 non sono una storia che del passato, non sono una vicenda che si è conclusa, ma sono una storia attraversa il presente e che fa parte della vicenda politica”, ha proseguito Scarpinato che ha iniziato a porre alcune domande scottanti sulle verità indicibili di quella stagione eversiva per la quale il potere vigente ha avuto tutto l’interesse a “costruire una narrativa diretta a far credere all'opinione pubblica” che fu “opera esclusiva di personaggi come Riina soltanto per interessi interni alla mafia”. In questo contesto il senatore ha evidenziato un dato inequivocabile: “Se Graviano e gli altri collaborassero, esploderebbero mine in grado di far crollare l’attuale sistema di potere”.


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Roberto Scarpinato

Gli ultimi giorni di Borsellino e quella riunione del 15 giugno 1992

L’avvocato Fabio Repici, che rappresenta numerose famiglie di vittime di mafia, ha riportato al centro dell’attenzione il mistero dell’agenda rossa di Paolo Borsellino, sottolineando che “negli ultimi anni la Procura di Caltanissetta ha raccolto imposture mostruose nel tentativo di occultare l’unico dato certo che abbiamo – un fatto visibile, che chiunque può constatare. Ovvero, che tra le 17:29 e le 17:31 del 19 luglio 1992, un capitano dei Carabinieri prende la borsa di Paolo Borsellino dall’auto ancora quasi in fiamme e la porta via dal luogo della strage,” ha dichiarato Repici, evidenziando l’interesse del giudice per la pista nera legata alla strage di Capaci. Approfondendo la vicenda, Repici ha portato alla luce un dettaglio significativo. “C’è un elemento rilevante che ho scoperto approfondendo la vicenda di Alberto Lo Cicero – la stessa che porterà a quel verbale della riunione di coordinamento investigativo a cui partecipò Paolo Borsellino”, ha spiegato. Lo Cicero, infatti, condivideva le sue confidenze con due sottufficiali dei Carabinieri del nucleo operativo di Palermo, il cui superiore diretto era Giovanni Arcangioli, lo stesso uomo che, pochi giorni dopo, avrebbe preso la borsa di Borsellino dall’auto distrutta.


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Fabio Repici


Un altro elemento cruciale è un documento del 15 giugno 1992, ritrovato proprio da Repici, che attesta una riunione tra le procure di Palermo e Caltanissetta alla presenza di Borsellino. “Ma è mai possibile che quel documento sia mancato per tre decenni nei fascicoli sulla strage di Via D’Amelio?” si è chiesto l’avvocato.
Repici ha smontato con decisione narrazioni alternative, come la cosiddetta “pista palestinese” per la strage di Via D’Amelio, definendola una manovra per riscrivere la storia e proteggere i veri responsabili. “I teorici della causale mafia appalti per la strage di Via D’Amelio sono gli stessi della pista palestinese sulla strage alla stazione di Bologna e non è un caso, perché la riscrittura della storia che deve togliere i concorrenti esterni a Cosa Nostra per le stragi del 92-93 ha lo stesso senso della riscrittura della storia per attribuire a sbandati anonimi palestinesi le bombe neofasciste”, ha affermato con convinzione.


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Luigi de Magistris

Paolo Borsellino era un ostacolo al progetto politico che si sta realizzando oggi

Certamente, come ha spiegato l'ex sindaco di Napoli e già sostituto procuratore Luigi de Magistris, “Paolo Borsellino era un ostacolo, perché Paolo Borsellino in quell'agenda rossa aveva scritto quello che aveva visto”. Cioè, “che si stava passando dalla Prima alla Seconda Repubblica e che mentre lui e altri servitori onesti del Paese cercavano di capire che cosa stava accadendo nel nostro Stato altri stavano già trattando il passaggio dalla Prima alla Seconda Repubblica. E come in tutte le guerre c'è anche una trattativa. La trattativa che va sotto le bombe di Milano, Firenze e Roma e poi si arriva al gennaio ’94 per l'attentato che non andrà in porto solo per un malfunzionamento del congegno elettronico del bus di Carabinieri a Roma”.
Una guerra in piena regola contro l'assetto democratico del paese che sta vedendo la sua realizzazione nel processo politico dell'attuale governo: “Assetto verticistico dello Stato; Repubblica presidenziale o premierato forte; Riduzione del Parlamento a mero organo di ratifica di decisioni prese altrove; Controllo dei mezzi di comunicazione pubblici e privati; Separazione delle carriere tra pubblici ministeri e giudici, e sottoposizione del PM all'esecutivo; Neutralizzazione dei sindacati più conflittuali;
Stato di eccezione che diventa permanente; Criminalizzazione del dissenso - ha aggiunto -. Allora, la situazione è quella in cui i poteri occulti ormai diventano poteri legali”.



  

Anna Vinci: "La commissione Antimafia convochi Michele Riccio"

Dopo la foto con Ciavardini la presidente Colosimo ha chiesto scusa alle vittime di mafia e terrorismo. Non doveva chiedere perdono ma andarsene perché non rappresenta uno Stato democratico e offende le persone perbene”. Così Anna Vinci, scrittrice e biografa di Tina Anselmi, parla dallo studio di Teleischia ad ANTIMAFIADuemila in un’intervista proiettata a Villa Trabia in occasione della conferenza. La scrittrice, nell’intervista rilasciata ad Aaron Pettinari, ripercorre le diverse peripezie che ha dovuto affrontare il colonnello durante la sua carriera, tra ostacoli e delegittimazioni di Stato. Muri di gomma e attacchi di ogni sorta che subì, prima di Riccio, anche Tina Anselmi negli anni in cui era presidente della Commissione d’inchiesta sulla P2. Parallela è la strategia eversiva dello Stato profondo contro cui si scontrarono entrambi e parallela è anche la loro storia, commenta la scrittrice, che ritornando alla Commissione Antimafia si chiede perché non sia “mai stato chiamato il colonnello Michele Riccio?”.Questa domanda – ha concluso - mi fa venire in mente tante cose subite da Tina”.


Foto © Paolo Bassani

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