I supremi giudici: è il quinto uomo della strage di Bologna
Paolo Bellini, ex avanguardista di estrema destra e killer per la 'Ndrangheta è stato condannato in via definitiva dalla sesta sezione penale della corte di Cassazione per la strage alla stazione di Bologna del 2 agosto 1980. Il ricorso degli avvocati Antonio Capitella e Manfredo Fiormonti è stato così respinto.
I supremi giudici hanno anche confermato la condanna a sei anni per l'ex capitano dei carabinieri Piergiorgio Segatel per depistaggio e a quattro anni per Domenico Catracchia, amministratore di alcuni condomini di via Gradoli a Roma, per false informazioni al pubblico ministero.
Nell'eccidio di Bologna persero la vita 85 persone e ne furono ferite oltre 200: quel massacro fu parte integrale della cosiddetta 'strategia della tensione' ed è ormai un fatto incontrovertibile che agirono componenti rilevanti dello Stato in sintonia con la destra eversiva.
La magistratura ha accertato che quella strage fu eseguita da esponenti di formazioni neofasciste su mandato di Licio Gelli, vertice della P2 di cui facevano parte tutti i capi dei servizi segreti del tempo, e fu organizzata da Umberto Federico D’Amato, uomo potentissimo e capo dell'ufficio affari riservati del Ministero dell’Interno e referente della Cia in Italia.
Oggi con la condanna di Bellini si aggiunge un altro inamovibile tassello.
L'ex Avanguardia Nazionale, Bellini, è stato un killer di 'Ndrangheta e a lungo ha usato il nome falso di Roberto Da Silva. Nel 1992 è stato protagonista della cosiddetta “seconda trattativa”, quella per recuperare le opere d’arte rubate dalla mafia in cambio di benefici carcerari ai boss detenuti, ed oggi si trova a essere indagato anche per le stragi degli anni Novanta.
Ed è un dato raccolto nei processi che l'idea delle stragi contro il patrimonio storico e architettonico in Continente si sia formata nei dialoghi tra Paolo Bellini ed Antonino Gioè (morto in circostanze misteriose mentre si trovava in carcere a Rebibbia).
La condanna in Appello
Quel 2 agosto è attraversato da un 'filo nero' che lega, secondo gli esiti delle ultime indagini e delle sentenze più recenti, la strage di Bologna a quelle del 1992 e del 1993, tanto da potersi ipotizzare che siano due parti della stessa tragica storia.
La storia di una lotta politica portata avanti a suon di bombe sin dagli albori della Repubblica dalle componenti più reazionarie del Paese, le quali non hanno mai accettato il nuovo modello di democrazia progressiva rappresentato dalla Costituzione.
Il 9 luglio 2024 era stata confermata in appello la condanna all'ergastolo per Paolo Bellini come quinto uomo del commando nero dei NAR che eseguì l’attentato.
Sempre la Corte di Assise di Appello di Bologna aveva condannato anche gli altri due imputati, l'ex capitano dei carabinieri Piergiorgio Segatel, accusato di depistaggio e condannato a sei anni di reclusione e Domenico Catracchia, ex amministratore di condominio in via Gradoli, a Roma, accusato di false informazioni al pm al fine di sviare le indagini, condannato a quattro anni.
Le indagini sulla strage di Bologna sono state segnate da gravissime e ripetute azioni di depistaggio poste in essere da uomini ai vertici dei servizi segreti - il generale Pietro Musumeci e il colonnello Giuseppe Belmonte - che per questo motivo sono stati condannati con sentenze definitive unitamente a Francesco Pazienza altro importane agente segreto collegato con i servizi americani.
La corte aveva sottolineato nelle oltre 420 pagine di motivazione di sentenza che “senza ombra di dubbio alcuno" l’ex “di Avanguardia Nazionale Paolo Bellini “sapeva perfettamente che il suo contributo (costituito o dal trasporto e dalla consegna - di tutto o di parte - dell'esplosivo - oppure di supporto logistico a coloro che l'esplosivo lo hanno portato e collocato) è stato non solo 'agevolativo' ma addirittura determinante ed essenziale nella realizzazione, a nulla rilevando la consapevolezza di questi ultimi dell'apporto contributivo ricevuto da parte di Bellini". Ancora. La corte aveva affermato che mentre i mandanti, gli organizzatori e i finanziatori ed alcuni degli esecutori materiali hanno agito con lo scopo di eversione dell'ordinamento democratico e di destabilizzazione dello Stato, "alcuni degli esecutori materiali (come Sergio Picciafuoco e Paolo Bellini) potrebbero aver agito anche perseguendo soltanto propri specifici e ulteriori obiettivi, vale a dire un rilevante compenso economico nonché continuare ad avere 'coperture' e 'protezione' ad opera di apparati deviati dello Stato, coperture e protezioni pacificamente acclarate in favore di Paolo Bellini, sia prima che dopo la Strage di Bologna". I giudici citano anche Sergio Picciafuoco, che risultava presente in stazione quel giorno, ma per l'attentato non è mai stato condannato ed è deceduto nel 2022.
Il filmato in Super 8 e l’alibi di ferro smontato dall’ex moglie
Uno dei punti centrali del processo è ruotato attorno al filmato girato in Super 8 dal turista tedesco Harald Polzer quella mattina del 2 agosto che inquadrava un soggetto somigliante a Paolo Bellini. L’ex di Avanguardia Nazionale ha sempre negato di riconoscersi in quelle immagini e in aula i suoi legali hanno battagliato con la procura generale per scagionarlo (invano). A incastrare Bellini poi c’è anche la testimonianza dell’ex moglie Maurizia Bonini (che è poi finita sotto scorta per le minacce ricevute dall’ex marito, poi arrestato per tale ragione). E’ stata lei a riconoscere Bellini nel filmato amatoriale. E sempre lei ha smontato, pezzo per pezzo, l’alibi di ferro che lei stessa gli fornì in passato: ha sempre raccontato che alle 9.30 il marito raggiunse lei e i bambini a Rimini per partire insieme per la montagna. Un orario incompatibile con la sua presenza in stazione al momento della strage (le 10.25). In aula, al processo di primo grado, la donna aveva ammesso: "Ho detto una bugia, chiedo scusa a tutti".
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E ancora: "Sì, a questo punto, posso dire che all'epoca ho dichiarato il falso”, affermò nel 2021 l’ex moglie dell’ex primula nera riferendosi al fatto che quando Bellini fu indagato per la strage, lei confermò il suo alibi dicendo che era arrivato a prenderla a Rimini intorno alle 9-9.30 del mattino, per poi partire insieme a lei, ai due figli piccoli e alla nipote per il Passo del Tonale, dunque, appunto, orari non compatibili con la sua presenza in stazione al momento dell'esplosione. Da qualche anno, invece, Bonini racconta la verità dei fatti: "Non ricordo a che ora arrivò mio marito a prendermi a Rimini, mi ricordo però che mia madre tornò tardi in albergo".
La madre di Maurizia (Eglia Rinaldi, deceduta), infatti, come è emerso durante gli interrogatori, rientrò a Torre Pedrera, località vicino a Rimini, in ritardo per l'orario di pranzo, tanto che ci fu una discussione con il marito.
Questa versione è stata confermata anche dal fratello della Bonini, l'ex cognato di Bellini. "L'orario delle 9.15 - ha spiegato poi Maurizia rispondendo alle domande dei legali di Bellini - me lo disse mio suocero (Aldo Bellini, ndr)".
Sul caso, secondo i giudici d’Appello, "non si è in presenza di un alibi semplicemente 'fallito', ma di un alibi appositamente preordinato ed apparentemente solidissimo e granitico in quanto egli, diverse ore prima della strage, si è fatto consegnare da terze persone lontane da Bologna una bambina (la nipote Daniela, ndr) con la quale si è poi fatto vedere da altre persone dopo la strage ancora lontano da Bologna, alibi rivelatosi falso soprattutto per una circostanza assolutamente fortuita e imprevedibile, vale a dire un video girato da un turista straniero per ricordo famigliare". La corte si esprime anche sul video di Polzer, divenuto noto agli inquirenti, "solo ed esclusivamente perché - diverso tempo dopo la strage - il turista straniero capì la possibile importanza dello stesso filmato".
Risulta infatti "provato, senza ombra di dubbio, che l'anonimo ritenuto essere Paolo Bellini è stato ripreso da Polzer da bordo del treno pochi minuti dopo l'esplosione (avvenuta alle 10.25, ndr) e comunque sicuramente diverso tempo prima delle 11.05, ovvero prima che le carrozze non danneggiate dall'esplosione venissero rimosse anche per consentire i soccorsi sul secondo e terzo binario". Dal video Polzer e dal riconoscimento fatto dall'ex moglie di Bellini, Maurizia Bonini, della persona ritratta in tale video sul primo binario della stazione, è quindi "provato - ribadiscono i giudici - che Paolo Bellini era alla stazione di Bologna pochi minuti prima e pochi minuti dopo la micidiale esplosione".
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