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Una fonte rivela che a muovere i fili è il generale, a partire da nomine e audizioni: ''Le prepara con gli avvocati Milio e Trizzino''

L’attuale commissione parlamentare antimafia, che per costituzione dovrebbe essere organo autonomo in seno al Parlamento incaricato sul fenomeno mafioso e le stragi, avrebbe in realtà un suo “burattinaio”: il generale Mario Mori. A sostenerlo è un investigatore, coperto da anonimato, intervistato da Report nell’ultima inchiesta andata in onda ieri sera su RaiTre. A sospettare un ruolo di Mori dietro gli scranni di Palazzo San Macuto era stato il senatore Roberto Scarpinato, membro della Commissione in forza ai 5Stelle, già nel 2023. Un sospetto che è andato via via rafforzandosi nel corso dei lavori della Commissione che, caso vuole, ha cominciato fin da subito a dirottare i propri sforzi investigativi solo su una delle sette stragi di mafia, quella di via d’Amelio, e soprattutto solo su una pista investigativa: il dossier mafia-appalti. La stessa inchiesta che il generale Mori e il colonnello Giuseppe De Donno, auditi per ben tre volte in Commissione, ritengono essere il vero movente dell’attentato del 19 luglio 1992. “Il generale non nega di essere il burattinaio della Commissione parlamentare antimafia”, commenta l’investigatore al giornalista Paolo Mondani. “Parla, per esempio, con gli ufficiali De Donno e Obinu e commenta una dichiarazione del senatore Scarpinato quando nel 2023 disse che dietro le mosse della presidente Colosimo c'era lui. E Mori lo rivendica ridendoci su con i due ufficiali”, afferma. “Tant’è vero che briga per inserire tre consulenti da lui segnalati, visto che quelli portati dalla politica non sanno di che parlano”. “Sono sue testuali parole”, puntualizza. Mori, secondo la fonte di Report, sà come muovere i fili. Segnala le persone giuste per i lavori e per le varie audizioni e crocifigge i suoi nemici: in cima alla lista Roberto Scarpinato, lo stesso che, guarda caso, la Commissione vorrebbe estromettere per conflitto d’interessi con un provvedimento ad hoc


colosimo report


L’investigatore illustra a Report quelle che sarebbero state le manovre del generale: “Indica il professore Giovanni Fiandaca, ma poi decade, probabilmente perché il professore dichiara pubblicamente di non essere convinto del dossier mafia-appalti come movente dell'omicidio Borsellino. Poi segnala il magistrato calabrese Alberto Cisterna, al quale confessa di essere un nemico dell'ex procuratore nazionale antimafia de Raho (anche lui rischia come Scarpinato di essere accompagnato alla porta in Commissione, ndr), ma soprattutto di Scarpinato, e intende proporre anche il suo avvocato Basilio Milio”. Lo scouting di Mori per la commissione sarebbe riuscito con l’inserimento tra i consulenti del magistrato Cisterna (che poi a Report preciserà di non aver avuto comunque ruoli “per il filone che riguarda via d’Amelio”). Ma non si accontenta. “Si riprometteva di segnalarne altri”, dichiara la fonte. “Poi Mori racconta all'Avvocato Milio di aver parlato con due componenti della Commissione per ciò che riguarda le consulenze e aggiunge che attende un incontro con la Presidente Colosimo, che comunque ha autorizzato i due componenti al colloquio con lui. E poi aggiunge che saranno i parlamentari a chiamare i consulenti da lui segnalati e loro dovranno far finta di nulla, che tanto i parlamentari lo sanno che c'è dietro lui”. Quasi una partita truccata, a sentire le parole, tutte da verificare, dell’investigatore. La fonte rivela inoltre che “inizialmente Mori” avrebbe voluto “infilare come consulente il giornalista Damiano Aliprandi, che scrive per Il Dubbio, ma questi gli segnala che essendo stato condannato per diffamazione nei confronti di Scarpinato, quel posto non lo può occupare. E Aliprandi suggerisce a Mori che Scarpinato dovrebbe essere sollevato dalla Commissione Antimafia”.


report mori 3



Un Mori scatenato, commenta Mondani. “Sì, Mori dice a tutti ‘sono passato all'offensiva’ e prepara le sue audizioni in antimafia con l'avvocato Milio e con l'avvocato Trizzino (legale dei figli di Paolo Borsellino, ndr) e sono certi che passerà la loro linea, quella di Borsellino isolato dalla Procura di Palermo, che gli avrebbe impedito di fare le indagini sul rapporto mafia appalti”. Se Mori ha influenzato i lavori della Commissione “sarebbe molto grave”, commenta a Report il deputato Pd Giuseppe Provenzano al quale lo scorso 19 giugno la presidente Chiara Colosimo ha impedito di chiedere ai due generali auditi se il rapporto mafia-appalti possa giustificare tutte le stragi del 1992-93. “I presenti non sono sottoposti a nessun interrogatorio”, lo aveva liquidato, seccata, la Presidente squalificando la domanda come suggestiva. Intercettato da Mondani a Roma, Mario Mori si trincera dietro il silenzio. Alla domanda se avesse proposto altri consulenti oltre a Cisterna e sull’identità dei due parlamentari che avrebbe incontrato per avanzargli le sue proposte il generale non risponde. “Non rispondo perché mi state antipatici”. E perché “sono cattivo”. Sentimenti manifestati, senza troppi di giri di parole, anche verso i magistrati di Palermo che lo avevano processato nell’inchiesta sulla Trattativa Stato-mafia. “Li disistimo profondamente”, aveva detto durante l’ultima audizione in Antimafia. In quell’occasione, ad accompagnarlo, come spessissimo accade in incontri pubblici, c’era De Donno, che alla domanda del senatore Walter Verini - una delle pochissime risparmiate dalla ghigliottina censoria della Colosimo - sulla vicinanza manifestata a Marcello Dell’Utri in una telefonata avuta nel 2012 con il senatore a poche ore dalla sentenza di Cassazione che annullava con rinvio la condanna per concorso esterno, ha risposto tranquillamente di esserci amico. E che la telefonata la fece “perché ero convinto della sua innocenza”, aggiungendo di “aver espresso un saluto a una persona che stimavo e stimo”. Tranciante il commento di Sigfrido Ranucci, conduttore di Report: “Sono dichiarazioni che fanno venire i brividi”.   


mori report 1


Nuove prove sulla presenza di Delle Chiaie a Palermo 

Report, dopo la puntata del 18 maggio scorso, riprende poi l’inchiesta sul ruolo dell’estremista Stefano Delle Chiaie nella strage di Capaci e sulla sua presenza, non riconosciuta dalla procura di Caltanissetta, a Palermo nel periodo antecedente all’attentato. Sul punto, Paolo Mondani ha raccolto la testimonianza di Giuseppe Martorana, giornalista del “Giornale di Sicilia” secondo il quale il fondatore di Avanguardia Nazionale era a Palermo tra febbraio e marzo del 1992, smentendo così la versione ufficiale fornita all’epoca da Arnaldo La Barbera - ex capo della Squadra Mobile di Palermo -, il quale in un’informativa del dicembre ’92 scriveva: “Delle Chiaie risulta domiciliato a Roma e non si hanno notizie circa eventuali viaggi compiuti in Sicilia”. “Una mattina vennero una coppia di persone (…) vidi un viso che conoscevo. Era Stefano Delle Chiaie (…) era l’inizio del ’92 - dice Martorana a Mondani -. Tra febbraio e marzo”. L’ex giornalista del GDS sostiene che l’estremista di destra fosse in redazione per proporre un articolo: “Seppi che era venuto a portare una proposta di articolo perché stava formando un partito in Sicilia: la Lega Nazional Popolare. E aveva chiesto al capo cronista se pubblicava qualche cosa”. L’articolo non fu mai pubblicato, ma la presenza di Delle Chiaie in Sicilia trova così una conferma diretta. Martorana ha poi aggiunto di averlo visto una seconda volta un paio di giorni dopo, sempre in redazione, accompagnato da un'altra persona più alta e robusta rispetto a Delle Chiaie. Forse, secondo la ricostruzione di Report, l'avvocato Stefano Menicacci. Il racconto riporta alla luce anche la cosiddetta “nota Cavallo”, un’informativa del capitano dei Carabinieri Gianfranco Cavallo dell’ottobre 1992. Basata sulle confidenze di Maria Romeo, sorella dell’autista di Delle Chiaie in Sicilia e compagna del collaboratore di giustizia Alberto Lo Cicero, la nota riferiva che Delle Chiaie si era recato a Capaci per recuperare esplosivo.


martorana giuseppe report


Una segnalazione inquietante, trasmessa a varie autorità giudiziarie, che però fu ignorata e archiviata. A metterci una “pietra” sopra fu proprio La Barbera.
La nota fu ritrovata nel 2007 dal pm Giancarlo Donadio e in seguito rilanciata da Roberto Scarpinato, all’epoca procuratore generale di Palermo, che nel 2021 sentì nuovamente Maria Romeo. Ma nel frattempo la Procura di Caltanissetta ha giudicato inattendibile la sua testimonianza. Report aveva già intervistato Romeo nel 2021, ma oggi torna con un nuovo tassello: Martorana riferisce anche di comizi tenuti da Delle Chiaie in Sicilia. “Ci fu stupore però dice vabbè sta formando un nuovo partito, un uomo libero (…) so che ci sono stati dei comizi a Ragusa, poi ci sono stati anche degli incontri ad Agrigento e nel palermitano”. 
Mondani gli mostra la foto di Stefano Menicacci, avvocato di Delle Chiaie ed ex parlamentare del MSI, che nel 1991 aveva fondato con Domenico Romeo alcune “leghe meridionali”. “Potrebbe essere lui perché la stazza è questa”, commenta Martorana. Menicacci, arrestato nel 2023 poco prima della morte, è accusato di aver tentato di convincere Romeo a tacere sui viaggi siciliani di allora. La testimonianza di Martorana non conferma gli aspetti più gravi delle rivelazioni di Maria Romeo, come gli incontri con il boss Mariano Troia o la ricerca di esplosivi, ma smonta la linea difensiva della Mobile di Palermo. Delle Chiaie in Sicilia c’era. E forse non era a Palermo solo per fare politica. 

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