Il tycoon minaccia: "O ci sarà la pace, o ci sarà una tragedia per l'Iran ben più grande di quella a cui abbiamo assistito"
Il mondo è appeso ad un filo. Dopo che l’intera infrastruttura militare americana era stata posta in pieno assetto da guerra in Medio Oriente, l’ordine d’attacco della pedina Donald Trump, ormai in balia del Deep State guerrafondaio degli Stati Uniti, è infine arrivato.
Le forze statunitensi hanno colpito tre siti nucleari iraniani in un "attacco di grande successo", ha dichiarato il presidente Usa questa notte, aggiungendo che il fiore all'occhiello del programma nucleare di Teheran, Fordow, è scomparso.
Il sito è uno degli impianti nucleari più strategici dell’Iran, situato vicino alla città santa di Qom, circa 95 km a sud-ovest di Teheran. Costruito in segreto dal 2006 e rivelato solo nel 2009, è stato progettato come struttura sotterranea fortificata, scavata a circa 80-90 metri di profondità all’interno di una montagna, per resistere a bombardamenti aerei e missilistici.
Solo la bomba bunker-buster GBU-57 Massive Ordnance Penetrator, è in grado di scalfirlo, avendo la capacità di penetrare fino a 60 metri di cemento armato o roccia prima di detonare.
Non a caso, poche ore prima Washington ha spostato i suoi bombardieri B-2 - in grado di trasportare l’ordigno in questione - verso il teatro di guerra del Medio Oriente.
Oltre a Fordow, Trump ha aggiunto che le forze statunitensi hanno colpito anche i siti di Natanz ed Esfahan, precisando che almeno 30 missili Tomahawk sono stati lanciati contro questi target.
"Tutti gli aerei stanno tornando a casa sani e salvi", ha aggiunto Trump in un post su Truth Social, congratulandosi con "i nostri grandi guerrieri americani", ha aggiunto, sancendo l’esito di una decisione che è pronta a gettare il mondo intero nell’abisso. Un via libera, quello del tycoon, avvenuto senza nemmeno la previa approvazione del congresso. Un’azione che apre il vaso di pandora in medio oriente.
“L’Iran deve ora accettare di porre fine a questa guerra", ha scritto il presidente americano, tronfio della certezza di avere ormai la meglio sul potere degli ayatollah. "O ci sarà la pace, o ci sarà una tragedia per l'Iran ben più grande di quella a cui abbiamo assistito negli ultimi otto giorni", ha poi detto il miliardario newyorchese durante il discorso alla nazione, tenutosi nelle ore successive.
E ancora: “Quello di stasera è stato di gran lunga il più difficile di tutti, e forse il più legale, ma se la pace non arriverà rapidamente, colpiremo gli altri obiettivi con precisione, velocità e abilità”, ha tuonato il tycoon, evocando probabilmente la possibilità di colpire la Guida Suprema del Paese.
Ma l’ex impero persiano è tutt’altro che disposto a deporre le armi. Proprio Khamenei ha annunciato che "la nazione iraniana si oppone fermamente a una guerra imposta, così come si opporrà fermamente a una pace imposta" e che "non si arrenderà mai sotto la pressione di nessuno". Poche ore fa, l'account Telegram della guida suprema iraniana ha condiviso nuovamente i commenti televisivi rilasciati da Khamenei mercoledì, nei quali ammoniva che gli Stati Uniti sarebbero entrati nel conflitto Iran-Israele "a proprio discapito".
"Il danno che subirà sarà di gran lunga maggiore di qualsiasi danno incontrerà l'Iran", afferma Khamenei nel video.
Secondo il New York Times, l’Ayatollah, costretto in un bunker, ha già nominato tre potenziali successori, tra i quali non figurerebbe il figlio Mojtaba, oltre a un lungo elenco di militari da promuovere in caso venissero uccisi altri comandanti.
La guerra prossima ad estendersi
Siamo tutti in grave pericolo. Il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres descrive gli attacchi degli Stati Uniti contro l'Iran come una "pericolosa escalation", avvertendo che il conflitto in Medio Oriente potrebbe rapidamente "sfuggire al controllo".
"Sono profondamente allarmato dall'uso della forza da parte degli Stati Uniti contro l'Iran oggi. Si tratta di una pericolosa escalation in una regione già al limite e di una minaccia diretta alla pace e alla sicurezza internazionale", ha poi aggiunto in un post sui social media.
Come riporta Tohid Asadi, giornalista di Al Jazeera, “il grande rischio, secondo i funzionari iraniani, è quello di portare la guerra a un livello successivo, senza precedenti, il che significa che non sarà limitata a Iran e Israele”.
In particolare, i funzionari iraniani hanno precedentemente affermato che un eventuale intervento statunitense avrebbe portato la guerra in un contesto regionale, con la possibilità “che basi statunitensi nei paesi confinanti venissero prese di mira”.
Ce ne sono almeno 19 in Medio Oriente, di strutture militari che ospitano circa 40.000 soldati americani. Gli iraniani hanno già affermato che queste truppe non sarebbero state al sicuro se gli Stati Uniti si fossero uniti a questo conflitto.
"Donald Trump ha promesso di portare la pace in Medio Oriente. Non è riuscito a mantenere quella promessa. Il rischio di guerra è ora drammaticamente aumentato e prego per la sicurezza delle nostre truppe nella regione, che sono state messe in pericolo", ha dichiarato, preoccupato, il leader democratico della Camera Hakeem Jeffries.
L’ingresso statunitense rischia di attivare l'intera rete di proxy iraniani, che comprende molti gruppi iracheni che "hanno condizionato il loro ingresso in guerra all'intervento americano". L'Iran potrebbe coordinare "azioni congiunte con alleati come Hezbollah, Ansar Allah (Houthi), Hashd al-Shaabi, brigate Zeinabiyoun e Fatemiyoun".
Mohamed al-Farah, membro dell'ufficio politico degli Houthi, ha già commentato che Trump vorrebbe che le ostilità siano rapide e che la guerra finisca. Tuttavia, "distruggere un impianto nucleare qua e là non è la fine della guerra, ma l'inizio", ha affermato al-Farah in una dichiarazione.
Nel corso di una conversazione telefonica, Vladimir Putin e Xi Jinping hanno espresso una posizione comune sul conflitto in Medio Oriente, dichiarando di "condannare fermamente le azioni di Israele, che violano la Carta delle Nazioni Unite e altre norme del diritto internazionale", ribadendo che "non esiste una soluzione militare alla situazione attuale".
Il nuovo casus belli del nucleare
Dovremo rammentare che Trump aveva inizialmente tentato una via diplomatica con l’Iran, ma nel corso delle settimane ha irrigidito la sua richiesta irrealistica di un “arricchimento zero” dell’uranio, facendo fallire i negoziati. Uno stallo strumentalizzato da Israele come pretesto per l’azione militare. Nel frattempo, i falchi repubblicani - in particolare il senatore Lindsey Graham - hanno alimentato la retorica bellica, sostenendo che impedire all’Iran di ottenere una bomba atomica fosse una priorità di sicurezza nazionale, contribuendo a creare un casus belli.
Tuttavia, Tulsi Gabbard, direttrice dell’intelligence nazionale, ha testimoniato al Congresso che, pur avendo raggiunto livelli record di uranio arricchito, “gli esperti non credevano che l'Iran stesse lavorando a un'arma nucleare”.
Xi Jinping
Poco prima dell’attacco israeliano, la Gabbard ha anche denunciato pubblicamente il pericolo rappresentato da “élite politiche e guerrafondaie”, accusate di alimentare una spirale che rischia di condurre il mondo all’“annientamento nucleare”.
L’escalation fuori controllo: lo stretto di Hormuz e la Cina
La risposta dell’Iran non si fermerebbe agli attacchi contro le basi americane. Teheran ha più volte riacceso la minaccia di bloccare lo Stretto di Hormuz, una delle rotte marittime più strategiche al mondo per il trasporto di petrolio e gas. Da questo stretto, largo appena 45 chilometri, transita circa il 20% del petrolio globale e il 30% di quello trasportato via mare, oltre al gas naturale liquefatto del Qatar, fondamentale anche per l’Italia dopo la riduzione delle importazioni dalla Russia. Questo corridoio marittimo, tuttavia, non è cruciale non solo per l’Occidente, ma soprattutto per l’Asia: il 76% del petrolio che vi transita è destinato a Paesi come la Cina, che nel marzo 2025 ha toccato livelli record di importazioni dall’Iran. La chiusura dello Stretto avrebbe un impatto devastante sui mercati energetici globali, con stime di JP Morgan che indicano un possibile balzo del prezzo del greggio fino a 120 dollari al barile.
Una scelta, quella della sua chiusura, che potrebbe trascinare Pechino in una via senza ritorno, verso un sostegno militare più attivo nei confronti di Teheran. La Cina, a questo proposito, ha già mostrato segnali chiari di diretto coinvolgimento con l’alleato e principale fornitore di materie prime: tre aerei cargo partiti da città cinesi hanno raggiunto l’Iran nei giorni successivi all’attacco israeliano e, secondo il Wall Street Journal, Teheran ha ordinato dall’ex celeste impero grandi quantità di perclorato di ammonio, sufficiente per produrre potenzialmente fino a 800 missili balistici.
Un nuovo gradino della Terza Guerra Mondiale a pezzi, evocata da Papa Francesco, è stato superato senza timore dal buffone a stelle e strisce.
Foto © Imagoeconomica
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