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L'intervento del sostituto procuratore nazionale antimafia al programma di La7 

"Matteo Messina Denaro ha portato con sé nella tomba dei segreti importanti e probabilmente pesanti e indicibili".
A parlare è stato il sostituto procuratore nazionale antimafia e già consigliere togato al Csm Nino Di Matteo, ospite al programma '100 minuti' (su La7) condotto da Corrado Formigli e Alberto Nerazzini. Nella puntata di ieri è andata in onda un’indagine di Marco Bova intitolata “Il segreto di Matteo Messina Denaro”. Il titolo già parla da solo: cosa nasconde la trentennale latitanza del boss mafioso? L’inchiesta di Bova ha esplorato le ombre che avvolgono la clandestinità e l’arresto di Messina Denaro, dalla ‘mafia delle olive’ – che lo ha visto agire con imprudenza nei mesi precedenti alla cattura – fino alle protezioni di alto livello che lo hanno coperto. 
Bova ha ripercorso le origini della caccia al boss, analizzando il ruolo dell’ex senatore Antonio D’Alì, le indagini che avrebbero potuto cambiare la storia e gli ostacoli incontrati da alcuni rappresentanti delle istituzioni. A discutere l’inchiesta in studio, insieme a Formigli e Nerazzini, due esperti: Attilio Bolzoni, giornalista di Domani (e già storica firma di Repubblica) specializzato in criminalità mafiosa, e Giovanni Bianconi, saggista e cronista giudiziario del Corriere della Sera. 
"Mentre molti uomini dello Stato lo cercavano e lo cercavano con serietà - ha detto Di Matteo - con rigore, anche con l’impegno e il sacrificio che quell’attività richiedeva, evidentemente qualcun altro lo copriva. Matteo Messina Denaro è stato protagonista di alcune delle fasi più oscure, rimaste ancora più oscure, sia delle stragi del ’92 che di quelle del ’93. Basti pensare alla vicenda del fallito attentato all’Olimpico.


dimatteo bove


Perché quell’attentato Matteo Messina Denaro e gli altri non lo portarono a termine successivamente? In fondo, ogni domenica si giocava una partita allo stadio Olimpico, era già tutto predisposto. Gli uomini erano a Roma e si poteva ripetere quello che era fallito il 23 gennaio facilmente. Quindi Matteo Messina Denaro, possiamo dire, era a conoscenza di un motivo, che riguarda una cosa che ancora non abbiamo capito bene. Forse abbiamo capito bene perché hanno fatto quelle stragi, ma non si è mai accertato, almeno da un punto di vista giudiziario in maniera completa, perché improvvisamente quella strategia cessò
".
"Alcune volte - ha aggiunto - il rischio che si è appalesato è quello che la figura del latitante da ricercare sia un po’ divenuta quasi uno specchietto per le allodole. Se questo concetto del super latitante da ricercare e catturare a tutti i costi fosse stato effettivo, probabilmente non avremmo assistito ad una latitanza trentennale di Salvatore Riina, i 43 anni di Bernardo Provenzano, i trent’anni di Matteo Messina Denaro".
Difatti il suo arresto continua a sollevare interrogativi irrisolti, come ha sottolineato Giovanni Bianconi: “Il più grande mistero ancora aperto è quello del famoso archivio mafioso”, ha affermato Bianconi, riferendosi alle voci di un presunto archivio di Totò Riina, di cui Messina Denaro sarebbe stato “custode”, secondo alcuni collaboratori di giustizia. “Mancano i computer di Matteo Messina Denaro" ha detto evidenziando l’ipotesi di un altro rifugio segreto. Bianconi ha ricordato il ruolo della ex primula rossa di Castelvetrano nelle stragi del ’92-’93, suggerendo che “era a conoscenza di segreti, anche di entità esterne a Cosa nostra”. 


bianconi 100min

Giovanni Bianconi 


Tornando alla cattura avvenuta a gennaio 2023 Bianconi ha sottolineato come la necessità di cure mediche abbia costretto il boss ad “abbassare il livello di guardia” per poi chiudere il discorso sul suo ruolo in Cosa nostra: il boss scelse la “mafia sommersa” di Provenzano non quella stragista di Riina, come emerge dai pizzini del 2004-2005. Dopo l'arresto di Provenzano, Messina Denaro divenne il “super latitante” e scelse di sfruttare il suo carisma per interessi personali, come investimenti in energia eolica e supermercati, “utilizzando il condizionamento mafioso” per garantirsi protezione e ricchezza.
Secondo il giornalista Attilio Bolzoni, Messina Denaro è stato un boss “quasi morto di una mafia già morta trent’anni fa”, ma protetto da un sistema che è andato oltre Cosa nostra. L’arresto del capomafia, avvenuto senza tensioni, ha sollevato sospetti: "È stato un arresto inodore, insapore, senza stress", ha detto, notando l’anomalia di aver catturato prima Messina Denaro e solo dopo i favoreggiatori, “personaggi noti alla giustizia da almeno tre decenni”. Bolzoni ha criticato anche la narrazione mediatica, che si è concentrata su dettagli frivoli come “il Viagra sul comodino” o “la calamita del Padrino sul frigorifero”, ignorando “le protezioni verticali che lo hanno protetto per trent’anni”. Per il giornalista, la chiave è da ricercare negli apparati di sicurezza dello Stato e nella "borghesia mafiosa", una élite che “non ha lasciato impronte ne tracce”. 
Tuttavia ogni tanto questa élite criminale si mostra in figure come il senatore Antonio D’Alì, condannato con sentenza definitiva trapanese ex senatore di Forza Italia e Nuovo centrodestra (per un totale di 24 anni a palazzo Madama) nonché sottosegretario all’Interno dal 2001 al 2006.


bolzoni 100min

Attilio Bolzoni 


Come scritto nelle 24 pagine di motivazioni della sentenza della suprema corte (Presidente Stefano Morini e Relatore Casa Filippo) D'Alì ha "contribuito al sostegno di Cosa Nostra mettendo a disposizione le proprie risorse economiche e, successivamente, il proprio ruolo istituzionale di Senatore della Repubblica e di Sottosegretario di Stato presso il Ministero dell'interno, avendo ottenuto sostegno elettorale dai primi anni '90 ed avendo intrattenuto, a fronte del richiesto appoggio, rapporti diretti o mediati con esponenti di spicco dell'associazione, tra i quali Matteo Messina Denaro, Vincenzo Virga, Francesco Pace, Antonino Birrittella e Tommaso Coppola". 
Sullo sfondo di queste collusioni profonde tra pezzi di Stato e mafia c'è anche il tema della Trattativa che Bolzoni ha ricordato essere un fatto reale nonostante le assoluzioni. 
Stesso concetto ribadito anche dall'ex procuratore aggiunto di Palermo e oggi avvocato Antonio Ingroia: c'era l'ex sindaco mafioso di Palermo Vito Ciancimino che stava dialogando con gli ex ufficiali del Ros Mario Mori e Giuseppe De Donno "nell’ambito della famosa Trattativa ormai consacrata" anche dalla stessa Cassazione che "ha mandato assolti gli imputati" ma ha detto "che la trattativa ci fu". 
Nella puntata si è parlato anche dell'attentato al magistrato Nino Di Matteo: il conduttore Alberto Nerazzini ha ricordato che era già pronto il "piano per colpire" il magistrato con "150 chili di esplosivo". 


vaccarino la7

Corrado Formigli e Alberto Nerazzini


L'indagine a riguardo è stata archiviata ma nelle carte viene sancito come “deve ritenersi provata l’esistenza di un progetto criminoso teso all’eliminazione del dr. Di Matteo, magistrato da sempre impegnato sul fronte antimafia, da ultimo protagonista delle indagini sulla cosiddetta trattativa fra Stato e mafia ai tempi delle vicende stragiste dei primi anni Novanta". Inoltre gli inquirenti nisseni hanno anche espresso “un giudizio di sostanziale attendibilità” rispetto alle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Vito Galatolo, ovvero il soggetto principale che ha ricostruito tutti i passaggi del piano di morte.
L’ex boss dell’Acquasanta, pentitosi nel novembre 2014, aveva parlato di un progetto di attentato, mai revocato, deliberato sin dalla fine del 2012. Interrogato dai pm aveva riferito di una richiesta inviata con una lettera da Matteo Messina Denaro letta in un summit ristretto a cui partecipò assieme al suo vice, Vincenzo Graziano, ed i capi mandamento di San Lorenzo e Porta Nuova, Girolamo Biondino e Alessandro D’Ambrogio. Inoltre aveva spiegato anche il motivo per cui il pm doveva essere ucciso: “si era spinto troppo oltre”.
Parole pesantissime che ricordano i terribili anni dal biennio stragista. E sullo sfondo, come scritto dai magistrati nisseni, una certezza: “l’ordine di colpire Di Matteo resta operativo". 

Guarda la puntata integrale: clicca qui!

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