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Difficile poter credere alla signora Maria Falcone quando parla di “mero errore” e di “nessuna intenzionalità”. Il trombettiere suona il silenzio di ordinanza dieci minuti in anticipo sull’orario della strage. Un lasso di tempo alquanto funzionale a concludere l’evento al più presto. Prima dell’arrivo di un corteo non gradito nel quale si muove il popolo multietnico dell’associazionismo antimafia. Che pretende a gran voce la verità sui mandanti esterni delle stragi del ‘92 e del ‘93. Siamo a Palermo, là dove le polemiche si fanno più virulente soprattutto a ridosso di funerali o di commemorazioni di Stato. Ma quale Stato? Quello patinato che negli anniversari delle stragi continua a ostentare la narrazione romantica dei mafiosi cattivi che uccidono i giudici buoni? Quello del ministro Carlo Nordio che mentre fa a pezzi la giustizia stringe la mano alla sorella del giudice Falcone che gli rende omaggio assieme alla presidente della Commissione antimafia Chiara Colosimo? “Alla fine dell’esistenza, non ci sarà chiesto se siamo stati credenti, ma credibili”, diceva il magistrato ucciso dalla mafia Rosario Livatino. E qui di credibilità se ne vede ben poca. Nel suo messaggio per il 23 maggio il presidente della Repubblica Mattarella parla della mafia e dei suoi “nuovi legami con attività economiche e finanziarie”. Poi però non muove un dito per fermare la deriva di una “riforma” della giustizia che fa a pezzi la nostra Costituzione. Né tanto meno dà segni di preoccupazione di fronte alle manovre della Commissione antimafia che a stretto giro butterà fuori il sen. Roberto Scarpinato e l’on. Federico de Raho perché ritenuti scomodi. Certo è che il Presidente della Repubblica non prende posizioni nette nemmeno di fronte alla complicità del governo Meloni nel genocidio di Gaza.


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Poi però quando il capo di Stato si ritrova a commentare la notizia sugli 800 miliardi previsti per il ReArm Europe - che andranno a sottrarre fondi nazionali alla sanità, all’istruzione o al welfare - afferma impunemente: “Questa cosa del riarmo è diventata fondamentale per la sicurezza e la stabilità dell’Europa e del mondo intero”. Più che di schizofrenia istituzionale probabilmente si potrebbe parlare di “coerenza” istituzionale. La coerenza di un potere che predilige seguire linee guida ben consolidate negli anni. Una coerenza istituzionale manifestata platealmente in ogni sua azione da questo governo fascista. Che su più fronti sta attuando i peggiori propositi: a partire da quelli lasciati da Licio Gelli passando per i desiderata di Silvio Berlusconi. Con la complicità della stragrande maggioranza dei mezzi di informazione.
Ecco perché è molto difficile credere alla signora Maria Falcone quando parla di “mero errore” e di “nessuna intenzionalità”. Sembra piuttosto che la decisione di quell’anticipo di 10 minuti sia l’ennesima conferma della sua “coerenza” con quell’antimafia istituzionale che le è molto cara. La “coerenza” della signora Falcone è legata a doppio filo alle manganellate ai manifestanti sotto l’albero Falcone di due anni fa mentre il sindaco di Palermo Lagalla – sostenuto da condannati per mafia come Cuffaro e Dell’Utri – era amichevolmente con lei sul palco. 


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E l’ondata di indignazione, rabbia e dolore che quell’anticipo sull’orario della strage ha provocato in moltissimi palermitani ha riportato indietro le lancette degli orologi di quarant’anni fa. Per un attimo è sembrato quasi di rileggere la lettera della signora Patrizia Santoro mentre si lamentava delle sirene delle auto di scorta dei magistrati che disturbavano il suo sonnellino pomeridiano. Era il 14 aprile 1985, pochi mesi dopo sarebbe iniziato il Maxiprocesso, ed erano gli anni della mattanza mafiosa. Quella lettera pubblicata sul Giornale di Sicilia aveva sortito l’effetto di far sentire isolati quei magistrati, tra cui gli stessi Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, che stavano già pagando un prezzo altissimo mentre combattevano la mafia. Oggi quel tentativo di isolare e dividere un’antimafia lontana dalle passerelle viene gettato in faccia - con atteggiamenti arroganti - a tanti ragazzi e ragazze, a tanti uomini e donne scesi in piazza per gridare tutta la loro sete di verità e giustizia. E quel “mero errore” di cui parla Maria Falcone ha quindi il sapore amaro del disprezzo nei loro confronti. Che è già stato rispedito al mittente attraverso forme civili e legittime di protesta. Perchè nulla potrà arginare quell’onda di dissenso verso chi, calpestando la memoria dei nostri martiri, calpesta la verità. 

Foto © Davide de Bari

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