I due magistrati con Di Battista ricordano Falcone e le ipocrisie delle riforme
Un 23 maggio contro il silenzio, contro il tentativo di una classe politica scellerata di riscrivere la storia, contro i depistaggi istituzionali, contro le riforme dell’ingiustizia che tradiscono l’operato del giudice Giovanni Falcone, contro le ipocrisie, le passerelle, i bavagli ai pm.
Così il sostituto procuratore nazionale antimafia e già consigliere togato al Csm Nino Di Matteo, il procuratore capo di Napoli Nicola Gratteri e Alessandro Di Battista, reporter, attivista ed esponente dell’Ass. Schierarsi - che ha promosso l’evento “Schierarsi - Dalla parte della legalità, dalla parte della giustizia” hanno ricordato i martiri assassinati da Cosa nostra e non solo al Teatro Totò di Napoli.
Cosa fu Capaci?
La strage del 23 maggio 1992 “è un episodio dei sette episodi di strage che si sono verificati tra il 1992 e il 23 gennaio '94 quando era tutto pronto per realizzare l'attentato all'Olimpico”. La commissione parlamentare antimafia “invece di cercare di capire qual è il filo che unisce questi sette episodi, che cosa c'è dietro una campagna stragista che non ha precedenti nella storia repubblicana e soprattutto nella storia della mafia” si sta concentrando “soltanto su uno dei sette episodi, la strage di via d'Amelio” approfondendo “o finge di approfondire soltanto una delle piste - quella di Mafia-Appalti - peraltro forse non particolarmente fondata e perde di vista il contesto”.
“Attenzione - ha sottolineato con forza - a quello che sta accadendo anche nella Commissione parlamentare antimafia; sembra una lettura minimalista, quasi un depistaggio istituzionale che sta avvenendo ora sulle stragi. Attenzione al calo di tensione. Noi prima avevamo uffici giudiziari, direzioni distrettuali antimafia, direzione nazionale antimafia, uffici di polizia, Dia, carabinieri, polizia di stato che si dedicavano in maniera molto forte con i limiti, con gli errori, con le omissioni, ma molto forte alla ricostruzione degli eventi stragisti. Oggi sembra che li dobbiamo dimenticare”. Della strage di Capaci “non è vero che non sappiamo niente” ma “sappiamo tanto da poter dire che ancora la verità non è completa” poiché “proprio perché dai processi che si sono celebrati, dalle indagini è venuta fuori” la “responsabilità degli uomini di Cosa nostra ma vengono fuori tanti concreti elementi che fanno ritenere che assieme agli uomini di Cosa nostra sia nella fase organizzativa, sia nella fase esecutiva, sia nella fase ideativa della strategia stragista è probabile che ci fossero uomini esterni a Cosa nostra”. Capaci non è stata affatto una strage 'ovvia', ma presenta delle caratteristiche uniche: “L’unico nella storia d'Italia, nei confronti di un convoglio di macchine blindate in movimento” ha detto; “Non è l'attentato a Rocco Chinnici, non è l'attentato a Paolo Borsellino, non è l'autobomba posta sotto l'abitazione del giudice o della mamma del giudice, è un attentato che è stato fatto con modalità tali veramente da assumere una connotazione terroristica".
“Il modo migliore per ricordare è pretendere” che “il percorso di verità venga completato” pretenderlo “da noi magistrati”, pretenderlo “dalle “forze dell'ordine”. “Non ci arrendiamo a quel clima di oblio che si respira a pieni polmoni su queste vicende”. Oggi - ha continuato - “sembra che si voglia calare il sipario su queste vicende perché si ha paura di poter eventualmente scoprire e verificare da un punto di vista giudiziario ma anche da un punto di vista giornalistico, da un punto di vista storico che quello che è avvenuto non è una storia soltanto di mafia, non è la storia soltanto di Salvatore Riina, di Bernardo Provenzano, di Giovanni Brusca".
https://www.antimafiaduemila.com/home/primo-piano/105108-nordio-e-i-bavagli-ai-pm-di-matteo-e-gratteri-non-ci-intimoriscono.html#sigProId3d798226db
È inutile girare attorno a questo concetto: “La storia di Cosa nostra è da sempre una storia di potere che si nutre del rapporto con la politica”. “Io ricordo sempre che uno dei collaboratori di giustizia più importanti”, Salvatore Cancemi, il quale la “prima volta che lo interrogai” disse ciò che Salvatore Riina gli spiegava: “‘Picciotti, se noi non avessimo avuto il rapporto con la politica saremmo stati come una banda di sciacalli, ci avrebbero debellato subito, in un anno, senza nessuno sforzo’”. Se le istituzioni vogliono veramente vincere la guerra contro la mafia “il primo obiettivo deve essere proprio quello di recidere ogni possibilità di rapporto tra la mafia e la politica”.
Ma per quest’ultima “manca un sistema che garantisca la responsabilità politica, al di là di quella penale”.
Non a caso al governo c’è un partito fondato anche da figure come Marcello Dell’Utri e il senatore D’Alì, entrambi definitivamente condannati per reati legati alla mafia. Questo stesso partito, per decenni, è stato rappresentato da Silvio Berlusconi, descritto in una sentenza definitiva come colui che, almeno tra il 1974 e il 1992, ha stipulato e “mantenuto un patto di reciproca protezione con le più potenti famiglie mafiose palermitane di Cosa nostra, versando loro centinaia di milioni di lire”. Nello stesso periodo, queste famiglie hanno compiuto crimini efferati.
https://www.antimafiaduemila.com/home/primo-piano/105108-nordio-e-i-bavagli-ai-pm-di-matteo-e-gratteri-non-ci-intimoriscono.html#sigProId44020ba1b2
Falcone e i gattopardi
Falcone, ha ricordato Di Matteo, è stato “un uomo dello Stato che ha subito prima di essere ucciso le peggiori delusioni della sua vita, le peggiori sconfitte della sua vita proprio all'interno dello Stato”: per esempio la bocciatura al “concorso per dirigere l'ufficio istruzione” o “quando si candidò al Consiglio Superiore della Magistratura”; ma uno degli episodi più gravi fu “quando Giovanni Falcone scampò miracolosamente all'attentato dell'Addaura”. In quell’occasione al magistrato ucciso a Capaci gli “hanno detto di tutto, pure di essersi messo la bomba da solo”. E poi ancora di essere “un giudice comunista, che era un giudice politicizzato, che era un giudice che partecipava al dibattito pubblico perché cercava la notorietà”.
Anche il procuratore capo Nicola Gratteri ha ricordato “l’amarezza” di Falcone: “Lui - ha spiegato - era un ‘perdente nato’ sul piano della vita: candidato al Csm prese 51 voti su bacino elettorale di 500 voti della Corte d’Appello di Palermo”; era osteggiato soprattutto da “dentro la magistratura perché era un fuoriclasse e nella migliore delle ipotesi l'invidia è una brutta bestia”.
Ma la vera ipocrisia si è manifestata dopo la morte del giudice: "Quando sono stati uccisi Falcone e Borsellino, mi trovavo al carcere di Bologna. All'epoca non c'erano i cellulari. Sentivamo i detenuti che facevano rumore sulle grate con le pentole. Poi abbiamo saputo e capito. La morte di Falcone mi ha molto sorpreso”. “Io, invitato in Sicilia, non ricordo se a Trapani o Marsala ricordo che salgo a parlare e poi parlano personaggi che in vita hanno ingiuriato e deriso, ovviamente sempre alle spalle, questi due grandi uomini. Sono saliti i gattopardi. E noi che siamo ancora vivi dobbiamo denunciare. Dobbiamo stanare i gattopardi, non dargli tregua, guardarli negli occhi. Noi ci siamo, abbiamo costruito una vita per dire quello che pensiamo. E chiunque avremo davanti, diremo quello che pensiamo”.
https://www.antimafiaduemila.com/home/primo-piano/105108-nordio-e-i-bavagli-ai-pm-di-matteo-e-gratteri-non-ci-intimoriscono.html#sigProIdfa6c530544
Nordio e i bavagli ai pm, Di Matteo e Gratteri: non ci intimoriscono
Il ministro della giustizia Carlo Nordio “ha detto che sta studiando un pacchetto per avviare procedimenti disciplinari contro di noi che critichiamo le sue riforme”, ha ricordato Gratteri, il quale provocatoriamente ha detto “speriamo che lo faccia, perché poi gli diremo anche il resto. Non ho questo problema, non mi faccio intimorire. Io sono andato avanti da piccolo, con spalle larghe e nervi d’acciaio. Non ce ne sarà per nessuno, stiano tranquilli. Tutte le riforme che stanno facendo sulla libertà di stampa e comunicazione servono solo per impedire ai cittadini di sapere cosa succede nei loro territori”. Anche Di Matteo si è detto pronto a continuare a “parlare, non mi interessa la carriera, non mi è mai interessata, non ho problemi a dire quello che penso, sento il dovere di dirlo e non può essere certo lo spauracchio di un procedimento disciplinare a indurmi a comportarmi diversamente. Io ho visto i morti a terra, io come tanti altri magistrati che siamo entrati nel '91-'92, ci siamo formati in quel tipo di clima. Io, mio malgrado, vivo da 33 anni con la scorta e dovrei stare attento a non incorrere nel procedimento disciplinare perché non posso spiegare ai cittadini qual è la mia opinione su queste riforme. Queste sono riforme che non servono al cittadino. Non c'è una riforma che renda più veloce il processo”.
https://www.antimafiaduemila.com/home/primo-piano/105108-nordio-e-i-bavagli-ai-pm-di-matteo-e-gratteri-non-ci-intimoriscono.html#sigProId09d2b2f72d
Grande ipocrisia da chi approva e vota riforme sulla giustizia
Si sono spinti a dire, stravolgendo la verità, che Falcone non sarebbe mai andato a “parlare in televisione, a parlare ai giovani, scrivere articoli sui giornali”. In vero “lo ha fatto perché sapeva quanto era importante, quanto è stato importante spiegare all'opinione pubblica di allora, ai giovani, al popolo, cosa fosse la mafia. Aveva una rubrica fissa sul quotidiano La Stampa, andava in televisione, andava a parlare con i ragazzi delle scuole”. Assieme a Paolo Borsellino spiegava “all'opinione pubblica che cosa stava venendo fuori dalle dichiarazioni di Tommaso Buscetta sulla struttura di Cosa nostra ben prima che la sentenza del maxiprocesso, fondata anche sulle dichiarazioni di Buscetta, passasse in giudicato”.
Invece nell’attuale clima istituzionale e politico si pretende “che il magistrato può parlare delle vicende processuali soltanto dopo che la sentenza è passata in giudicato. E allora ricordiamoci che Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, se fosse stata vigente la legge introdotta appunto delle riforme per tutto un continuo, Cartabia-Nordio io lo considero un'unica riforma, sarebbero stati al tempo sottoposti a procedimento disciplinare” e chi ha approvato tali riforme “almeno eviti di commemorarli”.
L’ipocrisia si appalesa anche quando chi, nelle istituzioni, dichiara di non ‘voler toccare la legislazione antimafia’ e quando vengono approvate determinate riforme (es: taglio sulle intercettazioni e l’abrogazione dell’abuso d’ufficio): “È una grande ipocrisia - ha detto il magistrato palermitano - perché queste riforme che stanno approvando pregiudicano anche l'efficacia della lotta alla mafia” perché “da sempre mafia e corruzione sono due facce della stessa medaglia criminale. Oggi le mafie hanno definitivamente capito - anche se non è sicuro che non si possa tornare ad una strategia stragista di attacco frontale alle istituzioni - che la violenza, il clamore, i delitti eccellenti non pagano”.
Meglio “riciclare il provento di traffici di stupefacenti con la costruzione di un grande centro commerciale in un territorio”; “quindi da questo punto di vista non facciamoci ingannare da quelli che ci dicono ‘ma noi non stiamo toccando la legislazione antimafia’”. Gratteri ha ricordato, sempre su questo solco, la riforma Cartabia “entrata in vigore nel 2025”, quella sulle intercettazioni e l’abolizione dell’abuso d’ufficio: “Sulle intercettazioni, potrei parlare tre giorni sull’abolizione dell’abuso d’ufficio. Dicono: ‘Ci sono poche condanne, solo 5.000’. E io rispondo: per coerenza, prendete il codice penale, vediamo i reati con meno di 5.000 condanne e aboliamo quegli articoli. A quel punto, il codice penale diventa un opuscoletto”.
C’è chi, soprattutto nella politica, tenta di delegittimare l’operato dei pubblici ministeri dicendo che il “5% delle persone viene assolta”.
Ma per essere “assolti ci vuole un processo”, non basta “l’iscrizione del reato”. Per esempio: un cittadino denuncia e il pubblico ministero delega le indagini alla polizia giudiziaria e si scopre che quello che dice non era vero.
“Io, come PM, chiedo al giudice l’archiviazione, e viene emesso un decreto di archiviazione. Non c’è stato interrogatorio né indagato, ma nella loro statistica risulta assolto. Per assoluzione, però, ci vuole un processo, un dibattimento".
https://www.antimafiaduemila.com/home/primo-piano/105108-nordio-e-i-bavagli-ai-pm-di-matteo-e-gratteri-non-ci-intimoriscono.html#sigProId1e8b332020
La separazione delle carriere è nel programma di Licio Gelli
La separazione delle carriere è “al primo posto nella parte del piano di rinascita democratica di Licio Gelli che riguardava la giustizia” - ha detto Di Matteo - poi “è stato il cavallo di battaglia del primo governo Berlusconi, adesso ci stanno riuscendo” giustificandola con una serie di menzogne: si sostiene che serva per evitare il passaggio di magistrati tra funzioni di pubblico ministero e giudice, ma questo fenomeno è marginale (meno dell’1% dei magistrati cambia funzione) e già regolato da vincoli geografici. Inoltre, l’idea che i giudici siano influenzati dai PM per la condivisione del concorso non regge: le statistiche mostrano che i giudici spesso disattendono le richieste dei PM, condannando o assolvendo in contrasto con queste. L’argomento che la separazione risponda a un’esigenza popolare è smentito dal basso afflusso (meno del 20%) al referendum del 2023 promosso da Lega e Radicali per abrogare l’unicità delle carriere. In sintesi, la separazione appare una soluzione non necessaria a problemi inesistenti o marginali. “La verità è un'altra. In tutti i paesi in cui vige la separazione delle carriere, gli uffici del Pubblico Ministero, o subito o dopo qualche anno, sono stati gerarchicamente sottoposti all'esecutivo; fare fuoriuscire dall'ambito diciamo della giurisdizione, della carriera unica del magistrato i pubblici ministeri significa inevitabilmente spingerli sotto l'orbita dell'esecutivo, significa fare del pubblico ministero che oggi ha soltanto l'obbligo di cercare la verità anche quando la verità consiste nella dimostrazione dell'innocenza e dell'indagato e dell'imputato, significa trasformare il pubblico ministero in un accusatore a tutti i costi. In una sorta di avvocato a priori delle tesi della polizia, è un pericolo questo per il cittadino, comporterebbe uno squilibrio di quel principio di pesi e contrappesi che caratterizza e di distinzione dei poteri”.
Queste sono riforme “pessime” e “vengono portate avanti anche e soprattutto con il contributo di tutta la compagine governativa e quindi anche di Fratelli d'Italia”. Riforme che, oltretutto, stanno portando la “logica aziendalistica” all’interno dei “tribunali, premiando i magistrati, come i pubblici ministeri, che ‘fanno numeri’ archiviando rapidamente molti procedimenti senza approfondimenti, a scapito di chi dedica tempo e sacrificio a indagini complesse”. “Questo approccio - ha continuato Di Matteo - basato sulle statistiche, rischia di penalizzare la qualità del lavoro giudiziario. Inoltre, la magistratura, che dovrebbe essere un potere diffuso senza gerarchie, sta subendo una progressiva gerarchizzazione degli uffici, iniziata con riforme come quella Mastella. Ciò comporta il rischio che un controllo politico su pochi procuratori capi possa compromettere l’autonomia e l’indipendenza dell’intera magistratura. La credibilità della magistratura è ulteriormente minata dall’inseguimento di carriere da parte di alcuni magistrati, che evitano indagini difficili, privilegiano le statistiche e cercano appoggi politici nei ‘salotti del potere’, anziché esporsi pubblicamente”.
Il genocidio in Palestina
Di Matteo si è espresso anche sulla “politica internazionale e la situazione incredibile della rappresentazione falsa di quello che è il genocidio in Palestina”: “Quello che preoccupa è la corruzione mediatica - ha detto - Per corruzione non intendo il pagamento di denaro o di altre utilità rispetto a dare la notizia in un modo o nell'altro ma proprio il tarlo della falsa rappresentazione che si impadronisce della informazione”.
Questo tema l’aveva anticipato Alessandro Di Battista parlando di “mattanza di bambini quotidiana, oggi ne hanno ammazzati oltre 70”.
“La Presidente del Consiglio dei Ministri potrebbe fare mille azioni e non dice una santa parola, ma come fa a dormire di notte?”.
Di che cosa hanno paura i politici e gli artisti famosi?
“Di contraccolpi mediatici, dei mancati step alle carriere? Ma qua c'è gente, magistrati che hanno pagato un prezzo infinitamente superiore a qualche step di carriera. O giornalisti veri che hanno pagato un prezzo infinitamente maggiore, la vita, fatti a pezzi” a Gaza perché stavano facendo il loro dovere. “Io veramente sono robe che non riesco a comprendere”.
Sul conflitto di interessi
“La corruzione, la grande corruzione prospera in un sistema in cui non viene regolato il conflitto di interessi. Io credo che basta vedere le cronache quotidiane, ascoltare i telegiornali per capire quanto sia immanente e vasto il fenomeno del conflitto di interessi” ha detto Nino Di Matteo sottolineando la necessità che le istituzioni siano “trasparenti” e “controllabili”, una sorta di “casa di vetro”. In concreto chi si candida a ricoprire una funzione pubblica (in Parlamento, nei Comuni, in Consiglio Regionale o Provinciale) dovrebbe “entro sei mesi dall'elezione o dalla ricezione dell'incarico non solo dismettere eventuali proprietà o quote societarie di imprese che hanno anche semplicemente la possibilità di rapportarsi alla pubblica amministrazione, ma dovrebbe anche dichiarare quello che ha, la consistenza dei propri conti correnti”. Tutto questo per far si che quando scadrà il mandato “i cittadini possano controllare se c'è stato un arricchimento non dovuto, se c'è stato un qualcosa che possa suonare anche semplicemente come sospetto di una funzione pubblica volta a proprio vantaggio. Quell'articolo 54 della Costituzione che impone l'onore ai pubblici funzionari è troppo spesso dimenticato e credo che noi tutti a partire dai magistrati ma tutti gli uomini dello Stato quindi anche chi ricopre incarichi politici lo dovrebbe tenere un po' più in considerazione, altrimenti tutti facciamo finta di rispettare la Costituzione anche quelli che invece la stravolgono o nella migliore delle ipotesi la ignorano”.
(24 Maggio 2025)
Foto © Paolo Bassani
ARTICOLI CORRELATI
Il generale Mori da assolto rischia di diventare logorroico
di Saverio Lodato
La signora Falcone non faccia salire gli amici dei mafiosi sul palco di via Notarbartolo
di Giorgio Bongiovanni
La mente raffinatissima che Giovanni Falcone rivelò a Saverio Lodato
di Giorgio Bongiovanni
Vergogna all'Albero Falcone, anticipato minuto di silenzio per evitare contestazioni ai politici
Trentatré anni dopo la strage di Capaci, mandanti esterni e zone d'ombra
Onorare Falcone è scomodo: in molti a parole ne tradiscono l’impegno
di Sebastiano Ardita
Strage Capaci: è l'anniversario delle vendette, di chi vuole rifare la storia
di Attilio Bolzoni
''Palermo scende in piazza: un corteo dal basso per verità, giustizia e memoria viva''
Palermo - Non chiedeteci silenzio: il 23 maggio faremo rumore!
Bloccato il corteo antimafia, insorgono superstiti e familiari delle vittime: assurdo!
Manganelli contro il corteo antimafia: ecco come sono andati i fatti!
Il volto della repressione al corteo per Falcone e l'ipocrisia delle ''autorità''
di Salvatore Borsellino
Ingroia: ''Il blocco al corteo è una vergogna. Così si sfregia eredità morale di Falcone''