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Il legale di Salvatore Borsellino deposita memoria difensiva e chiede nuove indagini a Caltanissetta

Non archiviare le indagini sulla cosiddetta ‘pista nera’ e i rapporti tra Paolo Bellini, l'ex di Avanguardia nazionale e alcuni esponenti mafiosi come Antonio Gioè quale concausa delle stragi del 1992 e in particolare dell'anomala accelerazione nella realizzazione della strage di via d’Amelio.
È questa la richiesta dell’avvocato Fabio Repici, legale di Salvatore Borsellino, opponendosi alla richiesta avanzata a febbraio dalla Procura di Caltanissetta.
L’avvocato ha depositato una memoria difensiva con la quale ha chiesto nuove indagini durante un’udienza tenuta in camera di consiglio.
La decisione ora è rimessa nelle mani della gip Graziella Luparello; lei stessa aveva chiesto il 18 maggio 2022 di svolgere ulteriori approfondimenti sui presunti mandanti esterni delle stragi del '92, indicando cinque filoni investigativi, tra questi la cosiddetta ‘pista nera’.
"La procura - secondo quanto rileva l'avvocato Repici - non ha dato adeguato rilievo a un dato impressionante: il personaggio inviato sotto la supervisione del maresciallo Tempesta e, dietro il maresciallo Tempesta, del colonnello Mario Mori a trattare con Cosa Nostra attraverso Antonino Gioè nel 1992, appunto Paolo Bellini, era non solo un eversore neofascista militante fin da giovanissimo nell'organizzazione stragista Avanguardia nazionale fondata da Stefano Delle Chiaie ma era anche un personaggio responsabile della strage del 2 agosto 1980 alla stazione di Bologna. Da ciò la procura avrebbe dovuto trarre ovvie inferenze, che sarebbe stato necessario approfondire in ordine anche alla posizione del colonnello Mori, la cui figura emerge in modo ingiustificatamente trascurato sia dalle sentenze nei confronti di Gilberto Cavallini sia dalle sentenze nei confronti di Paolo Bellini". "Nella cruda realtà dei fatti Mario Mori fu il terminale più elevato della trattativa fra Paolo Bellini e Cosa nostra; il soppressore del documento (contenente i nominativi dei cinque capimafia dei quali era stata chiesta la scarcerazione) che era la prova materiale di quella trattativa; plausibilmente il generale dei carabinieri indicato da Gioacchino La Barbera come l'ufficiale che secondo Paolo Bellini poteva assicurare la scarcerazione di quei cinque capimafia; il falso testimone, secondo la Corte di assise di Bologna che ha condannato Cavallini, sulla strage del 2 agosto 1980, cioè il delitto per il quale Bellini è in atto ristretto in carcere in misura cautelare e condannato in primo e in secondo grado".
Questo, per Repici, "va aggiunto a tutto ciò che su Mori è stato definitivamente accertato in fatto nei processi sulla mancata perquisizione del covo di Riina, sulla mancata cattura di Bernardo Provenzano e sulla trattativa Stato-mafia”.
Repici chiede dunque, di acquisire la sentenza di secondo grado, emessa dalla Corte di assise di appello di Bologna l'8 luglio 2024 (le cui motivazioni sono state depositate il 2 gennaio 2025), con la quale è “stata confermata in secondo grado la condanna di Bellini all'ergastolo per la strage alla stazione di Bologna".


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Alberto Lo Cicero e la ‘nota Cavallo’

La gip aveva chiesto inoltre agli inquirenti di approfondire il ruolo di esponenti della destra eversiva tra cui Stefano Delle Chiaie nelle stragi del 1992.
Anche su questo aspetto la procura ha chiesto l'archiviazione, ma secondo l'avvocato Repici, sulla presenza di Delle Chiaie in Sicilia e sul suo possibile coinvolgimento nella strage di Capaci, “è sufficiente constatare come di lui si parli profusamente nella nota del Capitano Cavallo del 5 ottobre 1992. E' evidente, per ciò solo, che nessuno in buona fede può escludere che Alberto Lo Cicero e Maria Romeo (compagna di Lo Cicero) avessero confidato informalmente prima della strage di via d’Amelio agli investigatori notizie su Delle Chiaie e sui suoi movimenti in Sicilia".
Lo Cicero è un collaboratore di giustizia che per primo aveva parlato ai carabinieri - in particolare le sue dichiarazioni vennero raccolte dal brigadiere Walter Giustini - di boss importanti come Mariano Tullio Troia e Salvatore Biondino, l’autista di Totò Riina.
Di Lo Cicero se ne occupò il giudice Paolo Borsellino: le sue “rivelazioni furono utilizzate in quanto rilevanti e attendibili nell'ordinanza di custodia cautelare del Gip di Caltanissetta del 10 novembre 1993 sulla strage di Capaci. Ciò che testimonia, in primis, che Lo Cicero fu oggetto di una vera e propria attività di nascondimento successivo e che, soprattutto, l'attività di nascondimento fu mirata soprattutto all'occultamento dell'interessamento a Lo Cicero da parte di Borsellino. D'altro canto, non ci si è accorti di un altro elemento promanante dall'agenda grigia di Borsellino, alla data del 12 giugno 1992. Quel giorno Borsellino si trattenne al palazzo di giustizia dalle 8 alle 14:00 e poi dalle 16.30 fino a tarda sera. Bene, alle ore 20.30 è annotato un incontro con Vittorio Aliquò. Appare molto più che probabile che oggetto di quell'incontro fu proprio Lo Cicero".
In effetti Borsellino partecipò ad una riunione di coordinamento d'indagine del 15 giugno 1992 in cui si occupò di Lo Cicero. A quell’incontro finalizzato a coordinare le indagini parteciparono “le procure di Palermo e Caltanissetta, alla presenza del Procuratore della Repubblica di Palermo Giammanco, del Procuratore aggiunto di Palermo Aliquò, del sostituto Procuratore di Palermo Teresi e del dottor Pietro Maria Vaccara, al tempo applicato alla Procura della Repubblica di Caltanissetta per l'indagine sulla strage di Capaci e dislocato operativamente a Palermo”.
Repici ha chiesto al gip del tribunale di Caltanissetta, che "su quell'incontro andrebbe svolta l'audizione di persone che potrebbero essere informate sui fatti".

Foto © Paolo Bassani

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