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Ancora sproloqui sull'inchiesta 'Mafia-Appalti'

Nessuna novità. I discorsi e gli sproloqui li conosciamo ormai a memoria.
In questi anni, sull’onda di lapalissiano revisionismo storico, si sta cercando di far passare la strage di via d’Amelio del 19 luglio 1992, in cui morirono il magistrato Paolo Borsellino e gli uomini della sua scorta, come una semplice e puerile vicenda i cui protagonisti sono la mafia e gli appalti.
Gli alfieri di questa tesi sono, tra gli altri, gli ex ufficiali del Ros Mario Mori e Giuseppe De Donno, che si sono esibiti oggi in commissione antimafia recitando una mirabolante ricostruzione dell’indagine mafia e appalti orientata a gettare fango sui magistrati che hanno lavorato presso la procura di Palermo.
Tutto nella norma, finché De Donno ha citato il nostro giornale ANTIMAFIADuemila e il nostro direttore, Giorgio Bongiovanni, etichettandolo come “uomo delle stigmate, in quanto sostiene di averle ricevute direttamente dalla Madonna, nel corso del 1989, durante una visita al santuario di Fatima”.
Il nostro giornale, ha detto De Donno, gode "di ampia considerazione presso alcuni magistrati distintisi nel contratto a Cosa nostra, quali appunto Antonino Di Matteo, Roberto Scarpinato, Giuseppe Lombardo, Luca Tescaroli, Sebastiano Ardita, con cui partecipa a diverse iniziative antimafia come quelle ad esempio tenute nel maggio 2022 in occasione della trentennale della strage di Capaci".
Sui magistrati l'ex ufficiale ha detto il vero; ma perché questa annotazione meschina sul nostro direttore? Le risate della presidente della Commissione Antimafia, Chiara Colosimo, per logica, sono assai esplicite: sminuendo il valore delle pubblicazioni di ANTIMAFIADuemila, etichettato come un “giornale per iniziati”, ridicolizzando la figura del suo direttore. Il messaggio implicito è chiaro: se il giornale è diretto da un ‘pazzo’, da un ‘diverso’ che afferma di avere le stigmate, allora dev’essere per forza inaffidabile.
Al contrario noi abbiamo sempre riportato i contenuti delle sentenze (primo, secondo o terzo grado che siano), ordinanze, intercettazioni, documentazione processuale e via elencando; abbiamo sempre seguito i processi, udienza per udienza riportando le dichiarazioni di pm, avvocati, imputati e testimoni.
Che si guardi quindi il nostro lavoro, senza avanzare sibilline e velenose accuse.
Ma torniamo all’udienza.
Oltre a questa originale trovata, De Donno ha ripercosso la vicenda dell’indagine mafia-appalti infarcendola con una “serie impressionante di falsità e di errori depistanti dimostrabili documentalmente”, ha detto il senatore M5S Luigi Nave, capogruppo in commissione Antimafia.
Per citare solo alcune perle tra le tante, si consideri, ad esempio, che De Donno ha asserito che la Procura di Palermo avrebbe colpevolmente sottovalutato la posizione di Filippo Salomone, personaggio centrale delle indagini, benché segnalato nell’informativa del Ros del febbraio 1991 come soggetto di interesse investigativo. Chiunque può verificare come, nelle schede finali dell’informativa con le quali il ROS segnalava 45 soggetti di interesse investigativo, mancasse completamente il nome di Filippo Salomone, tanto che Antonio Di Pietro ha testualmente dichiarato alla commissione Antimafia che il Ros su Salomone aveva completamente “cannato”.


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Chiara Colosimo


Nonostante il Ros non avesse attenzionato Salomone nell’informativa del febbraio 1991, questi fu arrestato dalla Procura di Palermo nel prosieguo delle indagini una prima volta nel maggio del 1993 ed una seconda volta nel 1997.
Ancora, De Donno ha citato come riferita alle indagini su mafia-appalti una frase del diario di Falcone relativa a un’indagine su un finanziamento della Regione Siciliana, sebbene egli sia perfettamente a conoscenza che la dottoressa Sabatino, titolare di quella indagine, abbia dichiarato al CSM che si trattava di una vicenda completamente estranea e diversa da quelle oggetto dell’indagine mafia-appalti. Inoltre, per corroborare la sua ricostruzione, ha citato un provvedimento di archiviazione del GIP di Caltanissetta, Lo Forti, omettendo di citare le parti dello stesso provvedimento nelle quali lo stesso GIP ha gravemente stigmatizzato comportamenti omissivi di Mori e De Donno, ha accertato la falsità di alcune circostanze riferite dal De Donno e, di contro, ha ritenuto accertato che Borsellino era stato portato a conoscenza delle indagini su mafia-appalti”.
Oltre a questo, è stata tirata in ballo, per l’ennesima volta, la questione della cosiddetta “doppia informativa”, motivo centrale dell’attacco di De Donno al nostro giornale. Secondo l’ex ufficiale, l’esistenza di tale carteggio sarebbe stata smentita dal GIP di Caltanissetta Gilda Lo Forti e dalla sentenza di Appello del processo “Trattativa Stato-mafia”.
Affermazioni errate in entrambi i casi.
Come spiegato dai PM di primo grado del processo Stato-mafia, il 5 settembre del ’92, un anno e mezzo dopo il deposito della prima informativa, il Ros di Subranni, “costretto da una non prevista campagna di stampa che rischiava di far scoppiare lo scandalo”, si decide a depositare una seconda informativa mafia-appalti che contiene espliciti riferimenti a Calogero Mannino, Salvo Lima e Rosario Nicolosi.
In questa seconda informativa, finalmente completa, vi erano acquisizioni investigative su Mannino e sui politici. Acquisizioni addirittura di un anno antecedenti alla data del febbraio ’91, e che però erano state inspiegabilmente “escluse, stralciate, nascoste” dal rapporto mafia-appalti.
Nelle motivazioni della Corte d'Assise d'Appello di Palermo (Presidente Angelo Pellino ed il giudice a latere Vittorio Anania) c'è una lunga parte in cui si parla di tutto il caso mafia-appalti e viene anche smentita l'impostazione che fu data con il decreto di archiviazione del GUP di Caltanissetta Gilda Lo Forti, in particolare laddove si afferma che non vi fu una doppia informativa del rapporto.


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Le difese di Mori e De Donno hanno sempre sminuito la doppia informativa, ma la verità è ben diversa.
Scrivono Pellino ed Anania che "non v’è prova, infatti, di un solo atto o di una sola nota di sollecitazione ad ulteriori proroghe di intercettazioni che siano riferibili a quelle depositate come allegati all’informativa del 20 febbraio, o a quelle allegate alle informative del 2 luglio e del 5 agosto 1990. Anzi, deve ribadirsi che le conversazioni più compromettenti, e che saranno segnalate come tali nelle successive informative (“Sirap” e “Caronte”), sono quelle realizzate sulle utenze Sirap e su utenze in uso a La Cavera e Ciaravino nel periodo compreso tra marzo e giugno 1990.
Ma si tratta delle medesime utenze — o di utenze collegate agli stessi soggetti — su cui erano state realizzate, nel medesimo tempo, le intercettazioni allegate alle citate informative trasmesse nell’estate del ’90 ai magistrati titolari dell’inchiesta (e segnatamente ai dott.ri Falcone e Lo Forte), e che andranno poi a confluire nella corposa informativa “Sirap”, depositata il 5 settembre 1992, cioè due anni dopo".
De Donno ha sostenuto che i nomi dei politici coinvolti e le questioni da approfondire erano già inclusi in una pre-informativa, che sarebbe stata depositata prima di quella di febbraio 1991. Tuttavia, i giudici hanno chiarito che questa circostanza non risulta verificata e, nel migliore dei casi, potrebbe essere un errore di memoria di De Donno.
Sono anche state omesse le dichiarazioni di Pignatone, rese il 13 luglio 1993 al pubblico ministero di Caltanissetta (riportate a pagina 124 dell’ordinanza del giudice Lo Forti). Pignatone aveva spiegato che a novembre 1990 era stato concordato con De Donno di preparare una prima informativa e di proseguire con le intercettazioni sulle linee ritenute utili. Pignatone si era riferito a un’informativa depositata tre mesi dopo, cioè a febbraio 1991, e a un accordo per continuare le intercettazioni, che servivano a chiarire eventuali responsabilità.
Secondo i giudici, l’accordo di novembre 1990 riguardava la redazione di una prima informativa, basata su elementi già chiari, e autorizzava la prosecuzione delle intercettazioni. Il punto cruciale, però, è che le intercettazioni più importanti, quelle che differenziano la prima informativa del 16 febbraio 1991 dalle successive informative “Sirap” e “Caronte”, risalgono alla primavera del 1990 (tra marzo e giugno). Queste intercettazioni, quindi, sono precedenti all’accordo di novembre 1990 e non derivano dalla prosecuzione delle attività di ascolto prevista da quell’accordo. Inoltre, non vengono nemmeno menzionate nelle informative del 2 luglio e del 5 agosto 1990.


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Giuseppe De Donno e Mario Mori


Ecco dunque che i giudici della Corte d’Assise individuano “l’equivoco che ha offuscato e avvelenato l’intera vicenda”.
Si legge che "è plausibile, infatti, che le intercettazioni compromettenti per le posizioni dei politici più noti o di maggior rilievo (come Lima, Nicolosi e Calogero Mannino), sebbene realizzate nell’ambito della medesima indagine e affatto ‘nuove’ rispetto al compendio istruttorio già acquisito all’epoca del deposito della prima informativa, siano state allegate per la prima volta alle successive informative Sirap e Caronte, in quanto frutto non già della prosecuzione delle operazioni di intercettazione già in corso all’epoca, bensì di un’attività — essa sì ‘nuova’ — di riascolto delle intercettazioni già acquisite (che assommavano a diverse centinaia di conversazioni), o di un più accurato riesame dei verbali di trascrizione e dei brogliacci che si riferivano alle intercettazioni già oggetto di un precedente ascolto".
E poi ancora leggiamo in un altro passaggio: "Non ci si può tuttavia esimere dal rilevare come colpisca il fatto che tra le intercettazioni realizzate a carico del La Cavera e del Ciaravino su utenze personali o della Sirap nei mesi di maggio e giugno 1990, o comunque nella primavera di quell’anno, siano rimaste fuori del compendio che era stato certamente portato a conoscenza dei magistrati all’epoca titolari dell’indagine su mafia e appalti con le note del 2 luglio e del 5 agosto, giusto quelle che contengono specifici riferimenti ai vari Lima, Nicolosi e Mannino (Calogero). Ciò avvalorerebbe il sospetto che l’omissione non sia stata accidentale, ma intenzionale, quali che fossero le finalità di chi la commise; ed è comunque certo che tale omissione non era giustificata da accordi intervenuti con i magistrati della procura di Palermo, che, se vi furono, intervennero alla fine di agosto ’90 (come si evincerebbe dalla nota indirizzata dal Cap. De Donno al procuratore aggiunto Giovanni Falcone, che però è assai generica) e poi a novembre del medesimo anno, come risulta dalle citate dichiarazioni del dott. Pignatone".


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Per questo motivo secondo la Corte d'assise d'appello "a dir poco frettolosa e sommaria appare dunque la conclusione cui ritenne di pervenire il gip di Caltanissetta con la sua ordinanza del 15 marzo 2000 quando afferma che già nella primavera-estate del 1990 i magistrati della procura di Palermo erano a conoscenza degli elementi investigativi da cui poteva evincersi il coinvolgimento degli esponenti politici in questione. In realtà, le informative trasmesse ai predetti magistrati prima che venisse depositato il rapporto mafia e appalti del febbraio 1991 non contengono riferimenti agli esponenti politici sunnominati. E nella certosina opera del gip di Caltanissetta di ricostruzione e di acquisizione di materiali e documentazione varia proveniente dagli incartamenti relativi ai vari procedimenti i cui atti sono stati compulsati per ricavarne elementi utili alla propria indagine non v’è alcuna traccia di altre informative o annotazioni di p.g. che possano essere state trasmesse agli stessi magistrati, magari in epoca successiva all’agosto 1990, per sollecitare proroghe delle attività d’intercettazione in corso e nelle quali figurino specifici o espressi riferimenti ai personaggi politici in questione o alle quali siano allegate le intercettazioni che saranno invece allegate alle Informative Sirap e Caronte".
Ecco la verità che non si vuole vedere.
Invero, come poi precisato dai parlamentari Pd in Antimafia, Walter Verini, Enza Rando, Debora Serracchiani, Anthony Barbagallo, Peppe Provenzano, Franco Mirabelli e Valeria Valente, la “gran parte del tempo sia stato dedicato ad autodifese dei propri comportamenti. E a lanciare accuse, formulare giudizi opachi, scenari di delegittimazione nei confronti di alcuni magistrati e di esponenti istituzionali diversi, i quali da allora e da sempre sono stati protagonisti del contrasto alle mafie, al terrorismo rischiando la vita, vivendo sotto scorta. Al tempo stesso è apparso davvero poco credibile il fatto che esponenti come i due auditi, in primis il Gen. Mori, abbiano insistito per circoscrivere gli assassinii di Falcone e Borsellino e degli agenti delle scorte al solo scenario 'Mafia e appalti' - certamente rilevante - ignorando totalmente il quadro di cambiamenti politici e le scelte della Mafia, connesse a precise strategie di controllo del sistema politico-istituzionale".
Nella prossima udienza si passerà alle domande. E noi siamo veramente curiosi di sentire le risposte.

In foto: l'audizione di Mario Mori e Giuseppe De Donno per l'inchiesta di via d'Amelio in Commissione antimafia © Imagoeconomica

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