Bongiovanni alla presentazione del libro 'La Scelta': “Sistema vuole zittire la verità”
“Io credo che questo sia un mondo impazzito” perché stiamo correndo verso un Terzo Conflitto mondiale, perché la giustizia diventa sempre più a favore dei potenti, perché chi racconta la verità viene ostacolato, delegittimato e, a volte, ucciso. È questo in estrema sintesi il concetto cha ha voluto trasmettere ieri il giornalista Sigfrido Ranucci durante la presentazione del libro ‘La Scelta’ (Bompiani Overlook editore) scritto dallo stesso conduttore di Report svoltasi nell’ambito del progetto culturale “Abbicci della Legalità” al ‘Teatro del Popolo’ di Colle di Val d’Elsa (Toscana). La serata ha visto la partecipazione del direttore di ANTIAMAFIADuemila Giorgio Bongiovanni, Giuseppe Galasso (referente senese del movimento Agende Rosse e co-organizzatore), dell'assessore alla cultura del comune Daniele Tozzi, di Michele Taddei, vicepresidente dell’Ordine dei Giornalisti della Toscana e del sindaco Piero Pii che ha aperto la serata.
Il giornalista ha fatto riferimento all’articolo numero 164 approvato dal Parlamento Europeo che, in sintesi, invita gli stati membri a preparare i giovani alla guerra e incentivarne il reclutamento presso le forze armate. Non solo: si chiede alle Università di approvare e incentivare corsi di formazione e di “cooperazione tra le istituzioni di difesa e le università degli stati membri dell'UE quali corsi militari, esercitazioni e attività di formazione con giochi di ruolo per studenti civili”. “Ecco, il Parlamento ci invita ad educare alla guerra ai giovani a mettere a punto giochi di ruolo ed esercitazioni che simulano la guerra nelle università”.
Sigfrido Ranucci e Giorgio Bongiovanni
Un mondo impazzito, come detto poc’anzi che, come Crono, divora i sui figli migliori mandandoli a morire. Ranucci è certamente uno di quei personaggi scomodi che la classe dirigente vorrebbe abbattere. “Ho la certezza - ha continuato il direttore di ANTIMAFIADuemila, Giorgio Bongiovanni - che, quando non sei allineato al sistema quello stesso sistema cerca di eliminarti” perché teme la presa di coscienza di quel popolo che poi andrà a “votare, quello che decide” e che potrebbe “addirittura farlo crollare”. “Perché l'informazione che vi arriva da un giornalista, da una trasmissione, da un giornale che è fuori dal sistema, diventa davvero pericolosa”.
Quindi “non vi dovete meravigliare delle minacce di morte a Sigfrido Ranucci. Le minacce di morte ci sono perché lui e il suo programma sono un progetto di informazione alla grande massa, fuori dal sistema. Questo è molto importante. Come il magistrato - come il sostituto procuratore nazionale antimafia Nino Di Matteo – fuori dal sistema viene addirittura condannato a morte. Quindi, dietro alle minacce di morte a Sigfrido – non ho assolutamente prove, però ci vado per analisi – c’è un sistema che vuole tappare la bocca, io dico, alla verità. E Sigfrido penso che dice la verità”. E sono proprio le inchieste che conduce Sigfrido Ranucci ed altri (purtroppo pochissimi) giornalisti che fanno tremare i polsi a quel sistema di potere politico che vuole l'assopimento delle coscienze. Si tratta, volendo usare il titolo del libro, di fare La Scelta. E in questo Paese, l'Italia, quella scelta pesa.
Sigfrido Ranucci
“In Italia - ha detto Sigfrido Ranucci - ci sono 516 giornalisti minacciati e abbiamo il record europeo di giornalisti minacciati, e non è un bel vedere. Abbiamo 270 giornalisti che sono sotto tutela per il tipo di lavoro che fanno, 22 sotto scorta. Abbiamo il record mondiale dei politici che denunciano i giornalisti. Noi, a Report, abbiamo il record mondiale storico, perché addirittura un intero partito, Fratelli d'Italia, ha denunciato il nostro inviato Giorgio Mottola, responsabile della trasmissione, perché in una puntata abbiamo detto che un partito che era cresciuto così tanto aveva segnato un record: la maggior parte degli arrestati per mafia apparteneva a Fratelli d'Italia. Non l'hanno presa bene. Ci hanno denunciato”.
“Quando sono andato a leggere gli atti dentro, mi sembrava di essermi fatto un acido, perché per contare gli arrestati all'interno del partito si sono rivolti a una società esterna. Cioè, è come se uno in famiglia non sa quanti arrestati ha. Alla fine hanno detto: ‘non è il 50 per cento, ma solo il 20 per cento’. Mi verrebbe da dire che "il 20 per cento non è che è poco” ha detto Ranucci ritornando poi a utilizzare la metafora di un jazzista cieco per descrivere il lavoro del giornalista di inchiesta che anch’egli attraversa il buio senza sapere dove porterà l’inchiesta, ma ha il compito di essere gli occhi della collettività sulle vicende più scabrose che riguardano le classi dirigenti.
Michele Taddei
“‘La Scelta’, secondo me, la dobbiamo fare — i giornalisti la dovrebbero fare”, ma soprattutto, il popolo la deve fare: “Dobbiamo mantenere in vita determinate trasmissioni televisive, determinati giornali, determinati giornalisti che vogliono dare al popolo, trasmettere i fatti e la verità. Così com'è. A volte è scomoda, spesso è scomoda, ma è la verità”. “È la verità che fa libero l’uomo. Lo disse un rivoluzionario, Gesù di Nazareth” ha detto il direttore di ANTIMAFIADuemila che da ben 25 anni lotta contro il cancro che divora il tessuto economico e sociale dello Stato.
"Questo libro, a mio parere — ha aggiunto Michele Taddei - è uno dei tanti abbecedari dell'ABC della legalità. La scelta, una parola semplicissima. La scelta che, a mio parere, non riguarda — come dire — gli altri, ma noi stessi. Riguarda ognuno di noi” e ci pone davanti “ai fatti importanti della vita, e di fronte alle scelte tra quello che ci sembra tutto normale, e invece saper scegliere quello che è normale, quello che è legale, da quello che non lo è".
Tuttavia nel nostro Paese, ha aggiunto poi il direttore di ANTIMAFIADuemila, i giornalisti spesso fanno una scelta diversa: “Quella di servire il potere, di schierarsi a favore del potere, qualsiasi esso sia. Non ci sono più grandi giornali. Ci sono giornali di potere. Tutti i giornali che noi abbiamo in Italia non raccontano niente. Io non li compro più. Perché? Perché sono giornali di regime” ha detto Bongiovanni ricordando il poco risalto dei media nazionali della manifestazione contro il riarmo dell'Europa promossa dal Movimento 5 Stelle.
Da destra: Daniele Tozzi, Giorgio Bongiovanni, Sigfrido Ranucci, Giuseppe Galasso e Michele Taddei
“Sigfrido - ha continuato - è l'ultimo baluardo dell'informazione che c'è in Italia. Non lo dico perché sono estremista o terrorista, lo dico perché i fatti mi danno ragione. Sigfrido ha raccontato un fatto che ha disturbato i potenti del mondo: l'utilizzo delle armi e dei proiettili con il fosforo bianco e quelli radioattivi all'uranio impoverito, dimostrando che molti nostri soldati si sono ammalati, alcuni sono morti”. Il conduttore di Report, ha ricordato, “si è occupato (e si occupa, ndr) tanto anche di mafia, di inchieste, di mandanti esterni delle stragi, mafia, politica e corruzione”. Fu anche il primo a intervistare il celeberrimo capomafia Salvatore Cancemi.
Ma nonostante questo inestimabile servizio al popolo i potenti, anziché premiare, stanno cercando di portare Report e il suo conduttore in Tribunale utilizzando sovente la pratica della delegittimazione. Nel 2021, una lettera anonima lo accusò di bullismo sessuale e di legami con la sanità lombarda; utilizzata in Commissione di Vigilanza RAI, divenne un caso mediatico senza prove. Un altro dossier falso, contenente un video manipolato, fu diffuso dopo la rielezione di Mattarella, firmato da un giornalista di Italia Viva, Aldo Torchiaro, confermando una campagna sistematica di delegittimazione contro Ranucci e Report.
Le inchieste di Sigfrido Ranucci
Nel 2000 Ranucci ritrovò un’intervista del 1992 di Paolo Borsellino a giornalisti francesi, in cui questi parlò di Berlusconi, Dell’Utri e Mangano. Mai trasmessa da Canal Plus, l’intervista fu rinvenuta grazie a Fiammetta nell’archivio. Ranucci preparò uno speciale RAI con rivelazioni sulla trattativa Stato-mafia, ma pressioni politiche ne bloccarono la trasmissione. Solo frammenti furono trasmessi su Rai News 24. La successiva diffusione, con Marco Travaglio, provocò la sospensione di Luttazzi, Biagi e Santoro. Accusato di manipolazione, Ranucci rischiò 15 anni di carcere, ma fu scagionato.
Il sindaco di Colle Val d’Elsa, Piero Pii
Altra inchiesta fu quella del 2014, quando Ranucci indagò su Flavio Tosi, allora sindaco di Verona e figura di spicco della Lega Nord. Ricevette segnalazioni su infiltrazioni della ‘Ndrangheta nell’amministrazione veronese e su un video hard che avrebbe reso Tosi ricattabile. Ranucci trovò conferme sull’attività mafiosa, poi sancite dalla Cassazione, e identificò un cantante leghista, vicino a Umberto Bossi, in possesso di immagini del video. Tuttavia, il cantante avvertì Tosi, il quale orchestrò una trappola: Ranucci fu registrato di nascosto da emissari di Tosi, che lo accusarono di costruire un dossier falso con fondi RAI. La notizia esplose sui media, mettendo a rischio la credibilità di Ranucci e di Report. In un momento di sconforto, Ranucci considerò gesti estremi, ma una telefonata del figlio e le proprie registrazioni, che confermarono la veridicità dell’inchiesta, lo spronarono a reagire. Nonostante denunce, attacchi mediatici e il silenzio degli amministratori, Ranucci proseguì l’indagine grazie a una producer svizzera, affetta da sclerosi multipla, che lo aiutò a contattare fonti e autorità.
Con il supporto della producer, l’inchiesta fu trasmessa, generando grande attesa a Verona, dove bar e ristoranti offrirono pacchetti da 20 euro per guardare Report, come fosse un evento sportivo. Ranucci ricevette 19 querele per 36 minuti di trasmissione. Combatté per sei anni per difendere la credibilità del programma e fu archiviato per tutte le accuse. Tosi, condannato in primo grado per diffamazione, evitò il carcere con una transazione. Tosi si ricandidò con Forza Italia, fu eletto europarlamentare e si candidò alla presidenza del Veneto. Vecchi video riemersero in seguito per delegittimare Ranucci, come in Albania, dove un’inchiesta sui migranti lo vide attaccato, nonostante un sondaggio locale gli desse ragione. E poi in ultimo l'inchiesta su Renzi-Mancini.
Nel 2020, un’insegnante di sostegno, priva di legami con i servizi segreti, filmò casualmente un incontro tra Matteo Renzi e Marco Mancini, agente segreto, all’autogrill di Fiano Romano. Le foto, inviate a un giornalista locale e al Fatto Quotidiano, non furono pubblicate subito e giunsero a Report nell’aprile 2021; l’inchiesta fu trasmessa il 3 maggio. La vicenda scatenò accuse contro Ranucci, dipinto come agente di servizi cinesi o russi, nonostante smentite, come una nota del ministro russo Lavrov, che lo definì “nemico del Cremlino”.
Foto © Piero Di Stefano
ARTICOLI CORRELATI
I balilla fascisti del Foglio che sputano veleno contro i giornalisti
Di Giorgio Bongiovanni
Trattativa Stato-mafia, mandanti esterni e ''mordacchia'' all’informazione
L'assurdo ''processo'' a Report e Ranucci in commissione Vigilanza Rai
Inchiesta Report su B, per la figlia è 'pattume mediatico': il rigore giornalistico fa saltare i nervi
Ranucci: ''Governo intollerante a magistratura e giornalismo indipendenti''
Ranucci: ''Ho certezza che Fazzolari ha attivato i servizi per avere info sulla mia attività''
Ranucci: ''Libertà d’informazione? Sono preoccupato. Alcune riforme sono pericolose''
Fratelli d'Italia querela Report per l'inchiesta 'Mafia a tre teste'
Ranucci: ''In Italia record mondiale di querele dei politici a danno dei giornalisti''