
L'intervista del TGR Sicilia all'autore di "Cinquant'anni di mafia" a margine della presentazione del libro a Palermo
“Un conto era il braccio militare di Cosa nostra, che veniva perseguito soprattutto quando le stragi e la macelleria cittadina e siciliana non consentivano di poterne fare a meno. Quando si saliva di livello, però, anche gli stessi magistrati hanno trovato le loro difficoltà”. Così Saverio Lodato in un'intervista realizzata da TGR Sicilia a margine della presentazione del suo libro "Cinquant'anni di mafia" presentato ieri al Teatro Golden di Palermo.
Sul palco, accanto all’autore, anche il sostituto procuratore nazionale antimafia Nino Di Matteo, l’ex procuratore generale di Palermo Roberto Scarpinato, l’avvocato Luigi Li Gotti, l’attrice Lunetta Savino e Giorgio Bongiovanni, direttore di ANTIMAFIADuemila, che ha celebrato i 25 anni della redazione. In collegamento anche Salvatore Borsellino, fratello del giudice Paolo e leader del Movimento delle Agende Rosse.
“Non mi sento rappresentato da un’Anm che ha reso più debole e meno credibile, agli occhi dei cittadini, la magistratura italiana”, ha detto Di Matteo. Parole che risuonano come una denuncia chiara e diretta: di questo passo, la magistratura continuerà a perdere credibilità, mentre il Paese sembra dimenticare i valori della Costituzione.
Ad arricchire l'evento, oltre alle letture di Lunetta Savino, anche una mostra fotografica che immortalava Saverio Lodato assieme ai giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.
Falcone, in particolare, durante la presentazione del primo volume della serie - "Dieci anni di mafia" - presentato nel 1990 alla festa de L'Unità di Modena disse: “Un fatto mi sembra importante è che questo libro sia riuscito a dare un filo conduttore a tutta una serie di avvenimenti che si sono svolti in un arco di tempo non indifferente, cioè dieci anni, e soprattutto in un periodo in cui si sono verificati i fatti più significativi della repressione statuale rispetto al fenomeno mafioso (...) Io credo che la caratteristica di questo libro è che sia riuscito finalmente a dare una visione unitaria di queste vicende”.
Falcone, con la lucidità che lo contraddistingueva, andava oltre l’analisi storica e offriva un quadro profetico e allarmante sul rapporto tra mafia e Stato. Parlava del pericolo rappresentato non solo dall’azione diretta delle cosche, ma anche dall’indifferenza e dalla complicità nascosta delle istituzioni.
“Si muore quando un dito indice, che proviene dall'interno delle Istituzioni, ti offre alla vendetta mafiosa e ciò avviene non soltanto se tu fai un passo avanti ma se quelli che restano accanto fanno un passo indietro”.
Il magistrato sottolineava come le stragi e gli omicidi che avevano insanguinato gli anni '70 e '80 non fossero solo il frutto di un attacco mafioso, ma anche della “inerzia, l’ignavia e il disinteresse” di chi avrebbe dovuto agire e invece rimase immobile.
“Non è un caso – aggiungeva ricordando il sanguinario attacco delle mafie contro poliziotti, magistrati e giudici – se tutte le uccisioni si sono realizzate esclusivamente nei confronti delle persone che erano particolarmente esposte e lo erano non soltanto per la loro specifica attività, ma perché di fronte al loro particolare impegno c'è stata l'inerzia, l'ignavia e il disinteresse di tanti altri che avrebbero dovuto fare e che invece non hanno fatto”.
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La rubrica di Saverio Lodato
Foto © Paolo Bassani
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