Al Teatro Golden presentato il libro di Saverio Lodato con Di Matteo, Scarpinato, Li Gotti, Borsellino, Lunetta Savino, Bongiovanni e ANTIMAFIADuemila
“Fuori la mafia dallo Stato!”. Un grido unico quello lanciato dalle mille persone che ieri sera hanno riempito il Teatro Golden di Palermo per assistere alla presentazione del “Cinquant’anni di mafia” (Ed. Bur-Rizzoli) scritto da Saverio Lodato. Tutti in piedi per gridare all’unisono. Un’immagine simile a quella che, solo pochi mesi fa, si era verificata al Teatro Quirino di Roma durante il debutto dello stesso libro. Ancora un sold out. Segno che la cittadinanza ha interesse a sapere non solo la storia della mafia ma anche del Paese, la più stretta attualità sulla giustizia e l’informazione, raccontata da un cronista di strada come Lodato che per anni è stato corrispondente de L’Unità a Palermo.
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“Su questo palco e in platea c'è un gruppo sempre più ristretto di persone tenaci e agguerrite che con ruoli diversi hanno una caratteristica comune: sono un manipolo di resistenti”, dice il sostituto procuratore nazionale antimafia ed ex consigliere togato del Csm, Nino Di Matteo. A fianco a lui, oltre all’autore del libro, l’ex procuratore generale di Palermo - oggi senatore M5S - Roberto Scarpinato; l’avvocato Luigi Li Gotti, l’attrice Lunetta Savino e Giorgio Bongiovanni, direttore della redazione ANTIMAFIADuemila che proprio in questi giorni si appresta a celebrare il suo 25° anniversario. "Sono 25 anni di battaglie, di inchieste, di processi. 25 anni di storia e di sacrifici. Ringrazio tutta la mia redazione, a partire dai miei storici collaboratori Petrozzi e Baldo, e tutti i giovani ragazzi che ancora oggi continuano a lavorarci", dice.
In collegamento anche Salvatore Borsellino, fratello del giudice Paolo nonché leader del Movimento delle Agende Rosse. Tante le personalità presenti. Assente il Sindaco Roberto Lagalla, il presidente della Regione Renato Schifani e, come ha sottolineato Lodato durante il suo intervento, “i rappresentanti di quelle facoltà universitarie che grande compito avrebbero, almeno teoricamente, nella formazione delle nuove generazioni”.
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“Il manipolo di resistenti” a cui ha fatto riferimento Di Matteo non era solo quello sul palco, appunto. Presenti in sala alcuni familiari di vittime innocenti di mafia, tra cui Flora e Nino Agostino. Presenti anche ex magistrati della Procura di Palermo come Gioacchino Natoli, Guido Lo Forte e Alfredo Morvillo. I compagni storici di Peppino Impastato, Salvo Vitale e Faro Di Maggio. E anche giornalisti che quotidianamente si battono per tutelare la libertà di informazione rimasta nel nostro Paese, come Sigfrido Ranucci. Tutti presenti per ascoltare il racconto “una pietra miliare per conoscere la storia di questo Paese - sottolinea Lorenzo Baldo, vicedirettore di ANTIMAFIADuemila -, soprattutto quella che il nostro Governo vorrebbe censurare”.
Questo “manipolo di resistenti”, aggiunge Di Matteo, “non si rassegnano di fronte a un Paese che sta perdendo la memoria e tradisce i principi della propria Costituzione. Non accettano l’omologazione, non accettano l’opportunismo e nemmeno l’archiviazione delle stragi come semplice frutto dei corleonesi cattivi contro uno Stato irreprensibile e compatto nella lotta alla mafia. Chi è qui con me sul palco sta pagando un prezzo alto, in termini di isolamento e delegittimazione, per il proprio coraggio e l’abnegazione”.
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Di Matteo: “Riforma della giustizia è pericolosa per i cittadini”
Ad aprire la serata è il magistrato palermitano, nonché pm di punta del pool che ha condotto il processo Trattativa Stato-mafia. Un libro importante, spiega Di Matteo, “le cui pagine trasudano di passione civile dovuta alla capacità di Saverio Lodato di collegare i fatti tra loro e legarli in un contesto più ampio in cui i fatti criminali si collegano alle dinamiche pubbliche del tempo. Un metodo che caratterizza il vero giornalismo d’inchiesta”. Cita Ranucci dal palco e il suo encomiabile lavoro con Report. “Un metodo che più in generale dovrebbe caratterizzare la ricerca di verità a ogni livello: giudiziario, politico, giornalistico - continua -. Seguendo il metodo usato da Lodato mi è venuto in mente il metodo usato dalla Commissione parlamentare antimafia sull’attuale analisi della stagione stragista. L’esatto opposto. Uno scempio”.
L’atomizzazione, però, non riguarda solo la ricostruzione della verità storica e processuale del biennio stragista. A macchia d’olio interessa la politica su più livelli, anche in ambito giustizia con un progetto di riforme ben preciso. “Non dobbiamo fare l’errore di considerarle come singoli progetti di riforma, l'una distinta dalle altre - continua Di Matteo -.
Sigfrido Ranucci e Salvo Vitale salutano il pubblico in sala
La separazione delle carriere, la modifica dell’obbligatorietà dell’azione penale, le modifiche al reato di traffico di influenza, l’abrogazione dell’abuso d’ufficio, le limitazioni alle intercettazioni. Tutto questo deve essere visto con un’ottica d’insieme per capire cosa sta accadendo”. “Tutto risponde a un disegno unico che affonda le sue radici in un passato assai lontano ma importante: nel programma della loggia P2 di Licio Gelli e del primo governo Berlusconi - aggiunge -. È ingeneroso attribuire solo a questo ultimo governo questo disegno, che in realtà negli ultimi 5 anni ha trovato impulso sulla riforma Cartabia e poi con le riforme del governo Meloni”.
Serve riformare la giustizia per “velocizzare i processi”, dice la propaganda di governo. Nulla di più falso. “In queste riforme non c'è una norma che possa rendere più veloci i processi - continua Di Matteo -. La verità è che in tutti i Paesi in cui vige un regime di separazione delle carriere, l'ufficio del pubblico ministero viene sottoposto all'esecutivo e questo non è un pericolo per noi magistrati, ma per i cittadini. È un pericolo per le minoranze, per coloro i quali hanno idee diverse rispetto al governo di turno”.
Di Matteo: “Ai giovani dico non rassegnatevi”
In chiusura del suo intervento, Di Matteo ha fatto riferimento ai tanti giovani presenti in sala. Ragazzi e ragazze che, probabilmente, degli anni ’90 hanno solo un tiepido ricordo. O addirittura non erano ancora nati. Un’intera fetta di società spesso etichettata come fannullona, apatica o NEET. “Oggi i giovani hanno solo un disperato bisogno di ritrovare negli adulti, nella politica, nelle istituzioni esempi credibili - spiega -. Esempi di persone che concepiscono la loro funzione non come ricerca del potere ma come testimonianza concreta di onestà intellettuale e passione civile. La responsabilità del disagio dei giovani dello scetticismo di molti nei confronti delle istituzioni, della grande incertezza sul loro futuro è soltanto nostra, è soltanto delle generazioni degli adulti che hanno gestito e continuano a gestire il potere”.
E ancora: “Stiamo lasciando alle giovani generazioni un mondo in guerra, un mondo in cui cresce a dismisura il dislivello tra i ricchi e i poveri, una vera e propria dittatura dei ricchi. Stiamo lasciando ai nostri giovani un Paese che nei fatti sembra avere rinnegato il ripudio della guerra sancito dall'art.11 della Costituzione. Un paese che fa delle esportazioni delle armi da guerra pesanti una delle voci più floride della sua economia con un aumento del 138% delle esportazioni negli ultimi quattro anni. Un Paese che non ha mosso concretamente un dito per cercare di frenare un vero e proprio genocidio del popolo palestinese”.
“Se abbiamo ancora a cuore il nostro futuro dobbiamo tutti resistere, coltivare la capacità di continuare ad indignarci, sapere prendere posizione, non piegarci alla rassegnazione, ribellarci con ogni strumento non violento alla continua e sempre più dilagante mortificazione dei principi di uguaglianza, di pace, di libera determinazione dei popoli, di giustizia sociale, di tutela delle minoranze - conclude Di Matteo -. Principi sui quali dovrebbe fondarsi ogni convivenza civile. Forse tutto questo è utopia ma so una cosa per certo che coltivare questo sogno è forse rimasto l'unico”.
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Scarpinato: “La mafia cambia, il suo potere no”
Era il 1990 quando a Modena venne presentato il primo volume di questa saga di libri, a firma di Saverio Lodato, che titolava “Dieci anni di mafia”. Ospite assieme all’autore, alla Festa de L’Unità, niente di meno che il giudice Giovanni Falcone che lodava il lavoro di Lodato per la sua capacità di analisi e racconto delle dinamiche interne a Cosa nostra attraverso i fatti di cronaca. “In questi 35 anni da quella prima edizione è successo di tutto e di più - dice il senatore Roberto Scarpinato -. La fine della Prima Repubblica, le stragi del ’92 e del ’93, i grandi processi, il mutamento del quadro geopolitico internazionale. Insomma, siamo in un altro mondo”.
“Eppure la mafia è sempre viva - aggiunge - e gode di ottima salute. E nell'introduzione al libro si legge che è facile dire ciò che è accaduto, assai più complicato è spiegarne le ragioni". “E in effetti la parte più difficile è spiegare all'uomo della strada, perché nonostante tutti questi cambiamenti epocali la mafia esiste ancora, gode di ottima salute e uno splendido futuro. Un compito arduo - continua - dovuto al fatto che l'uomo della strada, in materia di mafia, è sempre stato vittima di una grande truffa culturale”.
A distanza di 35 anni, anche se il conteggio potrebbe essere retrodatato, “nel sistema di potere mafioso lo scettro del comando è sempre rimasto saldamente nelle mani della componente borghese. La borghesia mafiosa è sempre stata uno dei poteri forti di questa nazione dall'inizio dell'unità d'Italia fino ad oggi. Nessuno può governare e nessuno ha mai potuto governare questo Paese senza il consenso della borghesia mafiosa”. Nel corso del tempo la mafia è mutata, certamente. Financo la composizione interna della borghesia mafiosa, “ma non il suo potere politico”.
Scarpinato: “Borghesia mafiosa rappresenta potenti blocchi sociali del Paese”
L’ex procuratore generale di Palermo smentisce poi una falsa idea propinata dal mainstream secondo cui i rappresentanti della borghesia mafiosa, i cosiddetti colletti bianchi, sarebbero una “sparuta quantità di pecore nere in un gregge di pecore bianche immacolate”. Anche in questo caso, nulla di più falso. Scarpinato, per smentire questa diceria, cita solo alcuni degli emblemi dei colletti bianchi condannati in via definitiva. Tra questi: il senatore Marcello Dell'Utri, cofondatore del partito di Forza Italia, “stretto collegamento con i massimi vertici della mafia militare e anello di congiunzione di Berlusconi, esponente della P2, e dei suoi rapporti con la mafia che gestisce i traffici di stupefacenti e dell'estorsione”.
C’è poi “il senatore Antonio D'Alì, sottosegretario al Ministero dell’Interno, protettore di Matteo Messina Denaro e di altri big della mafia, quello che faceva trasferire prefetti e poliziotti che davano fastidio ai mafiosi- continua il senatore -. Nicola Cosentino, sottosegretario del Ministero dell'Economia, referente nazionale della Camorra. Amedeo Matacena (defunto, ndr), parlamentare appartenente a una storica famiglia di armatori, punto di riferimento della ’Ndrangheta. Sto parlando di personaggi condannati con sentenza definitiva per concorso esterno”. “Tutti questi non hanno occupato posti di vertice allo Stato perché hanno vinto la lotteria, ma perché erano portatori di consenso e rappresentanti di potenti blocchi sociali - aggiunge -. E oggi i campioni della borghesia mafiosa, nonostante le condanne, conservano intatta la loro influenza e il loro potere. Dell'Utri, ad esempio, ha praticamente scelto chi dovesse essere il sindaco di Palermo”.
Un obiettivo solo: difendere la Costituzione!
La borghesia mafiosa, spiega Scarpinato, è una componente di un sistema criminale integrato “che va a braccetto con altre componenti reazionarie della stessa classe dirigente”. “Hanno tutte un unico comune denominatore: odiano la Costituzione. La vivono come un corpo estraneo e il loro sogno è liberarsene in tutti i modi possibili - aggiunge -. L'agenda politica di questa maggioranza sta costruendo giorno dopo giorno un habitat ideale per gli interessi del vasto ed eterogeneo mondo della corruzione, per il mondo della borghesia mafiosa e delle nuove aristocrazie criminali della mafia del terzo millennio. Un'agenda politica il cui filo conduttore è approfittare degli attuali rapporti di forza per smantellare tutte le regole, tutti i sistemi di controllo che ostacolano gli affari sporchi e gli illeciti arricchimenti”.
“Oggi stiamo ritornando al passato - conclude Scarpinato -. Lo Stato non è credibile perché si presenta con i volti di personaggi politici che non sono credibili. E quindi sapete cosa possiamo dire al povero uomo della strada (a cui Lodato fa riferimento nel libro, ndr)? Possiamo dire che il pesce puzza dalla testa. E oggi il pesce puzza moltissimo”. Che fare, allora? “Restare tutti ai posti di combattimento - infatua Scarpinato -. Fare muro insieme, per resistere. La linea di resistenza è salvare questa Costituzione. Fino a quando questa Costituzione resterà in vita sarà sempre possibile impugnare l'ennesima legge vergogna dinanzi alla Corte Costituzionale e farla annullare. È come se in un palazzo sfigurassero la facciata, spostano i tramezzi ma le fondamenta, i muri portanti, restano in piedi e la casa resiste. Sino a quando questa Costituzione sarà in vita sapremo da dove ricominciare e questa sala così piena è la dimostrazione che c'è un'Italia che non va nei giornali padronali, che non va nelle tv di Stato. Un'Italia che esiste e vuole salvare questa Costituzione e dice ‘No’ al sistema di potere mafioso”.
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Li Gotti: “Il governo vuole riscrivere la storia perché ha paura”
Alle parole di Scarpinato fa eco anche l’avvocato Luigi Li Gotti, storico legale di collaboratori di giustizia che nelle ultime settimane ha fatto parlare di sé dopo aver presentato una denuncia contro il governo alla Procura di Roma, per la vicenda della scarcerazione del torturatore libico Osama Almasri. Una vicenda ancora da chiarire.
Da tempo Li Gotti si batte per difendere l’istituto dei collaboratori grazie al quale sono stati conseguiti i numerosi risultati nel contrasto alle organizzazioni mafiose. Anche lui intravede un tentativo latente di riscrivere la storia.
Per cambiarla, però, “è necessario eliminare il pensiero, l'attività, il valore, l'impegno, la costanza di chi la mafia ha combattuto - dice -. L'obiettivo è quello di distruggerli (i collaboratori di giustizia, ndr), così che si possa riscriversi la storia”. “In questo senso - continua l’avvocato - il libro di Saverio Lodato è fondamentale perché è un libro dei fatti. È il libro dei fatti di mafia. Un libro fondamentale per comprendere cos’è successo nel nostro paese perché se non ci fosse questo libro a scrivere la storia della mafia sarebbe stata la Commissione parlamentare antimafia”.
È fondamentale “impedire la riscrittura della storia, perché questo vogliono fare. Ci vogliono togliere anche quel poco di verità o quelle verità acquisite - evidenzia -. E per farlo mettono sotto accusa Scarpinato e de Raho, perché sono in conflitto di interessi (con la Commissione antimafia, ndr)”. “Ma che significa il conflitto di interessi? - si domanda - Scarpinato e de Raho sono stati protagonisti della lotta alla mafia. C'è un disegno di legge per escludere dalla Commissione parlamentare antimafia loro due. Ma questo è uno stato di diritto. Ma non si vergognano? Chi si vanta di aver scelto la strada e la politica in onore al sacrificio di Borsellino, ma chi ci crede? Basta con queste storie”. “Bel modo di onorare Paolo Borsellino - continua con ironia -. Lo vediamo ora, in cui vogliono distruggere i magistrati e riscrivere la storia, perché la vera storia non interessa al governo, anzi fa paura”.
Per questo motivo, al monito “fuori la mafia dallo Stato” gridato dal pubblico, Li Gotti ribatte dicendo: “Fuori lo Stato dalla mafia”. “Bisogna aggiornarsi, siamo rimasti antichi - chiosa -. Una volta il nostro Paese veniva considerato il paese dello stato del diritto, la culla. Ora invece sta succedendo qualcosa di totalmente nuovo”.
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Lodato: “Il mio libro dalla mafia è diventato il racconto del potere in Italia”
“Ho visto all'opera quei magistrati che oggi qualcuno vorrebbe portare sul banco degli accusati”, dice Saverio Lodato in apertura del suo intervento, prima di esprimere un pensiero nei confronti della redazione di ANTIMAFIADuemila. “Ai ragazzi della redazione e al loro direttore Giorgio Bongiovanni, dico grazie di esistere, perché in questa città, Palermo, che Giovanni Falcone diceva essere la ragione sociale della mafia, i giornali sono volati via come il vento su questo argomento - aggiunge -. È vero, vogliono cancellare la memoria, vogliono cancellare la storia, la vogliono riscrivere, vogliono portare sul banco degli accusati, quelli che sono stati protagonisti di allora, di ieri e di oggi, ma hanno un problema che noi ci siamo ancora. Non ce ne siamo andati e non abbiamo alcuna intenzione di togliere il disturbo”.
Lodato ricorda poi al pubblico la presentazione della prima edizione del suo volume a Modena. “Giovanni Falcone apprezzava un libro che si chiamava ‘Dieci anni di mafia’. Quel libro era ancora un libro sulla mafia. Andando avanti nella stesura dei successivi volumi mi sono accorto che oggi è diventato un libro sul potere in Italia, che è una cosa ben più ampia e ben più larga del fenomeno mafioso come noi avevamo conosciuto”.
“Quando Giovanni Falcone, pochi giorni dopo l'attentato all’Addaura, mi rilascia un'intervista sulle ‘menti raffinatissime’ già comincio a capire che quel libro non si chiamerà più ‘Dieci anni di mafia’, ma potrebbe diventare ‘Dieci anni di mafia di potere in Italia’ - racconta l’autore -. Ora che siamo a cinquant’anni posso senz'altro dire che questo è diventato proprio quel libro. Non so se a Falcone piacerebbe ancora ma certamente posso dire che lui, che era persona intelligente, capirebbe benissimo che la lotta alla mafia in Italia non si può più fare perché il governo, come primo punto della sua agenda politica vuole fare la guerra ai magistrati”. E “le due cose non stanno insieme - continua -. E quando Giorgia Meloni ci viene a raccontare che lei è scesa in campo il giorno della morte di Paolo Borsellino, non ha capito che lei Borsellino non lo deve nominare perché altrimenti rischia di rovinare il suo stesso desiderio di cancellare definitivamente la storia. In Italia, fino a quando qualcuno potrà camminare liberamente e dire a un altro ‘Ti ricordi Giovanni Falcone? Ti ricordi Paolo Borsellino? Ti ricordi la Procura di Palermo?’ loro non avranno vinto”.
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Lunetta Savino legge “Giovanni, cuore e cervello di Sicilia”
Nella serata non sono mancati i momenti artistici grazie alle letture dell’attrice Lunetta Savino, tratte dal libro di Saverio Lodato, che hanno intervallato i relatori. Particolarmente emozionante proprio il primo, che ha seguito il video dedicato a Giovanni Falcone alla presentazione di “Dieci anni di mafia”.
"Da dieci anni scrivete di mafia e ancora non avete capito nulla. Non avete capito la cosa più importante. Quella che voi chiamate mafia, piovra, criminalità organizzata, è Cosa nostra. Ma come fate a non capire che se in questa regione sono stati assassinati procuratori della Repubblica, dirigenti della squadra mobile, comandanti dei carabinieri, segretari dei partiti, capi del governo, imprenditori, giornalisti, cittadini qualunque, tutto ciò è il risultato di una strategia ideata e messa a segno da una struttura verticistica e monolitica, che può avvalersi di una tradizione secolare e di rapporti fittamente intrecciati con interi pezzi della società siciliana. Un'ultima cosa. Dovete ancora capire che, per Cosa nostra, il controllo del territorio è lo strumento fondamentale per la ricerca del suo consenso [..]".
"Oggi Falcone è stato assassinato. Con un agguato che dimostra ancora una volta una potenza militare micidiale. L'agguato dimostra due cose. Uno, Cosa nostra esiste e considerava apertissimo il suo conto personale. Un'autentica vertenza, come si dice a Palermo, iniziata tanti anni fa quando Falcone, per la prima volta e prima di tanti altri giudici, aveva davvero capito di che pasta fossero fatti gli uomini d'onore. Due, Falcone sapeva bene che il rapporto mafia-politica esiste, è strettissimo, ed è la condizione essenziale che consente appunto alla mafia di non essere semplice gangsterismo, guerra fra bande, criminalità organizzata, anche se di alto livello. Negli ultimi anni della sua attività volle dimenticare queste sue certezze sul rapporto mafia-politica? È molto probabile. Non dimentichiamo che a Palermo riuscì a totalizzare soltanto sconfitte, insuccessi personali, astio e antipatia da parte di molti dei suoi colleghi. Era andato a Roma? Non è bastato a salvarlo. 23 maggio 1992".
Borsellino: “Colosimo non è adeguata al suo ruolo”
Durante la conferenza è stato anche trasmesso uno stralcio dell’intervista realizzata da Aaron Pettinari a Salvatore Borsellino. Uno degli aspetti problematici evidenziati da Borsellino durante l’intervista con il caporedattore di ANTIMAFIADuemila è la foto che ritrae la Colosimo “mano nella mano, in atteggiamento confidenziale con Luigi Ciavardini”, ex membro dei NAR. “Questa consuetudine con un personaggio del genere - dice Borsellino - la riteniamo inadeguata”. E aggiunge: “Purtroppo, i fatti sono stati poi confermati da quanto accaduto in Commissione Antimafia. Colosimo ha concentrato l’interesse della Commissione solo sulla strage di via d’Amelio, isolandola dalle altre, mentre noi riteniamo che la strage di via d’Amelio sia collegata ad altre, in particolare a quella di Capaci, dove fu ucciso Giovanni Falcone, e alle stragi successive: quella dei Georgofili a Firenze e le stragi di Milano e di Roma”.
Salvatore sottolinea come le stragi sono unite da una strategia eversiva comune volta a destabilizzare lo Stato italiano, incoraggiata da una “trattativa” tra Stato e mafia che ha portato a un'escalation di attentati, alimentando la convinzione, da parte della mafia, di poter ottenere vantaggi attraverso il terrore. “Purtroppo, questo governo e la stessa Colosimo - sottolinea - stanno cercando di riscrivere la storia. Stanno tentando di cancellare il ruolo dell’eversione nera in queste stragi, che invece è fondamentale”.
Un tentativo che, a suo avviso, è voluto da un certo tipo di potere politico, impegnato a minimizzare il ruolo dell'eversione nera, e aggravato dal fatto che le attuali autorità hanno raggiunto il loro potere grazie a eventi criminosi come questi. Borsellino ha anche commentato la recente scarcerazione di diversi boss mafiosi che non hanno mai collaborato con la giustizia. Una circostanza che, secondo il fratello del giudice assassinato insieme agli agenti della scorta in via d’Amelio, riflette ancora oggi la mancata risoluzione di questioni lasciate in sospeso dagli anni delle stragi, come il cosiddetto “papello” di Totò Riina, una lista di richieste che la mafia presentò alle istituzioni italiane.
E nel frattempo gli anni passano e il tempo se ne va. Restano i depistaggi, le mezze verità e i traguardi giudiziari - quei pochi - costati sudore e sangue. “Ho perso le speranze di avere verità e giustizia nel corso di quella frazione di vita che ancora mi resta da vivere - conclude -. Il libro di Saverio Lodato lo sto rileggendo in questi giorni con le parti che sono state aggiunte. Lodato è una delle poche voci di verità che ci sono in questo Paese. Il mio rincrescimento è quello di non avere, purtroppo, sufficiente tempo e sufficiente vita per leggere quel libro che sicuramente scriverà prossimamente: ‘Sessant’anni di mafia’”.
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Oggi come ieri è necessario schierarsi e sognare l’utopia
A chiudere la serata due volti storici della redazione di ANTIMAFIADuemila: la caporedattrice Anna Petrozzi e il vicedirettore Lorenzo Baldo. “Siamo stati davvero fortunati - racconta Petrozzi ripercorrendo i 25 anni della redazione -. Abbiamo potuto partecipare in prima linea, con le nostre possibilità, a questa grande battaglia che più va avanti più mi rendo conto che non è stata soltanto una battaglia di schieramenti, ma anche una grande lotta di civiltà. E siamo chiamati tutti ad una presa di responsabilità personale, in ogni istante della nostra vita, qualunque sia la professione che svolgiamo. Troppo comodo dire la lotta alla mafia la fanno loro, la fa il giornalista che scrive o il magistrato che indaga. Per far sì che un giorno si possa mettere fine a questa guerra infinita serve una presa di coscienza dei cittadini ed è quello che noi abbiamo un po' cercato di fare informando in questi 25 anni”.
Dopo di lei Baldo: “Venticinque anni fa abbiamo presentato qui a Palermo il primo numero del nostro giornale. Ed è stato un grandissimo onore, lo è tuttora, percorrere un pezzo di vita assieme a persone straordinarie, uomini e donne che con il loro esempio ci hanno indicato la via da seguire”.
Lorenzo Baldo, vicedirettore di ANTIMAFIADuemila
“Oggi la battaglia di ANTIMAFIADuemila continua, con altri giovani che negli anni sono arrivati per seguire le indicazioni del Direttore assieme al nostro instancabile caporedattore Aaron Pettinari. E visto lo scenario attuale, il lavoro da fare è ancora tanto - conclude -. In un momento storico così violento e divisivo, nel quale vige la legge del tutti contro tutti, abbiamo un'ultima possibilità. Invertire la rotta e occuparci del nostro prossimo facendo il nostro dovere per cambiare un mondo sull'orlo del baratro con una ferma convinzione: cioè che la verità può essere imbrigliata, ostacolata, nascosta sotto metri di terra per un periodo più o meno lungo, ma alla fine è destinata a emergere con tutta la sua forza liberatrice. E se questa può apparire come un'utopia, abbiamo comunque il dovere di perseguire l'utopia di una società più giusta, perché la storia ci insegna che le visioni utopistiche di grandi illuminati spesso si sono rivelate in anticipo sui tempi. Il prezzo da pagare è sicuramente alto, altissimo, ma ridursi a vivere una vita di rassegnazione e disillusione è una prospettiva agghiacciante”.
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La rubrica di Saverio Lodato
Foto © Paolo Bassani
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