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Colpiti i mandamenti di Porta Nuova, Pagliarelli, Tommaso Natale-San Lorenzo, Santa Maria del Gesù e Bagheria

Cosa nostra ci riprova. A distanza di sei anni dal blitz dei carabinieri “Cupola 2.0” i boss palermitani hanno tentato nuovamente di rimettere ordine alle fila, facendo leva sulle nuove tecnologie e sui giovani rampolli, per ricostituire le fondamenta dell’organizzazione. Questa mattina i Comandi provinciali dei carabinieri di tutta la Sicilia, coordinati dalla Dda di Palermo (guidata dal procuratore capo Maurizio de Lucia), hanno dato esecuzione a una maxi ordinanza con 183 provvedimenti restrittivi, tra ordinanze di custodia cautelare emesse dal gip e fermi disposti dalla Procura. Colpiti i mandamenti di Porta Nuova, Pagliarelli, Tommaso Natale-San Lorenzo, Santa Maria del Gesù e Bagheria. Numeri imponenti che riportano alla mente una delle operazioni antimafia entrante nella storia della lotta a Cosa nostra: il blitz di San Michele, scattato nella notte tra il 28 e il 29 settembre del 1984 dopo le rivelazioni del boss Tommaso Buscetta al giudice Giovanni Falcone. In quell’occasione furono 366 gli arrestati, circa il doppio di quelli odierni ma sono comunque numeri imponenti. Ed imponente è anche la forza di militari impiegati per il blitz: circa 1200. I carabinieri che hanno condotto l’operazione, con l’appoggio di un elicottero del 9° Elinucleo di Palermo, provengono dal Reparto anticrimine del Ros di Palermo, quello che coordinò l’arresto di Matteo Messina Denaro, con il supporto dei baschi rossi dello Squadrone eliportato Cacciatori di Sicilia, del 12° Reggimento Sicilia, del 14° Battaglione Calabria nonché di altre componenti specializzate dell’Arma. Gli arresti sono stati eseguiti anche in altre città italiane, le accuse sono di associazione per delinquere di tipo mafioso, tentato omicidio, estorsioni, consumate o tentate, aggravate dal metodo mafioso, associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti, favoreggiamento personale, reati in materia di armi, contro il patrimonio, la persona, esercizio abusivo del gioco d’azzardo, e altro. La significatività di questa inchiesta la si deduce dall’arrivo, per assistere alla conferenza stampa alla Caserma di Piazza Verdi di Palermo, del procuratore della Direzione nazionale antimafia Giovanni Melillo e dal numeroso via vai di Gazzelle dei carabinieri ed elicotteri in queste ore. Il blitz, riferiscono gli inquirenti, è stato realizzato a ritmi spediti perché dalle intercettazioni è emersa la presenza di talpe che informavano i mandamenti sulle operazioni delle forze dell’ordine. Il rischio di fuga era dunque alto. Le indagini dei carabinieri, coordinati dai magistrati, si sono concentrate contemporaneamente su più mandamenti del Palermitano e rendono uno spaccato chiaro: Cosa nostra tentava di ricostituirsi guardando al passato e agli storici capi mafia. Dimostrazione del fatto che, nonostante i continui arresti della procura, il sentimento di rinascita non è mai stato seppellito.


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La Dda: “Significativa opera di riorganizzazione”

Su questo aspetto, scrivono nel provvedimento di fermo i pm della Dda di Palermo, “Cosa nostra è attualmente impegnata in una significativa opera di riorganizzazione volta a superare i dissesti cagionati dall'incessante repressione degli ultimi trent'anni". "Dopo i falliti tentativi del passato più recente di ricostituire la commissione provinciale sì da restituire a Cosa nostra una struttura centrale idonea a fortificarne le capacità operative e a riacquistare il potere contrattuale con il tessuto sociale e istituzionale, più volte, nel tempo, sono state intercettate conversazioni di, vecchi e nuovi, sodali in cui si menzionavano nostalgicamente gli storici capimafia dei quali, pur non apprezzandosi la parentesi stragista che decretò l'indebolimento della compagine associativa, ne venivano rimpianti il prestigio e lo spessore criminale", scrivono i magistrati. "Le plurime indagini delegate ai Carabinieri di Palermo nell'ambito dei procedimenti che qui ci occupano hanno registrato una crescente vitalità di Cosa nostra e hanno rivelato un'associazione dotata di una nuova energia che, molto verosimilmente, affonda le sue radici nell'equilibrata combinazione tra gli elementi di modernità, provenienti dalle più avanzate tecnologie, e quelli del passato, rappresentati dalla roccaforte dello ''statuto scritto, che hanno scritto i padri costituenti'' - evocato nella ormai nota riunione di Butera del 5 settembre 2022 dagli uomini d'onore della famiglia di Rocca Mezzomonreale - che tuttora rappresenta l'humus organizzativo dell'associazione e, soprattutto, l'elemento aggregante". Ancora. "La perdurante e ferrea aderenza di Cosa nostra alle proprie origini è emersa anche con riguardo ai connotati associativi più propriamente militari essendosi rilevato che, sebbene, negli ultimi anni, non si sia resa protagonista di reiterati ed eclatanti fatti di sangue, ha mantenuto la sua caratteristica di associazione armata essendosi dotata (anche grazie all'ormai facile reperimento sul dark web) di un enorme quantitativo di armi, come dimostrano anche i più recenti sequestri: proprio nei giorni scorsi, ad esempio, alla mafia agrigentina, come visto, collegata con quella palermitana, è stato sequestrato un vero e proprio arsenale comprendente, tra l'altro, armi da guerra"."Anche le presenti indagini hanno confermato l'ampia disponibilità di armi da fuoco”, alcune di queste comprate nel dark web.


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Maurizio de Lucia © Paolo Bassani

“Ritrovato benessere economico” di Cosa nostra

I “magistrati parlano anche di “ritrovato benessere economico” che “ha consentito all'associazione, negli ultimi tempi, di assolvere puntualmente l'obbligo del mantenimento dei sodali detenuti e delle loro famiglie, che, come notorio, oltre a rispondere ad un principio solidaristico di mutua assistenza, è soprattutto finalizzato ad assicurare la compattezza dell'associazione altrimenti in balia di plurime delazioni". "In tutte le indagini - si legge nelle carte - si è dunque assistito ad una serie di periodiche e costanti consegne di denaro come, ad esempio, in favore dei capimafia detenuti del calibro di Giulio Caporrimo, Calogero Lo Piccolo e, degli ancor più noti, Sandro Lo Piccolo e Salvatore Lo Piccolo, nonché alla moglie di quest'ultimo, Rosalia Di Trapani. Ecco una intercettazione, in cui Serio dice: “Io so che Giulio è a posto, mio cugino Calogero è a posto, suo padre è a posto, lui è a posto ..... se mi porti questi cinquemila euro per Natale e io gli devo dare mille euro a Giulio, mille euro a mio cugino Calogero, mille euro a suo padre, mille euro a suo fratello e mille euro a mia cugina Rosalia che è con gli arresti domiciliari là sopra, glieli devo mettere dalla tasca io! a suo figlio già glieli ho mandati", per i pm "tanto da registrare, talvolta, l'irritazione degli associati liberi, pressati dalle pretese (così ad esempio Mulè Francesco, all'epoca reggente della famiglia di Palermo Centro, a proposito del mantenimento di Giovanni Castello: "Ma questo non è che ... gli pare che c'è ... la banca?''; ... Non è che, per dire, uno è "impiegato all'INPS"!)". "Particolarmente significativa è la circostanza del ritrovamento, in occasione dell'arresto del latitante Auteri, di appunti cartacei contenenti elenchi di nomi di appartenenti al mandamento di Porta Nuova ai quali era garantito il suddetto beneficio (come quelli di Pispicia Gioacchino, Lo Presti Tommaso ''il pacchione'', Lo Presti Tommaso ''il lungo'', Badalamenti Gaetano, Lipari Onofrio, Lo Presti Calogero detto Pietro, Calcagno Paolo) - dicono i pm - elenchi, peraltro, non esaustivi essendosi accertato, attraverso le intercettazioni, che per il medesimo mandamento un'altra nutrita schiera di detenuti era mantenuta con gli introiti dell'associazione mafiosa (quali Lo Presti Calogero, Di Michele Nicolò, Verdone Roberto, Arcuri Francesco, Di Giovanni Gregorio, Castello Giovanni)".


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Le nuove tecnologie in mano ai boss palermitani

Dall’inchiesta è emerso che per le riunioni dei boss mafiosi, per i summit, le nuove leve, Cosa nostra 3.0, usano le nuove tecnologie e i criptofonini. Si tratta di smartphone con l'uso della crittografia per proteggere i vari sistemi di comunicazione. "L'ormai noto sistema dei criptofonini ha reso possibile il dialogo, costante e riservato, non solo con i trafficanti di droga, a beneficio degli affari, ma anche - avvertono gli investigatori - tra i vari mandamenti, a beneficio, stavolta, della stessa essenza organizzativa dell'associazione". "La speditezza delle interlocuzioni, al riparo dai pericoli derivanti dall'organizzazione di incontri in presenza, ha di fatto - ed in presenza degli altri elementi strutturali dell'organizzazione Cosa nostra, quali, tra l'altro, l'applicazione delle sue regole storiche e la rigorosa suddivisione territoriale in mandamenti - temporaneamente ovviato all'assenza della commissione provinciale di Cosa nostra che, peraltro, come evidenziato, il 28 febbraio 2024, anche dal detenuto Pedalino Francesco, del mandamento di Santa Maria di Gesù, stenta a ricostituirsi perché ogni tentativo finora si è rivelato foriero di nuovi arresti (''non c'è più du cuosu ri trent'anni fa… se l'hannu fattu tre volte e tre volte al nascere della cosa hanno arrestato a tutti… trent'anni fa si faceva e non si sapeva niente … si faceva… ora invece sappiamo tutte cose'')"- dicono i magistrati della Procura guidata da Maurizio de Lucia - "L'esemplificazione delle interlocuzioni, invero, ha reso possibile, nel tempo, un maggiore coordinamento tra diversi mandamenti - del resto cementato, oltre che dall'appartenenza ai medesimi valori subculturali, dalla crescente comunanza degli interessi economici - i quali, pur non essendo ancora riusciti a ripristinare la struttura centrale di vertice, comunque riescono a relazionarsi e a perseguire strategie organiche e comuni, così avvantaggiando gli affari".


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Tribunale di Palermo © Paolo Bassani


Sempre sul lato della comunicazione, fondamentale per Cosa nostra, si rileva che “non può ignorarsi che la facile introduzione, negli istituti penitenziari, di minuscoli apparecchi telefonici e di migliaia di sim, destinate ciascuna a una breve durata per annientare le eventuali attività di intercettazione, ha neutralizzato l'annosa questione dell'inoperatività dei detenuti che, ormai, dalle loro celle, continuano ininterrottamente la militanza mafiosa, seppure in videochiamata, collegandosi ad un telefono-citofono (cioè un apparecchio esterno dedicato in via esclusiva a ricevere e chiamare l'utenza attiva dentro al carcere), sì da interloquire sulle questioni di maggiore rilievo e da realizzare, con estrema facilità, vere e proprie riunioni di mafia. "In più circostanze, invero, si è avuto modo di intercettare diversi detenuti, compresi taluni indagati nei procedimenti (come Francesco Pedalino, Nunzio Serio, Calogero Lo Presti, Calogero Piero Lo Presti), mentre erano impegnati in conversazioni con altri affiliati liberi, peraltro realizzate con l'ausilio di sistemi organizzativi che vedevano schiere di familiari del recluso affaccendate a convocare/ricevere gli interlocutori o a recapitare loro il tele-citofono", dicono i pm. "Emblematico appare, a tal proposito, l'episodio della spedizione punitiva operata ai danni di Giuseppe Santoro, deliberata e ordinata telefonicamente dai due Lo Presti detenuti i quali, nel corso di una lunga serie di telefonate, oltre a scegliere minuziosamente la squadra deputata al pestaggio punitivo e a indicare le precise modalità per la realizzazione del loro comando, hanno anche ritenuto di assistere in diretta, grazie al video-collegamento telefonico, al massacro della vittima", spiegano i magistrati nel fermo.

Il boss detenuto che assiste al pestaggio dal cellulare

Tra le carte risalta un passaggio in particolare che vede un boss detenuto assistere, dalla cella, con un telefonino introdotto illegalmente in carcere, al pestaggio che aveva commissionato. Dalle intercettazioni è emerso che capimafia del calibro di Nunzio Serio e Calogero Lo Presti più volte hanno parlato tranquillamente dal carcere con altri affiliati liberi a cui, in improvvisate riunioni, i familiari dei detenuti passavano una sorta di tele-citofono usato solo per ricevere i messaggi dei padrini. In una occasione Calogero Lo Presti avrebbe, poi, commissionato una spedizione punitiva contro un nemico, Giuseppe Santoro. Il boss, nel corso di una lunga serie di telefonate, oltre a scegliere minuziosamente la squadra delegata al pestaggio e a indicare le precise modalità dell'agguato, ha anche assistito in diretta, grazie al video-collegamento telefonico, al massacro della vittima.


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© Imagoeconomica


Fedeltà alle regole e ai metodi mafiosi

Tra i vari aspetti degni di nota spicca la fedeltà dei boss alle regole di Cosa nostra “finora, le hanno garantito la sopravvivenza a dispetto delle alterne fortune e ne rivelano la perdurante e straordinaria pericolosità”. Una fedeltà che esiste e persiste nonostante lo sviluppo tecnologico che ha influito sugli essenziali aspetti sia della comunicazione, divenuta più agile e sicura. “Tuttora rimane granitico il principio dell'indissolubilità del vincolo associativo, come efficacemente espresso dal detenuto Francesco Pedalino che, nel corso di queste indagini, lo ha paragonato al sacramento del matrimonio (“Cosa nostra …a verità domani esco……. haiu a forza e continuo… fino a quando che … tà maritasti sta mugghieri e tà puorti finu a vita”); vincolo che tuttora si accompagna all'orgoglio dell'appartenenza propinata come scelta di natura ideologica e non utilitaristica)". Fedeltà anche alle classiche attività mafiose di approvvigionamento e controllo del territorio. Come l’estorsione. "La graduale ripresa di Cosa nostra è stata, al contempo, causa ed effetto del crescente introito di denaro. Il sistema estorsivo - segnalano i pm della Dda di Palermo - è tuttora al centro degli interessi mafiosi, anche quale strumento di controllo del territorio, dove emerge, ancora una volta, la strategia delle imposizioni ''a tappeto'' (si pensi, ad esempio, alla sottomissione massiccia dei ristoranti delle borgate marinare di Sferracavallo e Mondello all'ordine di intraprendere nuovi rapporti di fornitura di prodotti ittici con il grossista indicato da Nunzio Serio)". Ma è stato soprattutto il ritorno al traffico di stupefacenti a segnare il momento della svolta economica. Il già accennato ampliamento dei contatti con la ''grande distribuzione'' tanto da pensare di ''comandare Palermo'', registrato in più territori ed anche nelle indagini che ci occupano, è stato possibile grazie al costante accumulo di capitale derivante dal controllo capillare del mercato cittadino - anch'esso emerso chiaramente nei suddetti procedimenti - realizzato con l'imposizione sistematica, ai venditori al dettaglio, della sostanza da porre in commercio o del pagamento di una percentuale o, talora, di un emolumento fisso mensile scollegato alle entrate. E ciò sebbene ancora gli uomini d'onore di vecchio stampo prendano le distanze da tal tipo di affari pur non disdegnandone il ritorno economico (Gino Mineo: “Se fate l'affare ‘’porta qualche cosa’ gli dici! ... ..però stai attento ah, perché oggi domani, io vedi per 'ste cose non mi ci sono mischiato mai, non ci sono entrato mai, non è che mi voglio andare ad infangare poi con un po' di fanghi (...) Tu così gli dici ''lascia qualche cosa per … per il paese'', … per i cristiani, gli dici … che hanno di bisogno'').


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Giochi e scommesse, l’altro introito di Cosa nostra

Un'ulteriore espansione affaristica, connessa anche stavolta allo sviluppo tecnologico, come accertato per tutti i mandamenti oggetto di queste indagini, “riguarda il settore dei giochi e delle scommesse digitali che, subentrando alle vetuste riffe, in realtà rappresenta oggi una delle attività più remunerative di Cosa nostra che, da longa manus operativa degli imprenditori del settore, quali Angelo Barone, impone i pannelli di gioco, spesso illegali, ai singoli esercizi del territorio sì da realizzare enormi guadagni (Barone: “Ho preso ora... quindici milioni di gioco"). Maggiori dettagli saranno resi noti alla conferenza stampa organizzata alla Caserma dei Carabinieri di Piazza Verdi. 

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