La corte non ha dubbi sulla sua partecipazione all’attentato: portò la bomba o fornì supporto materiale godendo di protezioni da apparati deviati
Sono nettissime le motivazioni che hanno portato i giudici della Corte d’Appello di Bologna (presidente Alberto Pederiali, consigliere estensore Domenico Stigliano) a condannare all’ergastolo l’ex terrorista Paolo Bellini per la strage alla stazione di Bologna del 2 agosto 1980. Secondo i giudici tra i terroristi neri che eseguirono materialmente la strage della stazione di Bologna il 2 agosto 1980 "vi era senza ombra di dubbio alcuno" Paolo Bellini, la cui presenza in stazione al momento dell'attentato "era finalizzata o a trasportare, consegnare e collocare quantomeno parte dell'esplosivo" oppure a fornire un supporto materiale all'azione "nella piena consapevolezza" che nella sala di aspetto sarebbe stato collocato l'ordigno che uccise 85 persone. La sentenza è stata pronunciata lo scorso 8 luglio e ha visto anche la condanna degli altri due imputati: l'ex capitano dei carabinieri Piergiorgio Segatel, accusato di depistaggio e condannato a sei anni di reclusione e Domenico Catracchia, ex amministratore di condominio in via Gradoli, a Roma, accusato di false informazioni al pm al fine di sviare le indagini, condannato a quattro anni. Bellini, rinviato a giudizio e condannato dai giudici di merito a oltre 40 anni di distanza dai fatti, è ritenuto esecutore materiale in concorso con gli ex Nar condannati in via definitiva (Giusva Fioravanti, Francesca Mambro, Luigi Ciavardini), con Gilberto Cavallini (il 15 gennaio si terrà l’udienza in Cassazione dopo la condanna all’ergastolo in appello) e con gli astri della galassia piduista. A partire dal Gran Maestro Licio Gelli, poi a scendere l’ex direttore dell’Ufficio Affari Riservati del Ministero degli Interni Federico Umberto D'Amato, il giornalista missino Mario Tedeschi e il potente imprenditore Umberto Ortolani, ritenuti mandanti, finanziatori e organizzatori, ma tutti esclusi da questo processo storico in quanto già deceduti. Su di loro, e in particolare sul Venerabile Gelli, la corte è netta: “Senza ombra di dubbio Licio Gelli è il consapevole finanziatore della strage di Bologna e tale circostanza spiega il movente dell'attività calunniosa e depistatoria da lui posta in essere, unitamente ad alti funzionari dello Stato, proprio in relazione alla strage di Bologna". Gelli finanziatore e depistatore dunque. I giudici ricordano quindi che Gelli, insieme a Pietro Musumeci, Giuseppe Belmonte e Francesco Pazienza, era stato condannato in via definitiva per il reato di calunnia in relazione all'opera di depistaggio sulle indagini della strage, "depistaggio che aveva il preciso fine di evitare che le indagini potessero svelare il suo personale coinvolgimento, oltre il coinvolgimento di altissimi funzionari dello Stato, nella strage". Sempre riguardo Gelli - ma al passaggio sul finanziamento ai terroristi - scrive la corte: “E' quindi provato che pochi giorni prima della strage di Bologna, Marco Ceruti, factotum di Licio Gelli, ed anche quest'ultimo, si trovassero a Roma laddove vi erano anche due degli esecutori materiali del grave crimine, con la conseguenza che in uno di questi giorni (il 30 o il 31 luglio 1980) è stato possibile consegnare al Fioravanti e alla Mambro (o a un loro emissario) il compenso in denaro pattuito per commettere la strage".
Strage di Bologna avvenuta il 2 agosto del 1980
Il contributo di Bellini nella strage e le coperture degli apparati
Tornando a Bellini, principale imputato del processo, la corte sottolinea nelle oltre 420 pagine di motivazione di sentenza che “senza ombra di dubbio alcuno" l’ex “di Avanguardia Nazionale Paolo Bellini “sapeva perfettamente che il suo contributo (costituito o dal trasporto e dalla consegna - di tutto o di parte - dell'esplosivo - oppure di supporto logistico a coloro che l'esplosivo lo hanno portato e collocato) è stato non solo 'agevolativo' ma addirittura determinante ed essenziale nella realizzazione, a nulla rilevando la consapevolezza di questi ultimi dell'apporto contributivo ricevuto da parte di Bellini". Ancora. La corte afferma che mentre i mandanti, gli organizzatori e i finanziatori ed alcuni degli esecutori materiali hanno agito con lo scopo di eversione dell'ordinamento democratico e di destabilizzazione dello Stato, "alcuni degli esecutori materiali (come Sergio Picciafuoco e Paolo Bellini) potrebbero aver agito anche perseguendo soltanto propri specifici e ulteriori obiettivi, vale a dire un rilevante compenso economico nonché continuare ad avere 'coperture' e 'protezione' ad opera di apparati deviati dello Stato, coperture e protezioni pacificamente acclarate in favore di Paolo Bellini, sia prima che dopo la Strage di Bologna". I giudici citano anche Sergio Picciafuoco, che risultava presente in stazione quel giorno, ma per l'attentato non è mai stato condannato ed è deceduto nel 2022.
Il filmato in Super 8 e l’alibi di ferro smontato dall’ex moglie
Uno dei punti centrali del processo è ruotato attorno al filmato girato in Super 8 dal turista tedesco Harald Polzer quella mattina del 2 agosto che inquadrava un soggetto somigliante a Paolo Bellini. L’ex di Avanguardia Nazionale (in passato killer al soldo della ‘Ndrangheta) ha sempre negato di riconoscersi in quelle immagini e in aula i suoi legali hanno battagliato con la procura generale per scagionarlo (invano). A incastrare Bellini poi c’è anche la testimonianza dell’ex moglie Maurizia Bonini (che è poi finita sotto scorta per le minacce ricevute dall’ex marito, poi arrestato per tale ragione). E’ stata lei a riconoscere Bellini nel filmato amatoriale. E sempre lei ha smontato, pezzo per pezzo, l’alibi di ferro che lei stessa gli fornì in passato: ha sempre raccontato che alle 9.30 il marito raggiunse lei e i bambini a Rimini per partire insieme per la montagna. Un orario incompatibile con la sua presenza in stazione al momento della strage (le 10.25). In aula, al processo di primo grado, la donna aveva ammesso: "Ho detto una bugia, chiedo scusa a tutti".
Licio Gelli © Imagoeconomica
E ancora: "Sì, a questo punto, posso dire che all'epoca ho dichiarato il falso”, affermò nel 2021 l’ex moglie dell’ex primula nera riferendosi al fatto che quando Bellini fu indagato per la strage, lei confermò il suo alibi dicendo che era arrivato a prenderla a Rimini intorno alle 9-9.30 del mattino, per poi partire insieme a lei, ai due figli piccoli e alla nipote per il Passo del Tonale, dunque, appunto, orari non compatibili con la sua presenza in stazione al momento dell'esplosione. Da qualche anno, invece, Bonini racconta la verità dei fatti: "Non ricordo a che ora arrivò mio marito a prendermi a Rimini, mi ricordo però che mia madre tornò tardi in albergo". La madre di Maurizia (Eglia Rinaldi, deceduta), infatti, come è emerso durante gli interrogatori, rientrò a Torre Pedrera, località vicino a Rimini, in ritardo per l'orario di pranzo, tanto che ci fu una discussione con il marito. Questa versione è stata confermata anche dal fratello della Bonini, l'ex cognato di Bellini. "L'orario delle 9.15 - ha spiegato poi Maurizia rispondendo alle domande dei legali di Bellini - me lo disse mio suocero (Aldo Bellini, ndr)". Sul caso, secondo i giudici d’Appello, "non si è in presenza di un alibi semplicemente 'fallito', ma di un alibi appositamente preordinato ed apparentemente solidissimo e granitico in quanto egli, diverse ore prima della strage, si è fatto consegnare da terze persone lontane da Bologna una bambina (la nipote Daniela, ndr) con la quale si è poi fatto vedere da altre persone dopo la strage ancora lontano da Bologna, alibi rivelatosi falso soprattutto per una circostanza assolutamente fortuita e imprevedibile, vale a dire un video girato da un turista straniero per ricordo famigliare". La corte si esprime anche sul video di Polzer, divenuto noto agli inquirenti, "solo ed esclusivamente perché - diverso tempo dopo la strage - il turista straniero capì la possibile importanza dello stesso filmato". Risulta infatti "provato, senza ombra di dubbio, che l'anonimo ritenuto essere Paolo Bellini è stato ripreso da Polzer da bordo del treno pochi minuti dopo l'esplosione (avvenuta alle 10.25, ndr) e comunque sicuramente diverso tempo prima delle 11.05, ovvero prima che le carrozze non danneggiate dall'esplosione venissero rimosse anche per consentire i soccorsi sul secondo e terzo binario". Dal video Polzer e dal riconoscimento fatto dall'ex moglie di Bellini, Maurizia Bonini, della persona ritratta in tale video sul primo binario della stazione, è quindi "provato - ribadiscono i giudici - che Paolo Bellini era alla stazione di Bologna pochi minuti prima e pochi minuti dopo la micidiale esplosione".
Tribunale di Bologna
Il commento delle parti civili
I legali di parte civile esprimono soddisfazione per le motivazioni dei giudici d’appello bolognesi. “La motivazione della Corte d'Assise d'appello di Bologna è meticolosa e puntuale in ogni argomento utilizzato per confermare le condanne di Paolo Bellini, Domenico Catracchia e Piergiorgio Segatel. Rilevante è tutta la parte della motivazione relativa all'alibi falso e precostituito che Bellini mise in piedi il 2 agosto del 1980 per coprire la propria attività stragista di quel giorno”, affermano gli avvocati Andrea Speranzoni, Lisa Baravelli, Alessandro Forti e Alessia Merluzzi, legali di parte civile nel processo sulla strage del 2 agosto 1980. "Siamo soddisfatti della motivazione, frutto di un lavoro imponente che continueremo a fare, difendendo le due motivazioni nel grado di legittimità", affermano i legali, che sottolineano inoltre come venga confermato "l'inquietante e stretto rapporto" fra l'imputato e l'allora Procuratore di Bologna, Ugo Sisti, "sorpreso a casa della famiglia Bellini la mattina del 4 agosto 1980, dopo aver trascorso lì la notte precedente, senza avvisare l'ufficio dei propri spostamenti". La sentenza, per gli avvocati, "argomenta inoltre con altrettanta precisione anche la tesi sostenuta dalla difesa dell'imputato secondo cui il filmato girato in stazione da Harald Polzer il 2 agosto '80 sarebbe stato ripreso fra le 12 e le 13. Una tesi radicalmente infondata e smentita". Anche la parte relativa agli imputati Domenico Catracchia e Piergiorgio Segatel "è estremamente precisa e conferma nel primo caso l'appoggio logistico fornito ai terroristi neri in Via Gradoli da società di copertura del Sisde e le attività di depistaggio nel secondo". La strage fu pertanto "politica - sottolineano ancora i legali - finalizzata a destabilizzare il Paese. La sentenza spiega e conferma il ruolo delle compagini neofasciste quali esecutrici materiali della strage, di Gelli nel finanziamento della stessa e quello dei vertici piduisti del Sismi e del Sisde nel depistare le indagini". Infine, "una parte importante è anche quella relativa alle minacce gravissime" che l'imputato ha diretto al figlio del presidente della Corte di Assise e alla famiglia della ex moglie Maurizia Bonini.
Segatel depistatore: “Impedì di chiarire frammenti di verità”
I giudici di Bologna sono puntuali anche sulle responsabilità degli altri due imputati: Piergiorgio Segatel e Domenico Catracchia. “Segatel ha intenzionalmente preferito occultare determinati collegamenti per tutelare persone, istituzioni, apparati statali legati agli ambienti investigativi (italiani o stranieri) piuttosto che consentire allo Stato italiano, ai cittadini italiani e alle vittime (tutte) della strage di Bologna di chiarire un ulteriore frammento, importantissimo, di verità". Segatel è stato accusato di depistaggio perché secondo la Procura generale ha negato che fosse vero quanto dichiarato da Mirella Robbio (moglie del militante di Ordine Nuovo Mauro Meli), ovvero che "le aveva fatto visita poco prima della strage riferendole di essere a conoscenza che 'la destra stava preparando qualcosa di veramente grosso' e chiedendole di 'riprendere i contatti con l'ambiente del Msi di Genova e soprattutto con i vecchi amici di suo marito per cercare di capire cosa fosse in preparazione'". Inoltre, all'imputato viene contestato di aver negato di essere andato a trovare Robbio dopo la strage, dicendole "hai visto cosa è successo?" e facendola "sentire in colpa". Quanto a Domenico Catracchia, amministratore di alcuni condomini di via Gradoli a Roma (la stessa via del covo delle Br nel caso Moro), per il quale è stata confermata la condanna a quattro anni per false informazioni al pm, secondo la Corte d'Assise d'Appello "ha ripetutamente e consapevolmente mentito (spudoratamente), impedendo tanto agli inquirenti, quanto alla Corte d'Assise di chiarire importantissimi fatti e circostanze connesse alla strage”. Catracchia è invece accusato di aver negato davanti ai magistrati della Procura generale di aver affittato a Paolo Moscucci (condannato per favoreggiamento per aver procurato a Francesca Mambro e Giorgio Vale il covo di via Gradoli, ndr), un appartamento in via Gradoli 96 della società Caseroma, di cui era unico amministratore. Per i Pg, inoltre, Catracchia fu reticente, in quanto si rifiutò di spiegare perché Vincenzo Parisi, all'epoca vicedirettore del Sisde, "'si serviva di tutta la sua agenzia' per le sue attività in campo immobiliare". Per i giudici "la condotta reticente e mendace del Catracchia ha impedito di chiarire se e quali soggetti, eventualmente appartenente ad apparati istituzionali, hanno avuto rapporti diretti o indiretti non solo con i terroristi esecutori materiali della strage, ma anche con i mandanti, gli organizzatori e i finanziatori della strage stessa".
Fonte: Ansa
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