L'articolo inserito all'interno del Ddl Sicurezza un rischio per la democrazia
L’approvazione da parte della Camera del disegno di legge sulla sicurezza - già oggetto di approfondimento in un precedente contributo (come in un precedente articolo) - introduce l’articolo 31, che attribuisce ai servizi di intelligence poteri particolarmente estesi, possono mettere a rischio la sicurezza democratica del Paese.
No, non è una boutade.
Basta leggere gli elementi proposti nell'intervento normativo apparentemente volto a potenziare le attività sotto copertura di infiltrazione in organizzazioni criminali o terroristiche.
Gli operatori dell’Aisi e dell’Aise potranno partecipare non solo con un ruolo defilato a organizzazioni illegali ma perfino dirigerle e guidarle.
Nel provvedimento infatti vengono legittimati reati di natura terroristica come: associazioni sovversive; associazione con finalità di terrorismo interno di eversione dell'ordine democratico; addestramento e attività con finalità di terrorismo interno; finanziamento di condotte con finalità di terrorismo interno; istigazione a commettere alcuni di questi delitti; banda armata; apologia di attentato allo Stato; quindi fabbricazione e detenzione di materie esplodenti.
Tutte operazioni che, in passato, sono state effettivamente compiute dai vari esponenti dei servizi di sicurezza segnando drammaticamente la storia del nostro Paese.
Molteplici procedimenti giudiziari, conclusi con sentenze definitive, hanno accertato il coinvolgimento diretto di apparati dei servizi segreti nelle attività di pianificazione, esecuzione e successivi depistaggi relativi alle stragi. Altre pronunce giurisdizionali hanno evidenziato come i servizi di intelligence fossero a conoscenza di progetti eversivi e terroristici, ed anche omettendo interventi atti a prevenirne l’esecuzione.
Basta rileggere le sentenze della strage di Piazza Fontana a Milano (con il Sid che si adoperò anche per agevolare la latitanza di alcuni imputati, ndr); quella di Piazza della Loggia o della strage alla Stazione di Bologna.
Al tempo, però, quelle attività non erano scriminate e pertanto l'autorità giudiziaria è riuscita anche a perseguirle o accertarle.
Oggi sarebbe del tutto vano con la possibilità, da parte della Presidenza del Consiglio, di apporre il segreto di Stato rispetto a certe attività “destabilizzanti”.
Camera dei Deputati © Imagoeconomica
Uno sguardo al passato
Per capire meglio la gravità, forse, può essere utile fare qualche esempio.
Il 12 dicembre del 1969 vi fu la strage di Piazza Fontana a Milano (anche detta della Banca dell’Agricoltura) e per la quale sono stati condannati pure con sentenza definitiva due vertici dei servizi segreti (SID): il generale Gian Adelio Maletti e il capitano Antonio La Bruna. Per la strage alla questura di Milano, 13 maggio 1973, venne condannato il falso anarchico Gianfranco Bertoli uomo del neofascismo, interno a Ordine Nuovo e informatore del Sifar (il vecchio sevizio segreto) con il nome in codice “Negro”.
Il terrorista sarebbe stato in forza a Gladio, la struttura parallela di difesa dal comunismo attiva in Italia fin dal 1956. Il suo nome non rientra negli elenchi “ufficiali”, resi noti nel 1990, ma è sempre stato forte il sospetto che ci fosse un elenco mai reso pubblico.
Durante le indagini emersero anche inquietanti collegamenti con i vertici dell'esercito italiano: l'ufficiale Amos Spiazzi di Corte Regia, uomo di Gladio al Nord Italia inviato l'8 dicembre 1970 a Sesto San Giovanni, durante il tentato Golpe Borghese per reprimere la resistenza operaia.
In quegli anni era attiva anche un’altra organizzazione paramilitare della quale fanno parte anche uomini dello Stato, tra i quali il colonnello Spiazzi.
Erano i Nuclei di difesa dello Stato, ai quali appartenevano anche Franco Freda e Giovanni Ventura, gli attentatori di piazza Fontana, riconosciuti responsabili nel 2005 dalla Corte di Cassazione, ma non più processabili poiché già assolti nel 1987. Inoltre, sempre per la strage fu condannato come responsabile, Carlo Digilio che era un esponente italiano collegato alla Cia.
La strage di Piazza della Loggia
Veniamo poi alla strage di Brescia in Piazza della Loggia avvenuta il 28 maggio 1974 mentre era in corso una manifestazione contro il terrorismo neofascista una bomba nascosta in un cestino portarifiuti esplose uccidendo otto persone e ferendone 102.
Per questo delitto la Cassazione la notte del 20 giugno 2017 aveva confermato le condanne all’ergastolo per i neofascisti Carlo Maria Maggi (il capo di Ordine Nuovo a Venezia) e Maurizio Tramonte, informatore dei servizi segreti.
Strage di Piazza Fontana
“Io ero un ‘infiltrato’ nelle cellule neofasciste operanti nel Veneto”, diceva di sé, “infatti mentre mi facevo passare dagli altri partecipanti per uno di loro, riferivo tutte le notizie rilevanti che apprendevo a un agente del Sid”.
Dai processi emerse anche che i servizi sapevano che cosa stavano facendo i neofascisti di Ordine Nuovo e li lasciavano fare. Il generale del Sid Gian Adelio Maletti aveva ricevuto le informazioni, guardandosi bene dal passarle ai magistrati, sia prima, sia dopo la strage.
Bologna e il 2 agosto 1980
Le indagini sulla strage di Bologna sono state segnate da gravissime e ripetute azioni di depistaggio poste in essere da parte di uomini ai vertici dei servizi segreti, che si scoprì anche essere stati appartenenti alla loggia “massonica P2” di Licio Gelli.
La tessera della loggia era posseduta dal direttore del Sismi Giuseppe Santovito e dal suo vice Pietro Musumeci, entrambi feroci sostenitori della falsa pista internazionale. Musumeci è stato condannato in via definitiva ad 8 anni e 5 mesi di reclusione per calunnia aggravata (in Italia per assurdo non esiste il reato di depistaggio, ndr) e Santovito se l'è cavata perché è morto prima della sentenza. Tessera della P2 posseduta anche dal capo del Sisde, il servizio segreto civile che aveva individuato da subito la pista neofascista salvo poi “adeguarsi” all'idea della pista internazionale su “suggerimento” di Licio Gelli, anche lui condannato per il depistaggio delle indagini sul 2 agosto, che si è portato nella tomba i suoi segreti.
Gelli, il generale Musumeci, il col. Giuseppe Belmonte e il faccendiere Francesco Pazienza furono anche imputati per aver creato, all'interno del servizio segreto militare, una super-struttura occulta, (il cosiddetto Super Sismi), addirittura sospettata di aver operato in collegamento con elementi della criminalità organizzata.
Nel processo che ha visto imputato Paolo Bellini, esponente di Avanguardia nazionale, nonché uomo dei servizi segreti e killer di 'Ndrangheta, è stata fatta luce anche sui mandanti della strage. Così sono state ricostruite le responsabilità dell’ex capo della P2 Licio Gelli, Umberto Ortolani, ex braccio destro di Gelli, Federico Umberto D'Amato, ex direttore dell'Ufficio Affari Riservati del Ministero dell'interno e uomo della Cia in Italia e Mario Tedeschi, ex piduista e senatore del MSI, individuati quali mandanti, finanziatori o organizzatori dell’attentato, finanziato grazie ai soldi del Banco Ambrosiano.
I risultati del processo d'appello di Alberto Cavallini accusato di essere il quarto esecutore materiale del massacro del 2 agosto confermano l'esistenza di una fitta rete di collusioni tra estrema destra, loggia massonica P2 e servizi segreti, con coperture ad altissimi livelli, che hanno fatto sì che attendessimo oltre 40 anni per processare i mandanti della strage e non solo. La sua esecuzione – viene stabilito dalla Corte - è stata rafforzata e supportata dai vertici dei servizi segreti italiani ed è stata eseguita da terroristi fascisti.
Strage di Bologna
Le stragi di mafia
Le tracce di “manine” e “manone” di figure istituzionali dietro i tanti delitti di Stato si scorgono anche nelle stragi del 1992 e del 1993.
Pensiamo ai guanti di lattice, con tracce di Dna femminile a Capaci, al ritrovamento nei pressi del cratere di un bigliettino con un numero riferito ai servizi. O ancora dichiarazioni di Spatuzza sulla presenza di un uomo che “non era di Cosa nostra” durante le fasi di caricamento dell'esplosivo per la strage di Borsellino, inoltre più di un sospetto fa presupporre che furono uomini delle istituzioni a sottrarre l'agenda rossa dalla borsa di Paolo Borsellino nel giorno dell'attentato, mentre i corpi del magistrato e degli agenti di scorta erano stati dilaniati e le auto erano ancora fumanti.
Inquietanti buchi vi sono anche rispetto a quel che avvenne nel 1993 dove diverse testimonianze riferiscono della presenza di donne nelle stragi di Firenze e Milano. Su quegli attentati proprio Spatuzza diceva: “Per Capaci e via D’Amelio per quello che mi riguarda erano nemici anche miei, anche se non li ho mai conosciuti, e in quell’ottica per me andava bene anche usare modalità terroristiche… ma quando andiamo a mettere cento e passa chili di esplosivo in una strada abitata non è più qualcosa… stiamo andando verso qualcosa che non ci appartiene più”.
La ricerca della verità sui mandanti esterni di quelle stragi sono ancora in corso, anche se inchieste e processi hanno già dimostrato come essi si inseriscono in un contesto di forte cambiamento politico a livello nazionale ed internazionale.
Guardando alla “Rosa dei Venti”
Altri esempi di ingerenza di strutture più o meno occulte che hanno avuto lo scopo di impedire l'attuazione della Costituzione Repubblicana, pienamente democratica, impedendo l'assurgere al potere legislativo ed esecutivo di partiti di ideologia socialista si nascondono dietro i tentativi di golpe.
Esempio può essere la “Rosa dei Venti”, struttura parallela del Sid predisposta dall'ex direttore Vito Miceli finalizzata ad organizzare un colpo di Stato tra il '73 ed il '74.
Legalizzando certe attività, senza un adeguato sistema di controllo, aumenterebbe a dismisura anche il potere della Presidenza del Consiglio che, potenzialmente, potrebbe organizzare anche colpi di Stato. Non solo.
Guardando all'ottica di governo potrebbe infiltrare tutti quei movimenti, ritenuti come “antagonisti sociali”, con personaggi autorizzati a far degenerare una protesta pacifica con atti di terrorismo, giustificando così ulteriori interventi stringenti per le libertà e giri di vite.
Francesco Cossiga © Imagoeconomica
Un po' quell'idea che l'ex Presidente della Repubblica Francesco Cossiga (uno che aveva a che fare con “Gladio”) aveva proposto nel 2008, in un'intervista, parlando della necessità di infiltrare le manifestazioni studentesche, per poi usare la violenza: “Un'efficace politica dell'ordine pubblico deve basarsi su un vasto consenso popolare, e il consenso si forma sulla paura, non verso le forze di polizia, ma verso i manifestanti... L'ideale sarebbe che di queste manifestazioni fosse vittima un passante, meglio un vecchio, una donna o un bambino, rimanendo ferito da qualche colpo di arma da fuoco sparato dai dimostranti: basterebbe una ferita lieve, ma meglio sarebbe se fosse grave, ma senza pericolo per la vita... Io aspetterei ancora un po' - continuava Cossiga - e solo dopo che la situazione si aggravasse e colonne di studenti con militanti dei centri sociali, al canto di Bella ciao, devastassero strade, negozi, infrastrutture pubbliche e aggredissero forze di polizia in tenuta ordinaria e non antisommossa e ferissero qualcuno di loro, anche uccidendolo, farei intervenire massicciamente e pesantemente le forze dell'ordine contro i manifestanti”.
Allarme inascoltato
Dietro a questa legge, inserita nel Ddl sicurezza, vi sono anche altri pericoli denunciati solo da alcune minoranze.
I capigruppo M5S al Senato e alla Camera Stefano Patuanelli e Francesco Silvestri e i componenti M5S nel Copasir Roberto Scarpinato e Marco Pellegrini, ad esempio, hanno evidenziato il pericolo che le banche dati non solo delle procure ma anche di altri organismi nevralgici dello Stato, possano essere spiate.
“Il M5S – hanno scritto in una nota di pochi giorni fa – da molto tempo ha sollevato inascoltato l’allarme sul fatto che da una parte governo e maggioranza stanno aumentando a dismisura i poteri dei servizi segreti e dall’altro non prevedono alcun potenziamento dei sistemi di controllo. Questi pericoli li abbiamo denunciati sin da quando il centrodestra nel dicembre 2022 ha potenziato i poteri di intercettazione dei servizi segreti; poi in sede di indagine conoscitiva della Commissione giustizia del Senato sulle intercettazioni; ancora, in occasione dell’esame della legge sulla cybersicurezza e infine denunciando per primi il pericolo insito nell’articolo 31 del Ddl Sicurezza, che trasforma tutta la pubblica amministrazione in una sorta di gigantesca Ovra, obbligando impiegati e funzionari ad agire come spie, anche in violazione della privacy”.
Anche in questo senso, dunque, la nuova normativa presenta evidentissimi limiti.
Stiamo attraversando un momento storico delicatissimo.
Recentissime indagini come quelle della Procura di Milano hanno fatto emergere l'esistenza di organizzazioni criminose che operano tramite intercettazioni illegali, capaci di violare i data base statali, per costruire dossier in cambio di denaro con collaborazioni strette con potenze straniere, e con rapporti alquanto opachi proprio con esponenti dei Servizi e con altri funzionari di vertici statali.
Con normative del genere su tutto questo potrebbe calare il più totale silenzio.
La posta in gioco è dunque alta sotto più punti di vista.
E il rischio è che questa riforma sia l'ennesima spallata alla libertà e alla democrazia.
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