Intervista a Daniele Gabrielli, vice presidente Associazione familiari vittime strage via dei Georgofili
A Firenze, il 27 maggio del 1993, una bomba esplose davanti all’Accademia dei Georgofili, nel cuore storico della città, aprendo un cratere di oltre quattro metri di lunghezza e profondo più di un metro. L’esplosione uccise una famiglia intera: Fabrizio Nencioni, sua moglie Angela e le loro due figlie, Nadia di otto anni e mezzo e la piccola Caterina di appena cinquanta giorni. Nella stessa strage perse la vita anche Dario Capolicchio, uno studente universitario, bruciato vivo mentre era accanto alla sua fidanzata, Francesca Chelli, che sopravvisse riportando gravi ferite e un'invalidità permanente. La città non ha mai dimenticato quella notte di sangue, simbolo di un attacco vigliacco e disumano contro persone innocenti.
Stragi che con il loro carico di dolore e devastazione rappresentano una pagina oscura nella storia d'Italia, un periodo in cui il Paese ha vissuto l'incubo del terrore mafioso in un modo che sembrava superare i confini di Cosa Nostra.
Ne abbiamo parlato con Daniele Gabrielli, vice Presidente dell'Associazione tra i familiari delle vittime della Strage di via dei Georgofili, testimone oculare di quella terribile notte che assieme agli altri membri dell'associazione continua la lotta anche in nome di Giovanna Maggiani Chelli, la cui voce è stata a lungo una testimonianza preziosa e un richiamo continuo affinché quella verità, che sembra sfuggire, venga alla luce in ogni sua parte.
Pier Luigi Vigna © Imagoeconomica
Daniele Gabrielli, sono passati trentuno anni dopo la strage di Firenze. Lei è stato un testimone di quella sera. La sua vita, quella della sua famiglia, è segnata da allora. Cosa si porta oggi dietro, qual è la sensazione che ha? Possiamo dire che sappiamo molto, ma non certamente tutto?
La strage dei Georgofili è stata a lungo l’unica che, in pochi anni, ha visto condannati in via definitiva gli esecutori e i diretti mandanti: Milano, Brescia e Bologna hanno dovuto attendere assai più a lungo, con percorsi ben più tormentati, subendo sentenze contraddittorie e depistaggi, ma soprattutto un inquietante “muro” di silenzio e di indifferenza che pretendeva che la pretesa di verità si spegnesse nell’indifferenza.
Siamo grati alla magistratura fiorentina, in particolare Pier Luigi Vigna e Gabriele Chelazzi, per il coraggio, la determinazione e il metodo rigoroso di indagine con cui è stata condotta l’istruttoria che ha portato a 15 ergastoli, ma era evidente che la strategia delle bombe in continente del 1993 non poteva essere pensata e organizzata solo dalla mafia che, quantomeno doveva aver goduto di appoggi esterni e convergenti di altre identità che potevano aver interesse a destabilizzare lo stato democratico e/o creare le condizioni per nuovi equilibri. Come familiari di chi nella strage ha perso la vita e vittime noi stessi, oltre a pretendere tutta la verità, ci battiamo perché mai più possano ricrearsi in futuro nel paese le trame che portarono alle stragi.
Gabriele Chelazzi
Gaspare Spatuzza, ex boss di Brancaccio, diceva: "Le stragi in Continente erano qualcosa fuori Cosa nostra; ci stavamo portando dietro dei morti che non ci appartenevano". Voi come associazione "Tra i Familiari vittime dei Georgofili" che risposta vi siete dati?
Che operarono entità esterne alla mafia, tra queste anche servitori infedeli dello stato, come riconosciuto dello stesso Presidente Mattarella nel messaggio in occasione del 9 maggio 2023.
Oltre agli uomini delle istituzioni che hanno depistato le indagini e creato confusione in modo che non si giungesse a identificare i colpevoli, nel 1993 si svolse la cosiddetta “seconda trattativa” per individuare nuovi referenti politici che dessero garanzie sia alla mafia che a quelle forze che si erano mosse nei decenni precedenti nella strategia della tensione: servizi segreti, massoneria, eversione neofascista. Non è un caso se le stragi cessano con la discesa in campo di Silvio Berlusconi con Forza Italia alla cui creazione dette un contributo decisivo un (accertato) referente della mafia come Marcello Dell’Utri. Giuseppe Graviano fece infatti capire a Spatuzza che qualcuno spingeva perché venisse eseguita la strage di carabinieri all’Olimpico di Roma, dando un colpo di grazia all’agonizzante governo Ciampi.
Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri © Imagoeconomica
Senta, le sentenze sulle stragi del 1993, oltre ad aver accertato la responsabilità mafiosa hanno in qualche modo individuato una sorta di responsabilità morale di quanto avvenuto. E si dice che la trattativa, avviata con Vito Ciancimino tramite gli ufficiali del Ros, in qualche maniera rafforzò il convincimento di Cosa nostra che la logica delle bombe pagasse. Oggi c'è chi vorrebbe riscrivere questa verità sancita da una sentenza definitiva. Quando leggete queste considerazioni voi che avete vissuto sulla vostra pelle le stragi cosa pensate?
Nonostante le sentenze favorevoli agli imputati nel processo trattativa, dalle motivazioni che assolutamente non condividiamo, emerge comunque che dopo Capaci e via D’Amelio si svolse una “scellerata” trattativa condotta dal ROS dei Carabinieri che dette alla mafia la convinzione che lo Stato fosse disposto al compromesso. Ricordo che per decenni questa trattativa è stata addirittura negata, avvallata da pareri di autorevoli studiosi e giornalisti, mentre ora viene ammessa, ma derubricata a un innocente contatto, senza però spiegare quale fosse la base della trattativa e chi avvallasse istituzionalmente l’iniziativa dei ROS, anzi facendo capire che sia stata condotta a fin di bene per far cessare le stragi e catturare Riina, che invece ripresero nel 1993. E’ sempre stato parere dell’Associazione che, in uno stato di diritto, non si possa assolutamente trattare con la criminalità organizzata; se si vuole davvero debellare questi fenomeni, occorra la massima fermezza anche a costo di subirne le conseguenze: in realtà la situazione è ben più grave di una questione di principio, da sempre Mafia, 'Ndrangheta e Camorra hanno occupato ampie zone del meridione e si sono diffuse nel restante territorio nazionale, intrattenendo rapporti costanti, addirittura collaborando con la politica e pezzi delle Istituzioni. Per anni la nostra Presidente Giovanna Maggiani Chelli ha ripetuto come un mantra, “catturare Matteo Messina Denaro”: la trentennale latitanza del boss e quella di Bernardo Provenzano, dimostrano che non si è voluto catturarli e forse addirittura protetti da iniziative che potevano metterli in pericolo, come la collaborazione di Luigi Ilardo già nel 1995.
Giovanna Maggiani Chelli
C’è il rischio, a suo modo di vedere, che oggi vi sia un gioco al ribasso da parte delle istituzioni?
Recenti prese di posizione di autorevoli politici del centro-destra contro l’inchiesta di Firenze dimostrano non solo che non si vuole fare chiarezza sui retroscena delle stragi del 1992-1993, ma anche si vuol far credere che la strategia della trattativa abbia dato risultati positivi, quasi che la mafia non esistesse più e che non abbia più presa sulle regioni meridionali, invece le si è dato il tempo di rendersi invisibile e passare inosservata, quasi sicuramente trasmettere il testimone alla 'Ndrangheta, di insinuarsi e corrompere l’economia delle regioni più ricche del paese, ma anche trasferire all’estero lucrosi traffici, forse perché l’Italia è oggi marginale nelle sue strategie, ormai a livello mondiale.
Una delle battaglie che avete sempre portato avanti come associazione riguarda il Fondo 512, legge dello Stato del 1999 istituito a sostegno delle vittime di mafia. A che punto siamo?
Con la Legge 206 del 2004 in favore delle vittime del terrorismo è stato fatto un fondamentale passo in avanti che si deve alle associazioni delle stragi, anche se abbiamo dovuto lottare a lungo per la sua completa attuazione, anzi la legge ha fatto da battistrada per l’estensione dei benefici ad altre vittime di atti terroristici. Una valutazione negativa verso alcune Regioni, come la Toscana, che encomiabili su tanti aspetti, sta condizionando i benefici alle fasce di reddito ISEE, dimenticando che il terrorismo colpisce indiscriminatamente sia ricchi che poveri. Un bisogno a cui possibilmente far fronte, sia a livello statale che regionale, è una maggiore protezione per la non autosufficienza delle vittime, perché le vicende delle stragi hanno sicuramente inciso sulla nostra salute e perché in alcuni casi sono venuti meno nelle stragi proprio le persone che potevano essere di sostegno. Questo preme dirlo non solo per le attuali vittime, ma perché vi sia una adeguata legislazione nel caso di deprecabili episodi futuri atti di terrorismo.
Firenze, 23 maggio 2024. L'Accademia dei Georgofili e l'Albero della Pace, opera di Andrea Roggi del 2021 dedicato alle vittime della strage e del professor Franco Scaramuzzi © Paolo Bassani
Giovanna Maggiani Chelli, combattiva presidente dell’Associazione dei Georgofili, chiedeva spesso un processo sui mandanti occulti. Quanto manca oggi la sua figura e che idea si è fatto proprio su questo punto?
Serbiamo nel cuore una grande gratitudine per Giovanna, senza il suo coraggio e tenacia, non saremmo certo qui a cercare ancora la verità. Durante i processi non ha mai mancato di essere presente alle udienze, spesso in solitudine o accompagnata dall’amico Walter Ricoveri, a supporto dello storico avvocato di parte civile Danilo Ammannato, sentinella di giustizia e rappresentante delle vittime verso i magistrati inquirenti e le corti giudicanti.
Nel 2019 quando Giovanna ci ha lasciato, si è creato un vuoto incolmabile, al punto che l’Associazione aveva deciso di non proseguire la propria attività, ma poi è prevalso il senso di responsabilità personale e alcuni di noi si sono fatti carico di proseguire la testimonianza pur con i limiti delle nostre capacità: abbiamo puntato su una organizzazione più collettiva e intergenerazionale, aprendoci alla collaborazione di quanti tra Istituzioni e associazionismo, potevano contribuire alla conservazione della memoria della strage e i riscontri sono stati molto positivi, soprattutto in occasione del 30° anniversario, anche grazie al sostegno della Regione Toscana che ha inserito nella legislazione un articolo riguardante specificatamente la memoria della strage e garantendo il finanziamento delle annuali celebrazioni, almeno per un triennio.
Alcuni di noi, come il sottoscritto, pur partecipando, non avevano mai preso la parola per l’Associazione: con la scomparsa di Giovanna, abbiamo sentito il dovere di assumerci le nostre responsabilità, soprattutto verso le nuove generazioni che incontriamo nelle scuole e accompagniamo a visitare il luogo della strage.
Danilo Ammannato © Paolo Bassani
La Procura di Firenze sta proseguendo il suo percorso nella ricerca della verità su quanto avvenuto. Ci sono più filoni aperti e lo scorso 2 ottobre la Procura ha chiesto il rinvio a giudizio di Dell’Utri, già condannato per concorso esterno, era indagato come mandante esterno delle stragi assieme a Silvio Berlusconi.
Secondo l’ipotesi accusatoria non avrebbe dichiarato al tribunale per le misure di prevenzione somme di denaro e beni per un valore stimato di oltre 42 milioni di euro, che avrebbe ricevuto insieme alla moglie, sempre secondo gli inquirenti, da Silvio Berlusconi e da società a lui riconducibili. Come guardate a queste inchieste?
Che si sia trattato di un attacco alla nostra democrazia e alle nostre libertà: questo non deve essere dimenticato proprio perché mai si ripetano le condizioni di contesto che nel biennio 1992-1993 portarono alle stragi. Negli anni sono state più volte tecnicamente archiviate le indagini contro Berlusconi, ma nei decreti sono presenti fatti e circostanze che da sempre, noi riteniamo meritevoli di essere esaminati in dibattimento: anche se la sentenza dovesse essere favorevole per gli imputati, riteniamo che il dibattimento costituirebbe comunque un passo in avanti verso la verità. L’accusa rivolta a Dell’Utri non è diretta e riferita esplicitamente alle stragi, che dovrà comunque giustificare una “generosità” che appare sproporzionata e per lo meno sospetta, facendo ritenere che si tratti di un indennizzo a un amico per non averlo tirato in ballo nelle inchieste e processi. Non ci fermeremo, anche se questa inchiesta portasse a un nulla di fatto: con l’aiuto e in collaborazione con le altre associazioni delle vittime delle stragi vorremmo rompere il muro di omertà e le coperture di cui i responsabili delle stragi hanno goduto, per arrivare a smascherare quelle entità che collaborarono attivamente con la mafia, ma forse addirittura la utilizzarono, nell’attacco allo Stato e alla nostra democrazia. Anche se molti dei protagonisti sono ormai scomparsi, rivendichiamo piena luce sui depistaggi che hanno caratterizzato tutte le stragi, sul ruolo dei servizi segreti/ufficio affari riservati, la P2 e la massoneria e l’eversione neofascista, di cui abbiamo chiari indizi in tutte le indagini e processi. Vorremmo poter svelare chi c’era dietro le sigle, come la “falange armata”, che fino al 2014 hanno continuato a lanciare sinistri avvertimenti e rivendicazioni, perché abbiamo il timore che, nonostante il tempo trascorso, siano rimaste attive o possano riattivarsi da un momento all’altro con nuovi progetti eversivi.
Vista aerea della strage di Via dei Georgofili
Nella scorsa legislatura la Commissione antimafia aveva avviato un importante approfondimento sulla strage dei Georgofili...
Sì e noi rivendichiamo che vengano riprese. In quelle indagini condensate in una relazione del Presidente del Senatore Morra nella quale si affermava “assolutamente apprezzabile” che l’autobomba fosse passata di mano prima della collocazione sul luogo dell’attentato, arricchita da una aggiunta di esplosivo di natura militare; si tratta dell’inquietante vicenda della donna di via dei Bardi che dimostrerebbe che la mafia non agì da sola e che fu aiutata, se non eterodiretta da soggetti esterni dotati di grande preparazione, presenze che si ritrovano anche a Milano in via Palestro.
Ci aspettavamo che la nuova Commissione riprendesse e approfondisse questa indagine, ma la nuova guida della Commissione del centro-destra, ha preferito concentrarsi solo sui depistaggi della strage di via D’Amelio e sulla pista “mafia appalti” suggerita da Mario Mori. A Fiammetta Borsellino vorremmo far presente che non ci può essere una via esclusiva alla verità, se la trattativa stato-mafia non poteva essere l’unica pista, oggi non lo sono neppure gli appalti, che tra l’altro escludono dalle indagini il ruolo dei servizi segreti o degli uffici affari riservati, cioè quelle “menti raffinatissime” che, come denunciato da Falcone, avrebbero avuto la “regia” delle stragi del biennio ’92-’93, se non dell’intera strategia della tensione.
E’ stato detto da autorevoli magistrati che ci vorrebbe un “pentito di stato”, cioè un funzionario o politico implicato, perché pochi contributi possiamo ormai attenderci dai responsabili detenuti all’ergastolo da oltre trent’anni e che nei prossimi anni probabilmente inizieranno a uscire di prigione: personalmente sarei anche disponibile anche a garantire una sorta di impunità a chi contribuisse, in modo certo e definitivo, all’accertamento della verità, come è avvenuto in passato, a esempio, per Gaspare Spatuzza. In concreto, ci vorrebbe una revisione e/o nuova legge sui pentiti, ma vedo che il clima non è certo favorevole perché sarebbe necessaria una convergenza tra maggioranza e opposizione.
Salvatore Borsellino © Imagoeconomica
Il 31 ottobre come associazione avete partecipato alla conferenza stampa organizzata da Salvatore Borselino, Paolo Bolognesi, presidente Associazione familiari vittime strage alla stazione di Bologna; Federico Sinicato, presidente Associazione familiari vittime strage di Piazza Fontana; ed altri familiari vittime di mafia. Cosa vi ha spinto ad aderire e quali devono essere i prossimi passi?
Come Associazioni dei familiari e vittime delle stragi abbiamo accolto molto volentieri la proposta di Salvatore Borsellino di un documento e della successiva conferenza stampa perché Roberto Scarpinato e Federico Cafiero de Rao possano continuare a far parte e dare il proprio contributo di indubbia conoscenza e competenza in Commissione antimafia, contro le iniziative che pretenderebbero di esautorarli. Se questa è stata una iniziativa "difensiva", ora è indispensabile per le Associazioni inaugurare una nuova stagione di collaborazione perché solo insieme possiamo rompere l’isolamento, sconfiggere l’omertà e sventare depistaggi, stimolando e influenzando, come nostro diritto, sia la magistratura che l’opinione pubblica per ottenere finalmente verità e giustizia.
La conferenza stampa dello scorso 31 ottobre in Senato può quindi segnare un momento significativo di ripresa delle attività unitarie: nonostante le difficoltà e gli ostacoli che abbiamo incontrato, i momenti di isolamento e di scoramento, siamo andati avanti, anche se ciascuno soprattutto nello specifico delle proprie vicende. Dobbiamo essere consapevoli che grazie a “testimoni” come Salvatore Borsellino, Manlio Milani, Paolo Bolognesi e Giovanna Maggiani Chelli, solo per citare i “portavoce”, ma anche grazie a coloro che ci hanno sostenuto in questi lunghi anni, oggi abbiamo la verità a portata di mano e dobbiamo coglierla insieme.
Realizzazione grafica di copertina by Paolo Bassani
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