In memoria del suo impegno civile
"Cinquantasette giorni sono quelli in cui si sono verificate tutte le trame. Tutto ciò che ha portato la morte di Paolo Borsellino. Probabilmente è stata decisa proprio in quei giorni. E allora la fatica di tutti i giorni deve essere proprio di capire cosa è successo in quei 57 giorni. Di cercare di scoprire, forse era scritto nell'agenda rossa sennò magari non sarebbe sparita, quali sono i motivi per cui bisognava fare fuori Paolo subito. L'accelerazione, anche questo è un oggetto di una sentenza. Ci sono dei punti fermi, ci sono delle ragioni ben precise. Ecco la fatica di tutti i giorni deve essere quella di risolvere questi quesiti".
Correva il 25esimo anniversario della strage di via d'Amelio e Rita Borsellino si presentava così. In piedi di fronte all'Italia intera, nonostante la stanchezza che la malattia le causava da tempo, capace di mettere all'angolo le Istituzioni con parole tanto forti quanto nette sul significato della memoria, sull'impegno quotidiano e la necessaria ricerca della verità.
Una ricerca di verità che in quel momento era rappresentata dalle sentenze di primo grado Borsellino quater e trattativa Stato-mafia. Sentenze oggi definitive, seppur con esiti diversi. Chissà cosa direbbe oggi Rita Borsellino di fronte allo scempio che si sta consumando attorno alla ricerca della verità sulle stragi, laddove una certa politica vorrebbe riscrivere la storia.
Oggi è il giorno in cui si celebra la sua memoria. Si era spenta il 15 agosto 2018 all'ospedale Civico di Palermo e ancora una volta siamo qui a ricordare quelle sue parole nell'intervento televisivo, durante la trasmissione Falcone e Borsellino condotta da Fabio Fazio, Pif e Roberto Saviano in occasione dei 25 anni dalle stragi del 1992.
Parole, come dicevamo, forti, determinate, capaci di spezzare quel clima "politically correct" che era andato in scena ius quella giornata e che puntualmente si ripete ogni anno.
"Non è stato facile in questi 25 anni continuare a vivere in questo luogo - diceva parlando dell'impegno assunto in tanti anni - ma è stata una scelta ben precisa e compiuta devo dire inizialmente non da me. Io ho avuto la tentazione di scappare. Ricordo che arrivando in via d'Amelio dissi: 'Non ci voglio più tornare qui'. Era un modo un po' infantile, forse, di cercare di proteggersi da una verità che era troppo difficile da accettare e da vivere. Furono i miei figli, che erano ragazzi allora, avevano 20 anni circa. E poi fu mia madre che volle tornare a vivere qui. Mi disse: 'Io ci provo'. Che questa decisione era la decisione giusta lo testimonia quest'albero. Fu lei che volle piantarlo il primo anniversario della strage. Fu lei che volle ricordare tutti con quest'albero. E intanto volle quasi rifiutare pubblicamente, in maniera chiara, quell'atto di guerra, mettendo un simbolo di pace. Questo albero, come ha detto, arriva dal convento dei Francescani di Betlemme. Ha un significato particolare, oltre ad essere un albero è un albero di ulivo ed è diventato quello che è, una meta di un pellegrinaggio continuo soprattutto da parte dei più giovani".
E poi ancora: "Con questo albero mia madre ha voluto ricordare tutti. E lo testimonia la lapide che è messa accanto all'albero dove ci sono soltanto dei nomi. C'è scritto: Paolo, Agostino, Claudio, Emanuela, Vincenzo e Walter. Perché lei disse davanti alla morte noi siamo tutti uguali. E poi ci accorgemmo, quasi un segno davvero, che le iniziali dei nomi di queste persone una dietro l'altra formano la parola Pace e due V in segno di vittoria".
La fatica di ogni giorno, senza punti
"Oggi - aggiungeva in quell'intervento storico - è stata una giornata faticosa, ma quella che bisogna ricordare è la fatica di tutti i giorni. E che non bisogna dimenticare. Perché io ho due preoccupazioni e le esprimo qua e le voglio condividere con voi come ho sempre fatto in questi anni dove ho cercato di vivere e di capire anche, insieme agli altri, il significato di ciò che era accaduto e che continua ad accadere. Le mie preoccupazioni le esprimo qua. Una è proprio questa del 25°anniversario. Lo dico non criticamente, ma c'è stata molta enfasi attorno a questo 25esimo. Io non vorrei che questo 25esimo metta un punto a certe cose. E ci faccia guardare all'indietro. Sia a quello che si è fatto, ai risultati ottenuti, questo cambiamento della società che sarebbe sciocco non ammetterlo. Dei ragazzi che non c'erano e che oggi sono protagonisti e custodi di questa memoria. Ma guai a mantenere questa enfasi e questo trionfalismo da oggi in poi. La fatica di ogni giorno deve continuare ancora di più. 25 anni, il venticinquesimo anno è solo un anno in più del 24esimo, e ancora una volta dobbiamo segnare un'assenza di verità e giustizia. A noi i brandelli, i coriandoli di verità che qualcuno si inventa per acquietare qualcuno non ci interessano, la verità la vogliamo per intero".
E poi ribadiva con forza: "Ci sono dei punti fermi da cui ripartire come delle sentenze, una che dice che la trattativa tra Stato e mafia c'è stata, che ci sono stati degli innocenti, poi colpevoli per altre cose, che sono finiti in galera perché qualcuno ha voluto mandarceli perché doveva dare in pasto all'opinione pubblica delle cose. Noi vogliamo sapere ora perché, a chi serviva e a chi è servito”.
Parlando dei 57 giorni che separano le stragi di Capaci con via d'Amelio aggiungeva: "Cosa è il 57? Sono i giorni e la fatica, e che fatica, che intercorre tra la morte di Giovanni Falcone e la morte di Paolo. Anche qui una preoccupazione. Noi Giovanni e Paolo li abbiamo sempre ricordati insieme. Sempre. E' quasi un'appendice naturale nominarli uno dietro l'altro. Uno: rischiamo di trascurare gli uomini delle scorte. Già si diceva Giovanni Falcone e la sua scorta; Paolo Borsellino e la sua scorta. Adesso cosa si dirà? Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e le loro scorte? Eh no. I nomi, le persone vanno ricordati uno per uno con i loro sentimenti le loro storie, le loro vite. Perché altrimenti gli facciamo un torto. Ed io so quanto fa male questo alle loro famiglie. Sentire quasi che non c'è il tempo, non c'è la voglia di ricordarli uno per uno e di memorizzare questi nomi così come meritano. Questi uomini, questa donna, facevano un lavoro straordinario: proteggevano la vita di un'altra persona considerandola più importante della propria. E questo credo che sia qualcosa di incommensurabile".
Anche da queste parole di umanità si capisce quanto manca oggi Rita in questo mondo diviso.
Noi, come tanti altri, continuiamo. Lo abbiamo detto in via d'Amelio. Si riparte dalla ricerca dei mandanti esterni delle stragi, portate avanti tra il 1992 ed il 1994. La vogliamo tutta. Non a coriandoli. Proprio come Rita diceva.
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