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Lettera anonima recapitata a Prato nel nuovo ufficio del procuratore che ha condotto inchieste sulle stragi

“Ti faremo saltare con il tritolo. Finiremo quello che abbiamo iniziato”. È questa l’ultima minaccia di morte rivolta al magistrato Luca Tescaroli, già procuratore aggiunto di Firenze, da poco insediatosi a Prato. Una lettera minatoria recapitata proprio nel suo nuovo ufficio lo scorso 29 luglio. Un foglio anonimo che sarebbe stato scritto al computer, poi stampato e imbustato. Dal timbro postale emerge che la lettera è stata spedita il 18 luglio da Firenze: il giorno prima della commemorazione della strage di via d’Amelio. Il fatto è già stato segnalato alla magistratura di Genova, competente in questo caso, e anche alla Procura generale fiorentina.
Tescaroli negli anni ha condotto indagini sulla strage di Capaci, sul fallito attentato all’Addaura, sull’omicidio del banchiere Roberto Calvi, su Mafia Capitale ma anche fascicoli sulla criminalità cinese e l’infiltrazione nell’imprenditoria, su scambi di favore con le autorità, casi d’abuso d’ufficio e corruzione.
Prima di lasciare la procura di Firenze, stava conducendo una lunga inchiesta - assieme al procuratore Luca Turco - per svelare i mandanti esterni delle stragi politico-mafiose del ’93-’94. Un lavoro che ha portato a indagare il fondatore di Forza Italia, Silvio Berlusconi (fino alla sua morte) e il suo braccio destro Marcello Dell’Utri.
Tescaroli, che da anni vive sotto scorta a causa delle minacce ricevute, assieme ai colleghi Francesco Paolo Giordano e Antonella Sabatino, per la strage di Capaci ottenne in via definitiva le condanne dei 37 mafiosi (29 ergastoli, tra componenti della Cupola, accusati di avere deciso l'eccidio, ed esecutori materiali). 
Il 2 giugno 1997, pochi giorni dopo le richieste di condanna, il magistrato, all'epoca 32enne, sfuggì ad un attentato mentre era in vacanza con la propria fidanzata a Maratea, sulla spiaggia del lido del “Macarro”, in Basilicata. Volevano ucciderlo con un fucile a doppia canna lunga e con un'altra arma a canna corta.
Su quell'attentato indagò la Procura di Potenza per i reati ipotizzati a carico di persone non identificate di detenzione e porto abusivo di armi e resistenza a pubblici ufficiali.
Nel chiedere l'archiviazione al Gip il pm individuò in maniera chiara il contesto di quel progetto di morte, evidenziando che non vi erano dubbi che “la condotta dei due giovani d'identità ignota fosse diretta ad arrecare pregiudizio all'integrità fisica della persona del dott. Tescaroli”.
Nel documento venivano anche ricordati altri episodi di minacce ricevute dal magistrato, con “avvertimenti” che erano stati addirittura trasmessi al padre, quindi si stabiliva con certezza che il magistrato fosse l'obiettivo degli attentatori a causa dell'impegno profuso, quale magistrato della Dda di Caltanissetta, nelle inchieste e nei processi contro persone imputate di appartenenza ad organizzazioni criminali di stampo mafioso siciliane, quali Benedetto Santapaola, Giuseppe Madonia, Antonio Ferro e contro i presunti mandanti ed esecutori delle stragi di Capaci e di via d'Amelio di Palermo.
A giugno dello scorso anno, invece, scattò l’allarme bomba dopo il ritrovamento di una scatola metallica sospetta, con dei fili elettrici che fuoriuscivano all'esterno, davanti al portone d’ingresso dell’abitazione del procuratore Tescaroli. La Procura genovese aveva aperto un fascicolo a carico di ignoti per minaccia grave e violenza a pubblico ufficiale.
Ed ora una nuova minaccia di morte. Questa volta con esplicito riferimento al “tritolo” e alla volontà di “finire quello che abbiamo iniziato”. Parole che riportano indietro la mente al biennio stragista ’92-’94. Una minaccia che dimostra ancora una volta che le stragi non sono affatto una vecchia storia e nulla può essere sottovalutato.

Foto © Imagoeconomica

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