Di Matteo: "Il grido di dolore di Borsellino è rimasto disatteso. Italia Paese al contrario"
Dal palco di via D'Amelio gli interventi del procuratore in forza alla Dia, Saverio Lodato, Scarpinato, Repici e Salvatore Borsellino
È tanta l'emozione in Via d'Amelio a distanza di 32 anni dalla strage che uccise Paolo Borsellino assieme agli agenti di scorta, Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Cosina e Claudio Traina. Ad accentuare l'emozione è il sostituto procuratore nazionale antimafia e già consigliere togato del Csm, Nino Di Matteo il quale, intervenendo durante il convegno "Dietro le stragi: verità nascoste, verità negate", ha ricordato il compianto giornalista Andrea Purgatori, deceduto esattamente un anno fa.
"In un momento difficile come questo fatto di violenza, di guerre, in cui è in atto un vero e proprio genocidio nei confronti dell'intero popolo palestinese, in un momento in cui si manifesta una chiara insofferenza della libertà di critica, di protesta, di dissenso, Andrea Purgatori manca come l'aria a questo Paese", ha detto il magistrato.
Sono da poco passate le 16:58 in cui il suono della tromba ha celebrato il minuto di silenzio per le vittime della strage.
Al centro del convegno la Trattativa Stato-mafia e l'agenda rossa di Paolo Borsellino. "La scatola nera della strage di Via D'Amelio - ha commentato Salvatore Borsellino -. Si dovrebbe ripartire da lì per arrivare davvero alla verità. Dal furto di quell'agenda compiuto, né sono certo, proprio da quelle stesse mani che hanno voluto la morte di mio fratello. E non sto parlando di pezzi della mafia, sto parlando di pezzi deviati dello Stato, perché è certo che non siano state mani mafiose a portare a compimento quel furto".
L'invettiva è rivolta all'arma dei Carabinieri, nelle vesti di Giovanni Arcangioli che ebbe in mano la valigetta di Paolo contenente l'agenda rossa, e ai vertici del ROS che trattarono con Cosa nostra durante il biennio stragista '92-'93. Non sono state risparmiate le istituzioni che in tutti questi anni hanno tradito la memoria delle vittime della strage di via d'Amelio.
Ricollegandosi alle parole del dottore Di Matteo - "questo non è il Paese che sognavano Falcone e Borsellino" - Saverio Lodato ha aggiunto che "Falcone e Borsellino, 32 anni fa, furono uccisi perché questo era il paese che si doveva costruire con le complicità di cui abbiamo parlato fino a questo momento. Non è stata un'impresa facile costruire il paese scempio nel quale oggi siamo costretti a vivere. Falcone e Borsellino non sarebbero stati compatibili con questo Paese".
A 32 anni di distanza "c'è un dato del quale nessuno parla ipocritamente - ha evidenziato Di Matteo -: si sta perdendo la memoria storica e la conoscenza di quanto è emerso in anni di indagini e di processi perfino negli uffici giudiziari.
Evidentemente nel Paese in politica e più in generale in chi gestisce il potere non c'è la volontà. Anzi, per chi respira l'ambiente istituzionale c'è forte una volontà non dichiarata di archiviare per sempre quella pagina di storia. Lasciarsela definitivamente alle spalle con una narrazione tutto sommato accettabile e rassicurante. La guerra dei cattivi mafiosi, magari con la complicità di qualche imprenditore colluso, contro lo stato buono che li combatteva senza riserve. Non è così". Sul palco ai piedi del Monte Pellegrino di Palermo, anche l'ex procuratore generale di Palermo (oggi senatore) Roberto Scarpinato e l'avvocato Fabio Repici.
A distanza di oltre trent'anni da quella strage, "credo che non ci siano le condizioni politiche per accertare le verità politiche - ha detto Scarpinato, che oggi siede tra le fila dei M5s a Palazzo Madama -. Nel palazzo del potere, il potere si rifiuta da più di 30 anni a questa parte di vedere l'elefante nella stanza, si volta in giro, guarda e non vede l'elefante. Qual è l'elefante? L'elefante sono le decine, le centinaia di prove che dimostrano che le stragi del '92 e del '93 furono stragi politiche eseguite dalla mafia per interessi che andavano molto al di là di quelli mafiosi con l'intervento di apparati statali".
Sull'agenda rossa, invece, Repici ha ricordato che "dopo che nel 2005 grazie al giornalista Lorenzo Baldo avevamo scoperto che un ufficiale dei Carabinieri, Giovanni Arcangioli, aveva portato da lì verso Via dell'Autonomia Siciliana la borsa di Paolo Borsellino, pochi mesi fa si era tentato un processo che è abortito in udienza preliminare. Il processo è finito come è finito nel 2018, poiché bisognava cominciare la riscrittura della storia e dare la responsabilità delle cose indicibili o ai mafiosi o ai morti, e in questo caso il miglior morto era Arnaldo La Barbera. Ecco così che si scopre che la borsa e l'agenda rossa, in qualche modo, l’aveva presa il morto Arnaldo La Barbera. Ora, in questa riscrittura della storia, accadono cose che davvero mai avrei pensato".
Paolo Borsellino diceva che in un sistema costituzionale la responsabilità politica deve essere fatta valere anche quando non si può consacrare una responsabilità di tipo penale. "Quel grido di dolore di Paolo Borsellino, quella invocazione esplicita ai partiti a fare pulizia al loro interno è stata completamente disattesa. Quel grido è rimasto inascoltato - ha continuato Di Matteo -. Anzi, a chi, come accertato perfino in sentenze definitive, per lungo tempo ha intrattenuto significativi rapporti, anche economici, con i mafiosi, e mi riferisco all'onorevole Berlusconi, è stato consentito, in questo Paese al contrario, di governare a lungo e dopo la sua morte di essere rappresentato come un padre della patria al quale dedicare giornate di lutto nazionale e intitolare aeroporti.
Perfino la magistratura, alla quale Falcone e Borsellino dedicarono con intelligenza e passione la loro breve vita, continua, in parte significativa, ad essere pervasa da logiche di potere, di sfrenato carrierismo, di ambizione personale che finiscono per marginalizzare e mortificare i magistrati che a quelle logiche non vogliono adeguarsi. L'Italia è sempre più un Paese al contrario, nel quale vengono quotidianamente calpestati i valori di onestà, di legalità, libertà, eguaglianza, ripudio della guerra che ispirano la nostra Costituzione. Io credo che soltanto la memoria, la consapevolezza, la partecipazione dei più giovani, soltanto un fremito di pacifica ma ostinata ribellione potrà salvare la nostra democrazia dalla deriva alla quale sembra destinata".

Salvatore Borsellino: "Da Mattarella solo parole, mancano i fatti"
"Oggi venendo qui mi è capitato di leggere le parole che il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha rivolto agli italiani. Avrei voluto leggere altre parole. Quando anni fa fu eletto Sergio Mattarella io dissi che mi aspettavo i fatti e non le parole. Ci sono state le parole in parte, ma i fatti non si sono visti". È l'invettiva lanciata da Salvatore Borsellino, fratello di Paolo, dal palco di via d'Amelio. Mattarella, spiega Salvatore, "ha assistito impassibile allo scempio che sta succedendo, a una riforma Nordio che è un vera e propria attuazione, punto per punto, di quello che era il manifesto di rinascita democratica di Licio Gelli, della P2".
Il fondatore delle Agende Rosse non ha risparmiato nemmeno e Chigi, dal quale il Governo sta cercando "di fare passare la strage di Via D'Amelio soltanto per una strage di mafia, di togliere tutto il resto, strage di mafia e basta. E togliere gli avversari neri, togliere i pezzi della Stato che hanno partecipato a questa strage per cui questa si può, a ragione, chiamare una strage di Stato". Eppure, spiega, "sono stati mani di ufficiali dei Carabinieri a sotrarre quell'agenda rossa che è scomparsa e per la quale non si è svolto neanche un processo".
"In questo 19 luglio 2024, a 32 anni da quella terribile strage, oltre alla retorica delle fiaccolate e delle inflazionate parole sulla memoria, resta del tutto in evasa la richiesta di verità e giustizia sui mandanti del massacro di Paolo Borsellino e della sua scorta - ha aggiunto dal palco leggendo un messaggio di Fabio Granata -. Non basta ricordare Via d'Amelio, ma bisogna capire ciò che avvenne e perché avvenne e soprattutto sapere da che parte stare, senza sé e senza ma".
Flora Agostino ricorda suo padre in via d’Amelio
"Ciao papà, sono in via d'Amelio e non mi sembra ancora vero che tu non ci sia più. Dalla tua scomparsa ho partecipato a diverse manifestazioni, ma oggi non è per niente facile salire su questo palco e parlare, perché ci tenevi tantissimo a questi giorni in ricordo di Paolo, Agostino, Emanuela, Vincenzo, Eddie, Walter, Claudio. Sentivi molto a questa giornata del 19 luglio e non ti importava se c'erano 40 gradi. Tu volevi esserci anche per il grande affetto che ti legava a Salvatore e Roberta".
Sono state queste le parole di Flora Agostino, figlia di Vincenzo Agostino, durante la manifestazione in corso in via d'Amelio per commemorare l'eccidio del 19 luglio 1992.
"Io e Nino siamo sempre stati accanto a te perché ci preoccupavamo per la tua salute, e tu ti arrabbiavi perché volevi far vedere che stavi bene e non avevi bisogno di nulla. Cerco nella folla la tua barba e non posso non ricordare le parole dell'Arcivescovo Corrado Lorefice durante l'omelia del tuo funerale. La lunga barba bianca di Vincenzo Agostino ha rappresentato per noi il segno della resistenza attiva e proficua alla mafia e alle tante forme del male strutturato, che ardiscono a eliminare anche, come lui stesso ebbe a dire, il bene di un figlio, di una nuora, di un bambino mai conosciuto. Ha esterminate Nino, un onesto e accorto servitore dello Stato, la sua giovane moglie Aida e il bambino che avevano concepito da pochi mesi. Insanguina le strade della città, sparge afflizione nelle case e nelle famiglie, pianifica depistaggi, compra silenzi e connivenze anche tra esponenti del potere politico e dell'istituzione dello Stato. Quella barba e quei capelli bianchi che saltavano ai tuoi occhi pieni di luce sono stati per noi e per chi ti ha conosciuto un monito a rinnovarci e a rimanere desti. Ci hai lasciato, in realtà, un esempio raro di impegno per la legalità e la giustizia. Continueremo a lottare per te e continuerò a chiedere verità e giustizia, che hai sempre urlato e che ti è stata negata fino ad oggi. Vincenzo, che in base a come si comporterà verrà chiamato, ovviamente se sarà caparbio e testardo lo chiameremo Vincenzo, conoscerà la storia di un grande uomo che non si è mai fermato nella ricerca della verità e giustizia sull'omicidio di suo figlio, sua nuora e suo nipotino.
E mi dispiace aver seppellito l'ultimo monumento vivente dell'antimafia senza avergli permesso di ottenere la tanto agognata verità e giustizia.”

Angela Manca: “Verranno giorni difficili per la democrazia. Dobbiamo lottare. Resistenza!"
"Amici carissimi, ancora una volta non mi è stato possibile essere insieme a voi per svariati motivi. Per me è stato un anno particolarmente difficile. La morte di Gino, che anche in quelle gravi condizioni era il mio sostegno, e tutti i soprusi che ho subito e continuo a subire, mi hanno stancata molto, ma nonostante tutto continueremo a lottare quotidianamente. Mi manca tantissimo quella piazza. Mi manca l'abbraccio di Salvatore Borsellino, che più di una volta mi ha detto: 'Anche se abbiamo la stessa età, io in te vedo mia madre, vedo quel dolore che non l'ha mai abbandonata.'" Lo ha detto in una nota Angela Manca - madre del famoso urologo siciliano Attilio Manca, trovato morto nel suo appartamento a Viterbo il 12 febbraio del 2004 - letta durante l'evento di oggi in corso a Palermo per ricordare l'eccidio di via d'Amelio.
"Una delle ultime volte che sono venuta ricordo quel saluto della dolce Rita dal balcone, come non posso dimenticare Augusto e Vincenzo, che sono stati un esempio, un modello per tutti noi. Quella piazza, senza di loro, è un po' più vuota. Grazie, Salvatore, di aver fatto in modo che in questi anni questo luogo sacro non venisse usato da chi voleva farne solo una passerella".
"Un ringraziamento particolare all'avvocato Fabio Repici - si legge nella nota - che, con tenacia, caparbietà ma soprattutto con grande competenza, non smette mai di lottare per la ricerca della verità e giustizia". Ma "la censura incombe su tutto, anche sulla rete. Più di una volta mi sono stati cancellati dei post pubblicati su Facebook. Uno dei tanti casi è quello del podcast di Luca Grossi su Attilio pubblicati su ANTIMAFIADuemila.
So che verranno giorni ancora più difficili per la nostra democrazia, ma noi dobbiamo lottare in modo più forte per i nostri diritti. E come ci ha insegnato il nostro caro Salvatore Borsellino: sempre resistenza. Resistenza! Resistenza!".
Brizio Montinaro: "Ce ne freghiamo della verità giudiziaria. La verità storica è fondamentale"
"Vorrei ricordare il perché presenzio in Via D'Amelio il 19 luglio e non il 23 maggio alle parate di Stato, di associazioni, di fondazioni e di personaggi. Lo faccio perché probabilmente vivono la loro realtà di familiari di vittime come una sorta di palcoscenico dove apparire. Qui, invece, nessuno cerca di apparire e poco fa si faceva riferimento al fatto che siamo sempre meno. E va bene saremo di meno ma non smetteremo mai di investire il nostro tempo nelle giovani generazioni".
Così Brizio Montinaro, fratello di Antonio, agente di scorta di Giovanni Falcone morto nella strage di Capaci, dal palco di via d'Amelio.
"La verità storica è fondamentale e noi ce ne freghiamo della verità giudiziaria. Certo, ci farebbe piacere avere anche una verità giudiziaria autentica rispetto a tutto quello che è avvenuto, da Portella della Ginestra ai nostri giorni e soprattutto al '94 - ha aggiunto -. Abbiamo visto morire tante persone innocenti nelle stragi più efferate, che sono legate a meccanismi molto complessi che solo approfondendo libri che già esistono si può comprendere come queste stragi siano state pianificate da menti raffinatissime". E poi il monito: "Non dimentichiamo i dati. Cerchiamo di approfondire sempre di più la documentazione che abbiamo nelle mani. E nel nostro piccolo cerchiamo di dare il nostro contributo e lasciare traccia documentata".
Luciano Traina: via d’Amelio deve essere lasciata a noi e non ai politici
"Sono felice oggi di essere qui, anche se è un giorno triste. Ma noi dobbiamo farlo diventare un giorno di memoria, di ricordo, e deve essere un giorno per tutti voi. Quindi mi congratulo con chi ha organizzato oggi questo evento, perché non vedo questa come una piazza. Questa è via d'Amelio, dove si fa la commemorazione ogni anno il diciannove luglio, e questa piazza deve essere lasciata a noi familiari e non ai politici. Loro, se devono fare i politici, se ne vadano a fare le passerelle. Qui non è zona di passerella. Almeno per questo giorno, lasciatecelo a noi".
Lo ha detto Luciano Traina, fratello dell'agente di scorta Claudio Traina, durante l'evento in corso in via d'Amelio "Noi sappiamo chi siete" per ricordare l'evento del 19 luglio 1992.
Antonio Vullo: "Sono passati 32 anni e inizio a sentirne il peso"
"Quest'anno in realtà volevo stare in disparte perché 32 anni iniziano a pesare e incomincio a essere stanco. Stanco perché ogni anno ci sono sempre situazioni dove vedi passerelle, vedi persone non adeguate a questi eventi, poi sempre polemiche anche tra di noi e questo non va bene".
Così Antonio Vullo, l'unico agente sopravvissuto alla strage di via D'Amelio, dal palco presente sul luogo della tragedia in occasione del 32° anniversario da quel terribile 19 luglio '92.
"Sappiamo che non è stata solo mafia, perché se era solo mafia già da decenni avremmo avuto la verità. Anche in questi periodi Abbiamo altri personaggi delle istituzioni che sono sotto processo, abbiamo un altro magistrato che deve chiarire la sua posizione. In tutti questi anni abbiamo avuto soggetti istituzionali che hanno messo piede e mani in via da medio. Se queste persone troveranno il coraggio innanzitutto di tagliare quel filo dove sono legati e di mettere tutto nero su bianco, forse sicuramente riusciremo ad avere la verità, quella che ci spetta a tutti noi, quella che spetta anche a voi, quella che spetta ai ragazzi del futuro e quella che vogliono i nostri martiri, Agostino, Claudio, Vincenzo, Emanuela, Walter e il giudice Paolo Borsellino".
Stefano Mormile: "Ogni anno è come un passo avanti e quattro indietro"
"Noi continuiamo a tornare qua, come diceva prima Luigi Lombardo. Siamo sempre di meno ma noi torniamo, e nel frattempo qualcosa succede, qualcosa si muove. Ogni anno è come un passo avanti e quattro indietro". Così Stefano Mormile, fratello di Umberto, sul palco di via d'Amelio durante l'evento commemorativo della strage del 19 luglio '92.
Educatore del carcere di Opera, Umberto Mormile è stato ucciso dalla 'Ndrangheta nelle campagne di Carpiano l'11 aprile 1990.
"Per la storia di mio fratello, in realtà quest'anno sembra prodigo di avvenimenti favorevoli, adesso ve li racconterò, anzi ve li farò raccontare. Da questo palco mi sento di dire che sento di appartenere a tutte le altre storie, alla storia di Attilio Manca, a quella di Vincenzo Agostino, che ci ha lasciati senza riuscire a tagliarsi la barba lunga. Un'ingiustizia veramente incredibile".
Claudia Loi: "Mia sorella una ragazza normale con una grande passione"
"Emanuela Loi, mia sorella, era una ragazza normale, come tanti di voi voleva vivere la sua vita con semplicità, avere una famiglia, dei figli, la sua grande passione. Come ben sappiamo non l'è stato consentito. Fu la prima donna poliziotta nel nostro paese a perdere la vita a seguito di un attentato di stampo mafioso. Aveva solo 24 anni. I miei genitori l'hanno cresciuta con sani principi e valori morali, che l'hanno resa una paladina della giustizia sociale, sempre pronta a schierarsi a difesa dei più deboli, delle persone fragili, degli anziani, dei bambini, delle donne. Ha combattuto per la pace, la libertà, l'uguaglianza, la fraternità, l'unione tra popoli, sperando che un domani tutto ciò diventasse realtà".
Così la lettera inviata da Claudia Loi, sorella di Emanuela, letta dal palco di via D'Amelio dalle Agende Rosse. "Ogni qualvolta noi familiari abbiamo modo di parlare con i suoi colleghi, la ricordano come una donna coraggiosa, di grande responsabilità. Svolgeva il suo lavoro con discrezione e professionalità, a pensarci chissà cosa sarebbe diventata oggi se non le avessero impedito di vivere la sua vita e continuare la sua carriera nella Polizia di Stato. A Palermo, oltre alla stima illimitata al giudice Borsellino, si rivedeva anche nel giudice Falcone. Condivideva i loro ideali di onestà e giustizia sociale. È stata uccisa in Sicilia, una terra che tanto amava e che sentiva sorella della sua Sardegna. Andare a Palermo a combattere la mafia era considerato un vero atto di coraggio, come una vera missione. Queste riflessioni mi inducono a richiamare alla memoria una citazione del giudice Falcone, che merita di essere ricordata. 'Gli uomini passano, ma le idee restano, come un patrimonio, in modo tale che altri di noi, con le loro gambe, possano continuare a farle camminare'. Una frase che rispecchia in pieno il breve ma intenso cammino di vita della nostra Emanuela e di tutti coloro che hanno perso la vita inseguendo quell'ideale di onestà, legalità, giustizia e libertà. Ogni tanto mi chiedo come sia possibile che altri esseri umani riescano a sprigionare tanta malvagità contro altri loro simili, causando in loro una sofferenza disumana".

Famigliari di Agostino Catalano: Presidente Mattarella apriamo altri fascicoli e interroghiamo chi si è passato l’agenda rossa
Per noi “Agostino Catalano era un punto d'appoggio: ci consigliavamo sempre con lui perché era davvero un ragazzo straordinario. Mia sorella Pina ha cresciuto Agostino perché lei è la più grande della famiglia. Sono passati 32 anni e Agostino ci manca tantissimo. Pensiamo non solo noi, che siamo i fratelli, ma soprattutto ai figli di Agostino, che da 32 anni non hanno più chiamato papà, e neanche mamma, perché qualche anno prima era morta anche la mamma, giovanissima. Sono rimasti orfani davvero giovanissimi e sono cresciuti con l'aiuto di noi zii, per quanto potevamo fare”.
Lo hanno detto pino, Salvatore e Tommaso Catalano, famigliari di Agostino Catalano durante l’evento in corso in via d’Amelio per ricordare la morte del giudice Paolo Borsellino e degli uomini della sua scorta.
“Loro purtroppo qui non vengono mai perché l'emozione li distrugge moralmente. Sapere che qui è morto il loro papà in quell'atroce esplosione li distrugge fisicamente. Per questo ogni tanto ci dicono mai i figli di Agostino. Purtroppo noi diciamo sempre che loro non possono mai venire qui perché il ricordo è talmente forte che moralmente li distrugge. Ecco, io imploro, non so se ci sta ascoltando il Presidente Sergio Mattarella, anche lui vittima di mafia, familiare di vittima di mafia: non si può ancora aspettare dopo trentadue anni e continuare ogni anno a venire qua e dire sempre le stesse cose. Si è detto tanto: trentadue anni sono troppi. Ecco, Mattarella, non si può aspettare ancora. Cerchiamo di aprire di nuovo i fascicoli, di chiamare quelli che si davano la borsa a Borsellino, mano per mano, come si vede nei filmati. Interroghiamoli di nuovo, quelli che sono vivi. Purtroppo, quelli che sono morti sono morti. Ma si portano sulla coscienza tutta la verità che sapevano. Interroghiamo davvero, Sergio Mattarella, fallo per noi vittime di mafia, perché noi aspettiamo ancora giustizia. Vogliamo giustizia e sapere tutta la verità. Questo noi familiari delle vittime chiediamo. Ci onora davvero essere italiani perché in Italia è una bella nazione e quindi vogliamo giustizia, giustizia e giustizia”.

Giovanni Paparcuri: “Borsellino? Morto e rimasto senza giustizia”
Borsellino è morto ed è rimasto “senza giustizia” così “come non avete avuto giustizia voi. Io non sapevo che cosa dire. Venendo qua ho cominciato a leggere il telefonino, i vari discorsi che arrivano da Milano a qua dai politici locali, nazionali e cose varie. Il dottore Borsellino, un martire, ha bisogno di giustizia. Ma quale giustizia? Se noi stiamo cominciando qua parliamo e poi, giorni prima, giorni fa, il governo ti leva già l'abuso d'ufficio, il governo ti limita le intercettazioni telefoniche. E poi la chicca più bella: io se devo partire di qua, devo andare a Milano, devo atterrare nell'aeroporto che adesso si chiama Berlusconi”. Sono state queste le parole di Giovanni Paparcuri intervenuto durante l’evento in corso in via d’Amelio in memoria del giudice Paolo Borsellino e degli uomini della sua scorsa.
“A me questo fa schifo, ma non è per Berlusconi. Perché Berlusconi, che meriti ha? Berlusconi potrebbe essere un grande imprenditore, ma sappiamo che la sua vita qual è stata: prescrizione, questo, questo e quell'altro. Il dottore Borsellino, il dottore Falcone su di lui indagava. Io ho le carte, le prove che indagava su questo signore. Eppure gli abbiamo dedicato un aeroporto. Quindi, se qualcuno mi invita al nord e io devo sbarcare, mi fate un biglietto per l'aeroporto Berlusconi? Ve lo dico da adesso: io non vengo”.
Wiki Mafia: “Dopo 32 anni continua il depistaggio. Indecente indegno per un Paese civile"
"Sono altri che dovrebbero parlare dopo 32 anni. Sono altri che, dopo 32 anni, dovrebbero finire questo depistaggio continuo, indecente, indegno per un paese civile. E invece questi non parlano. Continuano imperterriti a gettare fango sulle persone migliori che abbiamo avuto in questi anni, le uniche che hanno cercato veramente verità e giustizia. Lasciatemi esprimere piena solidarietà al dottor Gioacchino Natoli, che è stato vergognosamente accusato di essere colluso con la mafia ed è ancora sottoscorta per le minacce che durante la sua intera carriera ha avuto per le indagini che ha fatto. Del resto, viviamo in tempi distopici. Dobbiamo anche addirittura spiegare perché è una vergogna intitolare l'aeroporto di Milano-Malpensa a Silvio Berlusconi! Solo in un paese moralmente finito come il nostro si può pensare di dedicare un aeroporto a un condannato in via definitiva per frode fiscale, iscritto alla P2, che per diciotto anni ha finanziato Cosa Nostra. Tralascio tutto il resto perché dico solo che all'estero già lo hanno rinominato l'aeroporto Milano Malpensa a Bunga Bunga Airport". Lo ha detto il presidente e fondatore di Wikimafia Pierpaolo Farina durante l'evento in corso in via d'Amelio "Noi sappiamo chi siete" per ricordare l'eccidio del 19 luglio 1992.
"E questi sono i patrioti, quelli che tengono all'immagine dell'Italia, quelli che manganellano gli studenti il 23 maggio, quelli che cancellano l'abuso d'ufficio, censurano i giornalisti, la RAI. E potremmo andare avanti a lungo. Questi dicono di ispirarsi a Paolo Borsellino. Gentile presidente del consiglio Giorgia Meloni, voi con queste iniziative indecenti avete perso ogni diritto di fare il nome di Paolo Borsellino!" ha aggiunto.
Marta Capaccioni: “Trattativa Stato-mafia? Carabinieri del ROS agirono in spregio alla Costituzione"
"La Cassazione sul processo trattativa Stato-mafia ha dato solo un colpo di spugna finale, ma a quei giudici, a quegli imputati, ai loro avvocati, agli intellettuali, ai professori emeriti, ai giornalisti asserviti per soldi alla propaganda del governo, vogliamo dire che quelle assoluzioni non alleviano le colpe e le gravi responsabilità dei funzionari di Stato che, mentre saltavano in aria magistrati, agenti delle scorte e cittadini innocenti, andarono a cercare i vertici di Cosa Nostra per trattare con loro, senza riferire una sola parola all'autorità giudiziaria, e che garantirono fattivamente, così dicono le sentenze, la latitanza di Bernardo Provenzano" ha detto.
"Non ci importa se agirono a fin di bene, per fini solidaristici o per indicibili ragioni di interesse nazionale. Ci importa che agirono in spregio alla Costituzione e ai loro doveri istituzionali, e soprattutto alle spalle di quei magistrati che avrebbero dovuto proteggere. Ci importa che le loro azioni rafforzarono il convincimento in Cosa Nostra di fare altre stragi, quelle del 1993, in cui morirono giovani e bambine innocenti. Sono responsabilità che rimangono indelebilmente scolpite nella memoria storica di tutto il nostro Paese e di cui dobbiamo farci testimoni" ha aggiunto.

Jamil El Sadi: “Processo Trattativa costò condanna a morte a Nino Di Matteo. Altro che 'boiata pazzesca'”
"24 anni fa nasceva il nostro giornale ANTIMAFIADuemila. 24 anni in cui non abbiamo mai smesso di indagare sulle stragi e sui delitti eccellenti che hanno caratterizzato, segnato, deviato la Storia della nostra Repubblica. Bombe, omicidi, depistaggi, false testimonianze. Eravamo certi che dietro il progetto terroristico-eversivo di Cosa nostra e ‘Ndrangheta vi fosse un unico file rouge. Lo eravamo, e lo siamo ancora oggi".
Sono state queste le parole di Jamil El Sadi, redattore di ANTIMAFIADuemila e membro di Our Voice durante l'evento in corso a Palermo in via d'Amelio.
Il giovane ha parlato anche del "processo 'Trattativa Stato-mafia' che certi intellettuali da tastiera, spesso rintanati dentro le loro scrivanie accademiche o di Palazzo, hanno subito bollato come 'una boiata pazzesca'".
"Un processo scomodo che portò Cosa nostra ad organizzare un progetto di attentato nei confronti del sostituto procuratore nazionale antimafia Nino Di Matteo, al tempo pm di punta del pool che conduceva l’accusa. Furono proprio Totò Riina e Matteo Messina Denaro a condannare a morte Di Matteo perché, con il processo Trattativa Stato-mafia, 'si era spinto troppo oltre'. Altro che “boiata pazzesca”, altro che 'antimafia della fuffa'".
SIAP, Lombardo: “Assistiamo a indebolimenti costanti degli apparati di legge"
"Ogni tanto assistiamo a degli indebolimenti costanti degli apparati di legge, degli apparati giudiziari con delle riforme che intasano di burocrazia gli uffici di polizia e li massacrano perché si fanno provvedimenti di legge a costo zero senza implementare le forze di polizia e schiacciandoli con delle leggi. Quindi, quando si dice di non venire in Via d'Amelio, si dice davvero per questo. Venire in Via d'Amelio significa rispettare il sangue versato dei servitori dello Stato con la S maiuscola, che è quello che rappresenta ognuno di voi. Non si può venire davanti al sangue innocente che urla non vendetta, perché non siamo come loro, ma che urla verità e giustizia. Non si può venire davanti a questo sangue innocente se non si fa qualcosa di concreto per aiutare chi la mafia la combatte ogni giorno a rischio della vita" ha detto Luigi Lombardo, segretario del Siap durante l'evento di oggi in corso in via d'Amelio per ricordare l'eccidio del 19 luglio 1992.
Orioles: “Questa è una storia nostra e dei giovani che hanno il coraggio come voi"
"Io non dirò neanche una parola perché dove si parla di questi uomini nessun altro deve parlare troppo. Ringrazio tutti voi ragazzi, proprio molto. La politica non c'entra molto, in questi giorni ce la vogliono far entrare, però Falcone e Borsellino erano un po' diversi come delle politiche, no?".
Sono state queste le parole del direttore de 'I siciliani' Riccardo Orioles durante l'evento in corso oggi 19 luglio 1992 in memoria del giudice Paolo Borsellino e degli uomini della sua scorta. "Ma se qualcuno mi viene a parlare in questa giornata di destra e di sinistra, io mi metto a ridere. Voglio sapere intanto chi parla, chi c'era può parlare, chi non c'era non può parlare, per questo è una storia nostra e dei giovani che hanno il coraggio come voi altri" ha detto Riccardo Orioles.
È iniziato ora l’evento "Noi sappiamo chi siete" organizzato dal Movimento delle Agende Rosse in via d’Amelio a Palermo per ricordare il giudice Paolo Borsellino e gli uomini della sua scorta Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Cosina e Claudio Traina, uccisi in una strage politico - mafiosa il 19 luglio 1992.
C’è chi ritiene ch prevalga la narrazione 'consolatrice' secondo cui in quella via c'era soltanto la mafia e che gli unici colpevoli siano stati Totò Riina e i suoi sodali.
Anche lo Stato deviato era in qualche modo partecipe prima, durante e dopo la strage. Il centrodestra ha già una verità preconfezionata in tasca. Si indaghi pure sulla pista 'mafia-appalti', ma a che titolo si chiudono gli occhi sulle risultanze processuali che attestano che i soggetti coinvolti nella strage appartengono agli stessi ambienti criminali operativi nella strage di Capaci e in quelle del 1993?
“La strada da fare è ancora lunga perché si giunga a quella verità senza la quale non avremo giustizia per i morti del 19 luglio del '92, ma anche per tante altre vittime senza giustizia. Ma la verità dei tribunali, come dice Salvatore Borsellino, sembra essere oggi in uno stato confusionale. Noi sappiamo chi siete. Questo è il titolo della nostra manifestazione. Noi sappiamo chi siete” ha detto aprendo l’evento Roberta Gatani, nipote del giudice ucciso in via d'Amelio. “Iniziamo questo pomeriggio insieme ad alcuni amici, singoli o rappresentanti di associazioni che ci sono vicini nell'impegno e nella lotta per il raggiungimento della verità” ha fatto eco Rosanna Melilli delle Agende Rosse.
Foto © Paolo Bassani/Emanuele Di Stefano
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