Il docuvideo sulla morte di Borsellino
19 luglio 1992, un’autobomba esplode in via d’Amelio, ai piedi del Monte Pellegrino, da cui sovrasta il suggestivo Castello Utveggio.
Vengono uccisi il giudice Paolo Borsellino assieme agli agenti di scorta Agostino Catalano, Walter Eddie Cosina, Emanuela Loi, Claudio Traina e Vincenzo Li Muli. Quel vicolo cieco è un inferno: l’odore del sangue si mescola con la puzza di fumo e di benzina; i palazzi sventrati; il panico fra la gente.
Solo 57 giorni prima Cosa nostra - e non solo - sventrò un tratto di autostrada Palermo-Punta Raisi uccidendo i magistrati Giovanni Falcone e Francesca Morvillo assieme ai poliziotti della scorta Antonio Montinaro, Vito Schifani, Rocco Dicillo.
Sono 57 giorni di martirio per Borsellino; di corsa contro il tempo per individuare gli assassini del suo amico fraterno.
“Giovanni Falcone per me rappresentava uno scudo”, diceva alla sua famiglia. Consapevole di quello che sarebbe stato il suo destino.
A 32 anni di distanza, tramite testimonianze e analisi di atti e documenti, continuiamo a porci domande sulla strage di Via d’Amelio. Domande necessarie soprattutto in un momento in cui, come oggi, da più parti si cerca di cancellare la componente istituzionale dietro la strage, imboccando filoni investigativi per cui a voler eliminare Borsellino sarebbe stata solo Cosa nostra. Senza complici. Solo mafia.
Piste che non fanno luce su chi siano i mandanti esterni che hanno ordinato la morte di Borsellino e perché. Sul perché ci sia stata l’accelerazione della strage. Su chi ha preso l’agenda rossa dall’auto in fiamme. La stessa agenda contenuta nella valigetta di pelle che l’allora capitano dei Carabinieri Giovanni Arcangioli aveva in mano mentre si allontanava dal luogo della strage. Un fatto noto dimostrato da una fotografia che ritraeva la scena pochi minuti dopo l’esplosione. Fu una fonte riservata a segnalarne l’esistenza al nostro vicedirettore, Lorenzo Baldo, che a sua volta trasmise il dato all’autorità giudiziaria.
E ancora: Quali presenze occulte si aggirarono in Via d’Amelio negli attimi immediatamente successivi all’esplosione? Chi sono i soggetti esterni a Cosa nostra e che ruolo hanno giocato nella realizzazione della strage? E, infine, quali sono quelle “menti raffinatissime” che hanno voluto la morte prima di Giovanni Falcone e poi, con molta probabilità, di Paolo Borsellino immediatamente dopo la strage di Capaci?
Per capire quali sono queste verità mancanti vi proponiamo un docuvideo che abbiamo realizzato in occasione del 31° anniversario della strage di Via d’Amelio. Perché oggi, come allora, anche se Cosa nostra ha cambiato strategia, non significa che si sia arresa. Resta ancora in vigore, infatti, il progetto di attentato nei confronti del sostituto procuratore nazionale antimafia Nino Di Matteo. Un magistrato condannato a morte da due capimafia di primissimo livello come Totò Riina e Matteo Messina Denaro perché, con il processo Trattativa Stato-mafia, “si era spinto troppo oltre”.
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