Il senatore commenta la bocciatura dell’emendamento al Ddl Cybersicurezza che ammetteva il controllo alle banche dati solo ad indagini concluse
Ancora una volta il senatore Roberto Scarpinato è uno dei pochissimi, in Senato, a cercare di mettere freno alla deriva autoritaria ultragarantista e anticostituzionale delle misure proposte dal governo Meloni. L’ultima battaglia è quella fatta contro il Ddl Cybersicurezza, approvato ieri in Senato, che prevede, tra le altre cose, il controllo dell’operato dei magistrati, da parte di un ispettore mandato dal ministero della Giustizia, nelle attività di consultazioni delle banche dati su soggetti indagati. Si tratta di un provvedimento che comprometterà il lavoro dei pm e potrebbe favorire l’impunità dei colletti bianchi, data l’evidente violazione del segreto investigativo. Questo è solo l’ultimo intervento legislativo sfascia-inchieste prodotto dalla maggioranza. Un provvedimento di stampo fascista che ricorda quelli dei generali sanguinari della dittatura Argentina (1976-1983) come Videla e Massera che impedivano l’autonomia della magistratura controllandone ed ostacolandone il proprio operato. A tutto ciò, insieme a pochi altri senatori, Scarpinato si oppone dal primo momento in cui si è seduto a Palazzo Madama e in un video pubblicato sui propri canali social ha spiegato la gravità di quanto approvato ieri a Palazzo Madama dalla maggioranza.
“Nel corso delle indagini i magistrati hanno spesso necessità di accedere alle banche dati per acquisire informazioni importanti per l’accertamento dei reati”, ha esordito in video Scarpinato. “Tutte queste interrogazioni alle banche dati sono coperte da segreto sino a quando l’indagine non si è conclusa. La maggioranza di governo ha approvato una norma che consente al ministro della Giustizia, che è un’autorità politica, di venire a conoscenza del segreto delle indagini perché attribuito agli ispettori del ministero della Giustizia il potere, anche se le indagini sono in corso, di controllare gli accessi alle banche dati che i magistrati hanno fatto”.
E’ chiaro - secondo l’ex procuratore generale di Palermo - “che il controllo sulla regolarità di questi accessi non può essere svolto limitandosi a verificare il numero di interrogazioni alle banche dati che i magistrati hanno fatto. Il numero cambia a secondo dell’importanza e della complessità delle indagini. L’ispettore, per verificare che l’accesso alle banche dati sia regolare, deve anzitutto accertare chi sono i soggetti su cui i magistrati hanno fatto interrogazioni alle banche dati informatiche”. E qui, a detta del Senatore, avviene la prima violazione del segreto investigativo. Ma non basta. “Perché per verificare se l’interrogazione è fatta per motivi attenenti alle indagini oppure se c’è un abuso, l’ispettore deve verificare se quel soggetto è iscritto nel registro degli indagati. E qua abbiamo la seconda violazione del segreto delle indagini”. Ma a seguito della legge Cartabia, ha ricordato l’ex pm, “non si può iscrivere un soggetto nel registro degli indagati subito, occorrono sufficienti indizi e può darsi che l’ispettore intervenga nel momento in cui questi sufficienti indizi ancora non ci sono. E allora la magistratura dovrà spiegare perché ha fatto questo accesso alle banche dati. Come vedremo, diventa uno strumento per aggirare il segreto investigativo”. Quindi Scarpinato ha illustrato l’emendamento di modifica al Ddl proposto dal Movimento che è stato poi bocciato in aula.
“Per evitare questo pericolo abbiamo detto va bene, l’ispettore potrà fare le sue verifiche ma soltanto a condizione che le indagini siano completate e non coperte da segreto. Ebbene la maggioranza ha bocciato questo emendamento”. Non solo. Il controllo sugli accesi alle banche dati “l’hanno voluto inserire soltanto per i magistrati”, ha precisato Scarpinato. “Non l’hanno voluto inserire per i servizi segreti, non l’hanno voluto inserire per le forze di polizia o per tutte le pubbliche amministrazioni”. “Mi pare - ha affermato il senatore - un campanello d’allarme sulle reali intenzioni di questa maggioranza di governo”.
E quindi, ha concluso, “ha in mano un grimaldello che consente al ministero della Giustizia di violare il segreto delle indagini e scoprire notizie segrete”.
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