Gli interventi al convegno in memoria della strage dei Georgofili
"La mafia non solo non è finita" ma "continuerà a essere utilizzata per attentati stragisti nel nostro Paese perché si deve preservare quel sistema di potere che magistrati leali alla Costituzione italiana potrebbero compromettere". E’ questo l’allarme lanciato dal direttore di ANTIMAFIADuemila Giorgio Bongiovanni durante l'evento ‘Memoria e ricerca della verità oltre 'il colpo di spugna' svoltosi al Salone dei Cinquecento a Firenze, nel giorno delle commemorazioni della strage dei Georgofili.
Moderati dal professore Giuseppe Galasso si sono alternati gli interventi di Luigi Dainelli (Presidente dell'Associazione tra i Familiari vittime dei Georgofili), dell'avvocato Danilo Ammannato, di Salvatore Borsellino e Angelo Garavaglia Fragetta (fondatore e coofondatore delle Agende Rosse), e di Federica Giuliani, assessore alla legalità del comune di Firenze. Un evento che ha visto anche la partecipazione del sostituto procuratore nazionale antimafia Nino Di Matteo ed il giornalista e scrittore Saverio Lodato, autori del libro ‘Il colpo di spugna. Trattativa Stato-mafia: il processo che non si doveva fare’, edito da Fuoriscena.
Giuseppe Galasso
Ad oltre trent’anni dalle stragi che hanno insanguinato il Paese, secondo Bongiovanni, non si può abbassare la guardia, né sottovalutare un fenomeno criminale capace di avere rapporti con i più alti vertici delle Istituzioni. Ancora oggi, ha ricordato il direttore, al governo c’è un "partito (Forza Italia nr) fondato da un uomo della mafia (Marcello Dell’Utri, condannato per concorso esterno in associazione mafiosa, pena scontata ndr). E i mafiosi in carcere, come Giuseppe Graviano, aspettano quelle risposte, non solo delle trattative, ma anche degli accordi che hanno fatto", ha detto. "La mafia è pronta ad eseguire attentati contro gli uomini di Stato veri che vogliono liberare questo Paese dal male o dalla criminalità" ha aggiunto ricordando che uno di questi magistrati è proprio Nino Di Matteo.
Giorgio Bongiovanni
Quest’ultimo, ha ricordato Bongiovanni, è stato condannato a morte non "solo dalla mafia" - cioè da Totò Riina e da Matteo Messina Denaro – ma anche da entità ad essa esterne. La conferma è la lettera che la primula rossa di Castelvetrano mandò a “specifiche famiglie palermitane” in cui chiedeva “di porre in essere un attentato stragista nei confronti del magistrato". Minacce ed intimidazioni che, come ha ricordato Bongiovanni, si sono in qualche modo accompagnate ad un sistematico isolamento istituzionale e tradimenti come quello del Movimento 5 Stelle che propose Di Matteo prima come ministro dell'interno e in seconda battuta come direttore del Dap (Dipartimento amministrazione penitenziaria) per "poi fare marcia indietro".
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Ma perché questo cambio di rotta?
Perché, ha ribadito il giornalista, "Di Matteo come altri sui colleghi dà fastidio al sistema vigente di questo Paese. Quindi qualsiasi funzione di potere potesse avere un uomo come il dottor Di Matteo metterebbe a rischio il sistema criminale di questo Paese". Un sistema che avrebbe trovato appoggi "internazionali" durate l’esecuzione delle stragi; a fianco agli uomini di Cosa nostra, ha sottolineato Bongiovanni, c’erano "presenti delle donne. Ma in Cosa nostra, a meno che non abbiano cambiato il loro centenario codice, non si potevano affiliare delle donne. Quindi se erano presenti nelle stragi di Capaci, in quelle nel 'Continente' e nella strage di Via D'Amelio" non potevano che essere donne dei servizi segreti. Ma, come ha osservato il giornalista, "il servizio segreto italiano, dal 1947 a oggi, è la CIA, il servizio segreto americano che controlla l'Italia. Quindi, se è vero che nella strage di Via D'Amelio, nella strage di Capaci, nelle stragi del 1993 c'erano i servizi segreti italiani, c'era la CIA che controllava o dirigeva o in qualche modo era presente a questi attentati".
Danilo Ammannato: "Ass. familiari delle vittime chiede il rinvio a giudizio per Mori e Dell'Utri"
Ovviamente la serata è stata dedicata alla memoria di Giovanna Maggiani Chelli, la storica presidente dell’Associazione tra i Familiari vittime dei Georgofili deceduta nel 2019. Il testimone nella pretesa di verità e giustizia su quelle stragi è stato raccolto da Luigi Dainelli e l’avvocato Danilo Ammannato che trentuno anni dopo l’attentato continuano questa lotta. "L'Associazione dei Familiari è mossa solo dai due scopi statutari: che è la memoria e la ricerca della verità completa - ha detto Ammannato nel corso del suo lungo intervento - Ed è per questo che, ragionando su dati processuali e su dati accusatori certi, l'Associazione chiede a Firenze di rinviare a giudizio proprio Marcello Dell'Utri per un dibattimento penale, come indagato, non si parla di colpevole, quindi sulla base di tutti i principi costituzionali.
Sono sempre stato un avvocato garantista e continuo a esserlo, con tutte le garanzie costituzionali, però bisogna che sia chiarito il ruolo di Dell'Utri, perché lo vuole la città di Firenze, lo vuole il popolo italiano. Che ruolo ha avuto nel 1993 Dell'Utri? Si è siglato un patto politico mafioso con la mafia? Può avere agevolato o rafforzato la volontà stragista di Cosa nostra? E lo stesso lo chiediamo per l'indagato o l'indiziato Colonnello Mori, perché chiaramente la Repubblica in base all'articolo 50, l'azione penale è obbligatoria" chiede "che ruolo ha avuto quando è andato a dialogare con Cosa nostra nel giugno 1992? Che ruolo ha avuto quando non ha perquisito e non è andato nelle case di Biondino e Riina? Può avere agevolato e rafforzato la volontà stragista di Cosa nostra?"
Danilo Ammannato
Secondo il legale la "verità penale giudiziaria è stata raggiunta al 90%" e che "sulle stragi del 1993, abbiamo 90 giudici penali che hanno scritto 12 mila pagine di sentenza penale. L'ultima sentenza di Reggio Calabria, vi do soltanto piccoli passaggi, afferma, a pagina 364, che la trattativa c'è stata. A pagina 458: il collante del sistema stragista è la massoneria deviata. A pagina 676: Dell'Utri si è attivato già dal 1992 per Cosa nostra, in favore del nuovo referente politico. Pagina 783: il fine delle stragi fu di destabilizzare lo Stato. Pagina 1188: altro esito in dubbio, quindi provato penalmente, sono gli accertati intrecci tra organizzazioni criminali, ambienti massonici e politici, in una evidente convergenza e commistione di interessi per sostituire la vecchia classe dirigente.
Pagina 1202: Gelli fu inventato dalla CIA e a lui furono subordinati i vertici dei servizi segreti.
Pagina 1214: è provato lo strettissimo collegamento tra le mafie e i servizi segreti nel piano di destabilizzazione dello Stato. Ripeto, non sono opinioni di un giornalista, di un cittadino. Non è una sentenza di un singolo GIP, è una sentenza di Corte di Assise e di Appello di Reggio Calabria pubblicata nel febbraio 2024" ha detto il legale. "Le stragi del 1993 furono stragi eversive - ha sottolineato - dell'ordinamento costituzionale e abbiamo i tre processi istruiti dal pm Chelazzi che sono arrivati in Cassazione e abbiamo tre Cassazioni penali che affermano che le stragi del 1993 sono stragi eversive dell'ordinamento costituzionale, ovvero si voleva colpire al cuore lo Stato. E per essere più precise e più particolari, nel 1993 si voleva colpire il governo Ciampi. Ricordiamoci che nell'aprile del 93 c'era stato il referendum con l'abolizione del finanziamento pubblico. Nell'aprile del 93 il governo Amato dà le dimissioni".
Ma queste stragi, ha detto l'avvocato rievocando i contenuti delle sentenze, hanno avuto tre antecedenti fattuali-causali: il primo "è la trattativa Ros-Ciancimino-Riina del giugno 1992. Questa trattativa ha provocato nella mafia la certezza che lo Stato era debole e che la strage pagava"; la seconda: "Questa trattativa del giugno 1992 ha causato l'accelerazione dell'omicidio Paolo Borsellino, come ci ha ricordato adesso il fratello"; la terza conseguenza: "La trattativa che doveva restare nascosta ha causato il più grande depistaggio della storia giudiziaria italiana. Così si è espressa la Corte d'Assise d'Appello di Caltanissetta. C'è quel depistaggio creato dal SISDE, Contrada, La Barbera, che ha fatto sì che si mandassero in carcere degli innocenti". Ma tutti questi elementi la Cassazione non li ha presi in considerazione: la sentenza della Suprema Corte "per l'Associazione Familiari è una sentenza che è illegittima, non giuridica, non completa e illogica, cioè ha i tre vizi che la Cassazione deve controllare".
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Per quali motivi?
"Uno, essendo giudice del diritto non può entrare nel fatto. Se entra nel fatto e dice no per noi non c'è la minaccia aggravata allo Stato e al Governo, c'è solo un tentativo, allora doveva rinviare a che la Corte d'Assise in sede di rinvio valutasse se effettivamente c'era una minaccia o un tentativo di minaccia. In più ha dichiarato che queste sentenze sarebbero state storiografiche". Tuttavia, ha ricordato il legale, esiste "la sentenza delle Sezioni Unite, la del 4 febbraio 92, la numero 6682" nella quale è scritto che "quando il giudice si trova ad affrontare un reato di eversione, un reato politico, chiaramente deve entrare in un contesto storico-politico, perché non siamo nelle fiabe. In un tempo che non si sa, in un paese che non si sa, succede che una bomba esplode".
Da sinistra: Angelo Garavaglia Fragetta, Nino Di Matteo, Saverio Lodato e Danilo Ammannato
Secondo punto: la sentenza è "antigiuridica perché entra in fatto, entra in fatto male, cioè è pure viziata di incompletezza del materiale probatorio, è viziata di travisamento del fatto perché afferma che c'è stato il tentativo di minaccia perché il governo Ciampi non l'avrebbe recepito". Un'affermazione smentita sul nascere dal momento che l'allora Capo dello Stato Giorgio Napolitano, sentito al processo Trattativa aveva dichiarato che c'era un attacco da parte della mafia e che le principali figure istituzionali si riunivano con notevole frequenza: "Il Presidente Scalfaro, il numero due che era Spadolini del Senato e lui che era chiaramente Presidente della Camera". Terzo punto e ultimo: la sentenza è illogica quando "afferma, a pagina 79, la mera apertura di una interlocuzione con i vertici di Cosa nostra, non può ritenersi idonea, chiaramente, a istigare lo Stato" poiché quel dialogo rafforzò "la volontà stragista".
Senza la Trattativa dei Ros non ci sarebbe stata la strage di Firenze
La Trattativa messa in piedi dagli alti ufficiali del Ros dei carabinieri del tempo ha rafforzato in Cosa nostra "l'idea che la strategia stragista pagasse, che era in grado di mettere in ginocchio lo Stato, a rafforzare il delirio di onnipotenza di Riina e a causare altre stragi, questa volta sul continente, e ad attentare, per aumentare il livello del ricatto, anche al patrimonio artistico dello Stato. Senza quella 'improvvida' iniziativa, ne sono convinto, non ci sarebbero state le stragi di via dei Georgofili e di via Palestro, e altre vittime innocenti". Per questo "l'intera famiglia Nencioni, insieme con le due figlie, di cui una di pochi mesi, non avrebbe perso la vita. Per tutto questo qualcuno dovrà pagare. Oggi il funzionario dello Stato che ha portato avanti questa trattativa (Mario Mori ndr) viene esaltato come un eroe ma è chiamato dalla Procura di Firenze a rispondere del fatto che, pur avendo notizia della progettazione di queste stragi, non ha fatto nulla per impedirle. Sono questi gli eroi di questo Paese".
L'intervento, collegato da remoto, di Salvatore Borsellino
Così Salvatore Borsellino, fratello del giudice Paolo Borsellino intervenendo all'evento di Firenze in merito alla sentenza della Cassazione che ha assolto gli alti ufficiali del Ros dei carabinieri, Mario Mori, Giuseppe De Donno e Antonio Subranni per 'non aver commesso il fatto' in merito al processo Trattativa Stato – Mafia. Nel corso del suo intervento Salvatore Borsellino ha parlato anche dell'accelerazione della strage di via d'Amelio e della sparizione dell'agenda rossa del giudice ucciso il 19 luglio 1992. Secondo Salvatore sarebbe questo il punto da cui "ripartire per arrivare davvero alla verità, dal furto di questa agenda, compiuto, ne sono certo, da quelle stesse mani che hanno voluto la morte di mio fratello. E non sto parlando della mafia, ma di pezzi deviati dello Stato, perché è certo che non siano stati i mafiosi a portare a compimento quel furto. È proprio da questo che si dovrebbe ripartire, e non da un dossier mafia-appalti, che, se forse può essere considerato una grande causa, non è sicuramente la vera causa dell'improvvisa accelerazione di una strage che a quel punto non poteva più essere rimandata".
Saverio Lodato
"Sono tuttora convinto - ha detto - che il motivo principale dell'accelerazione della strage di via d'Amelio fosse stato quell'accordo di non belligeranza tra Stato e potere mafioso e che a Paolo deve essere stato prospettato nello studio del Ministro degli Interni nei giorni immediatamente precedenti alla strage, e al quale Paolo deve essersi strenuamente opposto. Non avrebbe mai accettato Paolo questo scellerato accordo di mutuo soccorso stabilito negli anni tra lo Stato e la mafia, a partire da quando i voti assicurati dalla mafia in Sicilia consentivano alla Democrazia Cristiana di governare nel resto d'Italia, anche se questo aveva come conseguenza l'abbandono della Sicilia, così come di tutto il Sud, al potere mafioso".
Paolo Borsellino, ha ribadito Salvatore, doveva essere eliminato in fretta perché "rappresentava un ostacolo insormontabile per un disegno criminoso teso, anche con l'ausilio dell'organizzazione mafiosa e della destra eversiva, a cambiare gli equilibri di questo disgraziato Paese, che da queste stragi, che io ho sempre chiamato e continuerò sempre a chiamare stragi di Stato, è stato sempre segnato. La causa di questa accelerazione va cercata semmai nelle parole pronunciate da Paolo alla Biblioteca Comunale di Palermo il 25 giugno nel suo ultimo discorso pubblico. Paolo chiese di essere sentito dalla Procura di Caltanissetta per dire quello che aveva scoperto sulla strage di Capaci e da quella strage erano ormai passati più di 30 giorni senza che Paolo fosse stato ancora chiamato" dalla procura di Caltanissetta all'epoca dei fatti guidata dal Procuratore Giovanni Tinebra.
Luigi Dainelli e Angelo Garavaglia Fragetta
Quest'ultimo, ha detto il fratello del giudice ucciso, avrebbe dovuto essere chiamato "a rispondere di aver avallato un evidente depistaggio nel corso di ben due processi".
Oltre lui c’era anche un altro magistrato che avrebbe dovuto essere chiamato a rispondere di fatti ancora oggi non del tutto chiari: il suo omologo palermitano Pietro Giammanco che ha ostacolato "in ogni modo Giovanni Falcone e Paolo Borsellino". "Su Giammanco - ha ribadito - io il dito l'avevo già puntato, ma rimasi inascoltato e scrissi un articolo una domenica di settembre 2008, che fu pubblicato anche nella rivista Micromega nel 2010, in cui ricordavo la telefonata che arrivò a Paolo alle 7 del mattino del 19 luglio in via Cilea. Pietro Giammanco non gli aveva mai telefonato a quell'ora, e di domenica, e non lo aveva mai avvisato del carico di esplosivo che era arrivato a Palermo per attentare alla sua vita”.
"E lo stesso giudice, qualche tempo prima, aveva confidato al maresciallo Canale, che lo affiancava nelle indagini, che in estate avrebbe fatto arrestare Giammanco perché dicesse quello che sapeva sull'omicidio Lima".
Tuttavia, come ha ricordato Salvatore, in questi anni non sono state portate avanti le indagini su queste torbide vicende.
Solo l'avvocato Fabio Repici, ha raccontato il fratello del giudice ucciso il 19 luglio 1992, chiamò in causa "Pietro Giammanco (al processo Borsellino Quater ndr) inserendolo nella lista dei testimoni, che poi in realtà non si è presentato, adducendo motivi di salute".
L'omaggio alla memoria di Andrea Purgatori in un video realizzato da ANTIMAFIADuemila
Via d'Amelio e Georgofili legate dalla Trattativa e dalla 'Falange Armata'
"I fili che legano le stragi di via D'Amelio e quella di via dei Georgofili si chiamano 'Falange Armata' e Trattativa Stato-mafia. Entrambi, secondo me, sono figli di un unico disegno: lo Stato si fa aiutare dalla mafia per traghettare l'Italia dalla Prima alla Seconda Repubblica, preparando il terreno alla nascita di una nuova forza politica che garantisca quella continuità di dialogo col passato, venuta meno con Tangentopoli". Così ha detto il cofondatore delle agende rosse Angelo Garavaglia durante l'evento ricordando l'intervista fatta da Giorgio Bongiovanni e dal caporedattore di ANTIMAFIADuemila Aaron Pettinari a Giovanna Maggiani Chelli, presidente dell'Associazione tra i familiari delle vittime dei Georgofili fino alla sua morte nel 2019.
Angelo Garavaglia
"L'intervista, del 7 febbraio 2019, è stata fatta in occasione dell'udienza d'appello del processo. Giorgio Bongiovanni chiese a Giovanna il significato di questo processo, e lei rispose che il significato più ampio era la ricerca di giustizia. 'Dal 1992 ha avuto inizio questa storia, da quando, a giugno '92, uomini dello Stato andarono a parlare con mafiosi del calibro di Vito Ciancimino. Perché arrivarono a tanto, fino a chiedere il motivo di quel muro contro muro? Abbiamo avuto una sentenza di primo grado che ha scritto chiaramente che senza la trattativa con Cosa nostra da parte dei Carabinieri di Mario Mori non ci sarebbero state le stragi del '93'" ha rimarcato Angelo sottolineando che, secondo il suo pensiero, "non ci sarebbe stata neanche l'accelerazione della strage di Via D'Amelio".
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"'Anche se il processo in appello dirà che sono stati penalmente corretti, moralmente non lo saranno mai per noi. Lo ha detto anche il nostro avvocato Danilo Ammannato durante la sua arringa - ha detto Garavaglia leggendo le parole di Giovanna. 'Non si va a parlare con Ciancimino, cercando Riina, per chiedergli cosa si possa fare per fermare le stragi, senza valutare che quella bestia, senza nulla togliere alle bestie, possa decidere di alzare il tiro. Questo è avvenuto dopo Capaci e Via d'Amelio. Cosa nostra ha alzato il tiro sulla nostra pelle. E si tenga presente che a raccontarci i contenuti di quel dialogo con Ciancimino sono stati gli stessi carabinieri al processo di Firenze. Addirittura, loro usano per primi il termine Trattativa'".
E Giorgio continuò: 'Di recente, Mori ha dichiarato di volersi curare bene per vivere a lungo e vedere morire qualcuno dei suoi nemici". "'Noi siamo rimasti inorriditi da quelle frasi - aveva risposto la presidente dell'associazione vittime della strage dei Georgofili - Pensiamo che dovrebbe chiedere scusa per quello che è avvenuto a causa del suo operato, a prescindere dal fatto che abbia avuto o meno rilevanza penale. Non esiste il reato di trattativa, ma da quel dialogo, come scritto anche nelle sentenze, si sono generate le stragi del '93. I nostri figli sono morti sull'altare dell'arroganza delle presunte modalità di indagare. Io guardo le condizioni di mia figlia e, pensando a quelle parole di Mori, provo sgomento. Io, diversamente da lui, voglio vivere a lungo per avere giustizia per mia figlia e per tutti i morti che rappresento nella mia associazione'".
Durante il suo intervento Garavaglia ha parlato anche dello stato dell'informazione in Italia ricordano che pochissimi giornali "ad esempio gli amici di 'ANTIMAFIADuemila' e 'Il Fatto Quotidiano' riuscirete a leggere lampi di verità" per poi ricordare "la recente chiusura della trasmissione 'Non è l'Arena'" condotta da Massimo Giletti. "Questa trasmissione è stata chiusa bruscamente nel momento in cui parlava dei rapporti tra Berlusconi e la mafia, ma non solo. Giletti aveva già pronte delle puntate sulle menzogne e dei depistaggi del protagonista della trattativa Stato-mafia, il generale Mario Mori. Tanto che in un'intercettazione Marcello Dell'Utri, condannato in via definitiva per mafia arriva a dire: 'Giletti va chiuso'”.
Il direttore Bongiovanni insieme al sostituto procuratore Nino Di Matteo
Foto © Paolo Bassani/Davide de Bari
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