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Nella notte la commemorazione a Firenze. Oggi la conferenza con Di Matteo e Lodato

Ore 1:04. A Firenze i rintocchi delle campane ricordano ciò che avvenne nella notte tra il 26 ed il 27 maggio 1993.
Lo scoppio di un'autobomba uccise Dario Capolicchio, 22 anni, bruciato davanti agli occhi della fidanzata Francesca Chelli (che porta ancora i segni di un'invalidità permanente), e della famiglia Nencioni: Fabrizio, la moglie Angela Fiume e le due bimbe Nadia, 9 anni, e Caterina, 50 giorni, oltre a una quarantina di feriti.
Anche se l'obiettivo era il patrimonio artistico.


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Vennero anche danneggiate gravemente parte della Galleria degli Uffizi e del Corridoio Vasariano, distruggendo per sempre alcune opere d'arte e la torre del Pulci fu danneggiata.
Con duecentocinquanta chili di tritolo, piazzati all’interno di un furgone Fiat Fiorino, Cosa nostra colpì duramente il cuore dello Stato. Ovviamente oggi non c'è più traccia del cratere (della lunghezza di 4 metri e 20, profondo un metro e 30), ma la ferita di quell'attentato resta aperta.


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Proprio la torre del Pulci è stata ricostruita in modo da mostrare ciò che avvenne. La città ieri l'ha voluta ricordare prima con uno spettacolo teatrale, in Piazza della Signoria a Firenze, con lo spettacolo a cura dell'Associazione con "Nel Tempo che ci resta" di e con Cesar Brie. Quindi con la musica e lo spettacolo "La cura? La cultura" di e con Letizia Fuochi e Francesco Frank Cusumano.


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A seguire il corteo verso via dei Georgofili, accanto ai Luigi Dainelli, Presidente dell'Associazione tra i familiari delle vittime della Strage, anche il governatore della Toscana, l'assessora alla cultura della memoria e della legalità, l'assessora al welfare, l'assessore all'ambiente, il presidente del consiglio comunale, la prefetta, il presidente dell'Associazione tra i familiari delle vittime della strage, il procuratore generale presso la corte d'appello di Firenze e tanti cittadini.
Il silenzio, rotto dal rumore degli zoccoli dei cavalli sulla strada, lascia il tempo per riflettere su cosa avvenne trentuno anni addietro.


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Sulle stragi, tanto quelle del 1992 quanto quelle in "Continente" c'è bisogno di verità.
Dopo inchieste e processi sappiamo molto, ma non ancora tutto.
Si conosce il volto dei mafiosi responsabili dell'attentato. Il 6 giugno 1998 boss mafiosi del calibro di Bernardo Provenzano, Matteo Messina Denaro, Leoluca Bagarella, Giuseppe Barranca, Francesco Giuliano, Filippo Graviano, Cosimo Lo Nigro, Antonino Mangano, Gaspare Spatuzza, Salvatore Benigno, Gioacchino Calabrò, Cristofaro Cannella, Luigi Giacalone e Giorgio Pizzo sono stati condannati all'ergastolo per le stragi di Firenze, Roma e Milano. Le posizioni di altri due imputati di primo piano, come il capo dei capi, Totò Riina e il boss di Brancaccio, Giuseppe Graviano, vennero invece stralciate (nel 2000 entrambi vengono condannati ugualmente all'ergastolo).


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Il 27 luglio del '99 venne depositata la motivazione della sentenza del primo processo nella quale le inquietanti “trattative” tra Stato e mafia riaffiorano con tutte le loro ombre. Il 6 maggio del 2002 la Corte di Cassazione confermò le 15 condanne all'ergastolo per i boss di Cosa Nostra ritenuti mandanti ed esecutori delle stragi del ‘93.
Ma ancora oggi sono tanti i quesiti che girano attorno a quel cambio di strategia, da parte di Cosa nostra, che spostò l'obiettivo dalla Sicilia (dove nel 1992 furono uccisi i magistrati Giovanni Falcone e Paolo Borsellino nello spazio di 57 giorni) fino al cuore dell'Italia.


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Una strategia stragista messa in atto dai capi della Cupola per indurre lo Stato a più miti consigli, ed ottenere così benefici e privilegi da loro richiesti (primo fra tutti la revoca o l’ammorbidimento del carcere duro) che ha compreso non solo omicidi eclatanti di chi stava mettendo i bastoni tra le ruote a Cosa nostra e agli apparati a lei contigui (vedi Falcone e Borsellino) ma anche il sacrificio di semplici cittadini.
E' in questo contesto che avviene anche il passaggio dalla prima alla seconda Repubblica.


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Dopo Firenze a Milano fu colpito il Padiglione d'Arte contemporanea e a Roma le chiese di San Giovanni in Laterano e San Giorgio al Velabro. Ed è difficile credere che dietro quella scelta sui luoghi da colpire vi fosse solo l'idea dei boss di Cosa nostra.
“Ci siamo portati dietro morti che non ci appartengono” disse il collaboratore di giustizia Gaspare Spatuzza al capomafia Giuseppe Graviano ad un appuntamento a Campofelice di Roccella, in un periodo compreso tra la fine del ’93 e gli inizi del ’94.


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In più sedi, tornando sull'argomento, l'ex killer di Cosa Nostra spiegava ulteriormente quel pensiero. “Per Capaci e via D’Amelio - diceva Spatuzza - per quello che mi riguarda erano nemici anche miei, anche se non li ho mai conosciuti, e in quell’ottica per me andava bene anche usare modalità terroristiche… ma quando andiamo a mettere cento e passa chili di esplosivo in una strada abitata non è più qualcosa… stiamo andando verso qualcosa che non ci appartiene più”.
La Procura di Firenze da tempo è impegnata nelle inchieste sui mandanti esterni delle stragi. Il filone principale è sicuramente quello che riguarda l'ex senatore Marcello Dell'Utri e che ha riguardato fino al suo decesso anche Silvio Berlusconi.


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Ma si guarda anche in altre direzioni. Nel fascicolo degli indagati è finito Paolo Bellini; si cerca di dare un volto alle donne che sono state viste nei luoghi delle stragi pochi attimi prima delle esplosioni sia a Firenze che a Milano; e da ultimo si è appreso che ad essere indagato è anche l'ex generale del Ros Mario Mori. Altri elementi sono emersi nel corso del lavoro istruttorio svolto la scorsa legislatura dal II Comitato della Commissione parlamentare antimafia.


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“Le acquisizioni dichiarative e documentali effettuate dal II Comitato e dalla Commissione – si legge nella relazione – conducono ad una possibile ricostruzione alternativa di taluni rilevanti profili modali della strage di via dei Georgofili e rendono credibile il coinvolgimento, quantomeno nella sua fase esecutiva, di soggetti estranei a Cosa Nostra”.
Si riparte da qui. Ai magistrati spettano le verifiche. Ai cittadini il dovere di fare memoria e pretendere quella giustizia e verità che Giovanna Maggiani Chelli, deceduta nel 2019, chiedeva con forza soprattutto alle istituzioni ed alla politica.


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"Le istituzioni e la politica dovrebbero ammettere che nella storia dello stragismo d’Italia mai vi è stata una responsabilità morale così grande, così ampia, così vergognosa, come per la strage di via dei Georgofili. - diceva in una nostra intervista - Una strage alla quale noi pensiamo che partecipano tutti. Una 'responsabilità morale' comune che si respira anche laddove a livello istituzionale non si parla in alcun modo di queste stragi. E questo è vergognoso. Inoltre vorremmo che chi di dovere accetti con serenità i processi che gli spettino affinché sia stabilito una volta per tutte chi, oltre la mafia, ha avuto le responsabilità in quelle stragi che hanno insanguinato il Paese".
Non c'è da aggiungere altro.

Foto © Paolo Bassani/Davide de Bari

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