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L'intervista dell'ex procuratore generale di Palermo su Repubblica

Vincenzo Agostino “una volta mi disse ‘le stragi di Capaci e via d’Amelio sono iniziate a casa mia’. È stata un’intuizione profonda a cui è arrivato con il cuore e che le nostre indagini hanno confermato”. Infatti "indagando sull’omicidio Agostino (Nino, ndr) siamo arrivati ai rapporti stabili tra alcuni uomini dei servizi e i Madonia del mandamento Resuttana, famiglia potentissima specializzata in omicidi eccellenti come quelli di Chinnici e dalla Chiesa, e coinvolta nell’attentato all’Addaura, che Giovanni Falcone definì orchestrato da 'menti raffinatissime' che orientavano l’azione della mafia. Agostino si infiltra in questo mondo e scopre l’intreccio tra mafiosi e uomini infedeli delle istituzioni che quando scoprono il suo doppio gioco decidono di sopprimerlo, unitamente alla moglie perché a conoscenza dei segreti del marito". “Con l’indagine sul figlio abbiamo toccato il fondale, purtroppo imperscrutabile, dei rapporti fra le mafie e lo Stato profondo di questo Paese".
Così l'ex procuratore generale di Palermo e oggi senatore Roberto Scarpinato in un’intervista rilasciata a 'Repubblica' in merito alla morte di Vincenzo Agostino, padre del poliziotto Nino Agostino, ucciso insieme alla moglie Ida Castelluccio il 5 agosto 1989.
Fu Scarpinato a volere la riapertura delle indagini nel 2015: alla sbarra finirono il boss Nino Madonia, già condannato all’ergastolo anche in appello, Gaetano Scotto, accusato come Madonia di essere il killer di Agostino e Francesco Paolo Rizzuto, all’epoca giovane amico della vittima, imputato di favoreggiamento.
Durante il processo in corso la procuratrice generale di Palermo Lia Sava ha collegato al duplice omicidio l’ex agente della Mobile Giovanni Aiello (che lo stesso Agostino ha identificato come “Faccia di mostro”): “Riteniamo pienamente provata la poliedricità della figura di Giovanni Aiello e il suo ruolo inequivoco e inequivocabile di anello tra servizi segreti deviati e consorterie di stampo mafioso in particolare Cosa nostra e ‘Ndrangheta. Un ruolo inquietante ed assolutamente centrale nelle dinamiche connesse al duplice omicidio Agostino-Castelluccio, e non solo. E che evidentemente suscita ancora tantissimo timore - per i segreti che con la sua morte ha portato con sé e che costituiscono l’essenza di fili ad altissima tensione - come ampiamente dimostrato dalle titubanze e dalle reticenze di alcuni testi escussi dinanzi a questa corte” ha detto l'alta magistrata nella requisitoria del processo, ora alle battute finali, che si svolge davanti alla corte d’assise di Palermo (presidente Sergio Gulotta, giudice a latere Monica Sammartino).
Scarpinato ha ricordato come quel terribile 5 agosto 1989 sia legato alle stragi del 1992: “Come nel caso di via d’Amelio è stato caratterizzato da depistaggi, opera dello stesso gruppo di poliziotti capeggiato da Arnaldo La Barbera, come ormai noto legato ai servizi. Per l’omicidio Agostino crearono una inesistente pista sentimentale, così come in seguito fu creata la falsa pista Scarantino per le indagini sulla strage di via d’Amelio. Vennero distrutti i documenti che Agostino conservava, così come si fece sparire l’agenda rossa, e La Barbera tentò di convincere Scarantino a attribuirsi l’omicidio”.
Invece per quanto riguarda la strage di Capaci: “Davanti alla sua bara - ha continuato Scarpinato su 'Repubblica' - Giovanni Falcone disse al commissario Montalbano ‘questo è un messaggio per me e te’. Agostino era entrato in un gioco enorme, che ha a che fare con le indagini che Falcone stava conducendo su una serie di omicidi istituzionali eccellenti: Pio La Torre, Carlo Alberto dalla Chiesa, Piersanti Mattarella. In tutti questi casi, Cosa nostra ha prestato la manovalanza o la causale di copertura, ma non si è mai trattato di omicidi solo di mafia. Cristiano Fioravanti, il fratello di Valerio, condannato per la strage di Bologna, ha dato elementi precisi sull’omicidio Mattarella prima di tirarsi indietro”.
Alla luce di questo l'ex procuratore generale ha espresso perplessità: "La sensazione - ha detto - è che anche ad occhi aperti, ci si ostini a non vedere. In primo luogo perché la comunità è stata privata degli strumenti per farlo. Abbiamo assistito ad una sorta di infantilizzazione della storia della stagione delle stragi. Attribuire tutto solo a Totò Riina e ai suoi, elidendo il ruolo dello Stato profondo, dell’eversione nera, come il peso del contesto internazionale, è questo. Ma la gente ricorda quello che le classi dominanti vogliono che ricordi”.

Fonte: palermo.repubblica.it

Foto © Paolo Bassani

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