di Stefano Baudino
Nel corso della prima metà degli anni settanta la fazione corleonese di Cosa Nostra, capitanata da Luciano Liggio ed incarnata, tra gli altri, da Salvatore Riina e Bernardo Provenzano, cominciò a nutrire forte risentimento nei confronti dei boss palermitani che governavano l'organizzazione. Costretti a stare alla finestra per quanto concerneva l'attività legata al traffico degli stupefacenti e, dunque, rispetto alla spartizione dei conseguenti lauti guadagni, al fine di giocare un match parallelo a quello condotto dall'establishment mafioso palermitano i viddani di Corleone optarono per una strategia inedita: l'attuazione di numerosi sequestri di persona. Dal momento che questo sistema prendeva di mira i ricchi uomini d'affari, che costituivano la classe sociale da cui la mafia traeva gran parte dei profitti con le estorsioni e le tangenti sugli appalti, il livello dell'esasperazione del duo Stefano Bontate-Gaetano Badalamenti (“azionisti di maggioranza” di Cosa Nostra, membri del Triumvirato assieme a Liggio) crebbe notevolmente.
Nel 1971, inoltre, si verificò il primo delitto di matrice corleonese ai danni di un insigne rappresentante dello Stato: Luciano Liggio in persona freddò a Palermo, a pochi passi dalle catacombe dei Cappuccini, il procuratore capo Pietro Scaglione, il quale aveva svolto delle indagini sul suo conto.
Poco dopo, Liggio lasciò la Sicilia per trasferirsi a Milano. Il suo luogotenente Totò Riina, dunque, lo rappresentò sempre più spesso all’interno della Cupola e, dal momento che i contrasti con i palermitani si stavano facendo sempre più aspri e delicati, fu in prima linea per accaparrarsi l’appoggio e il sostegno dei principali uomini d’onore in Sicilia. Per allargare la sua area di influenza in maniera slegata rispetto al controllo dei mafiosi della città di Palermo, Riina sfruttò la rete di rapporti che aveva costruito all’interno dell’ambiente della massoneria, anche e soprattutto per il fatto che le professioni ivi rappresentate erano innumerevoli e, molto spesso, estremamente funzionali agli affari della mafia. In ogni caso il “governo provvisorio” denominato Triumvirato, costituito nel 1970, dopo un lasso di tempo molto breve non fu più veramente operativo a causa dell'intensificarsi delle tensioni tra le due compagini in competizione. Si decise dunque di istituire una nuova Commissione allargata, diretta da Gaetano Badalamenti, che così prese forma:
Antonio Salamone (capomandamento di San Giuseppe Jato)
Luciano Liggio (capomandamento di Corleone)
Stefano Bontate (capomandamento di Santa Maria di Gesù)
Salvatore Scaglione (capomandamento della Noce)
Giuseppe Calò (capomandamento di Porta Nuova)
Rosario Di Maggio (capomandamento di Passo di Rigano)
Rosario Riccobono (capomandamento di Partanna Mondello)
Michele Greco (capomandamento di Ciaculli)
Luciano Liggio, fin da subito contrario alla costituzione della nuova Commissione, decise presto di abbandonarla e venne sostituito dapprima da Totò Riina e, successivamente, da Bernardo Provenzano.
Ma la latitanza di Lucianeddu era destinata a finire presto: il 16 Maggio 1974 il capo dei corleonesi fu arrestato in via Ripamonti a Milano, nel corso di un’indagine sui sequestri di persona che avevano avuto luogo nell’Italia del nord portata avanti dalla Guardia di Finanza. Cesare Terranova, magistrato chiamato a giudicarlo, lo condannò all’ergastolo per il delitto Navarra. Il boss corleonese, da quel momento, non avrebbe mai più lasciato il carcere.
Rubrica Mafia in pillole
La scalata dei corleonesi: i sequestri di persona e i legami con la massoneria
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