di Stefano Baudino
Dopo le storiche sentenze di Catanzaro (1968) e Bari (1969), che avevano sancito un'importante vittoria della mafia su uno Stato pavido ed estremamente debole, lentamente i pezzi grossi di Cosa Nostra palermitana iniziarono a lavorare alla rifondazione della Commissione, sciolta dopo l'ondata di arresti che avevano anticipato i due processi, secondo gli stessi principi e gli stessi schemi con cui era stata concepita nel 1957.
Michele Cavataio fu in questa fase uno tra i membri più attivi dell’organizzazione, ma proprio su di lui ricaddero l’astio e il risentimento degli altri componenti della Cupola, i quali, a freddo, si convinsero del fatto che fossero state proprio le sue violente e subdole mosse a far sfociare nella prima guerra di mafia quella che era inizialmente una situazione di sostanziale equilibrio. Da Palermo arrivò, in maniera perentoria, l’ordine fatale: bisognava uccidere Michele Cavataio, la cui presenza all’interno della Commissione minava l’efficace trasversalità dei rapporti e l’azione programmatica dell’organizzazione.
Il commando degli assassini fu composto da uomini appartenenti a diverse cosche: Salvatore Riina, Bernardo Provenzano e Calogero Bagarella per la famiglia di Corleone, Emanuele D'Agostino e Gaetano Grado della cosca di Santa Maria di Gesù e Damiano Caruso della cosca di Riesi. Rifacendosi alle peculiarità della strage di San Valentino del 1929, in cui i sodali di Al Capone avevano utilizzato una serie di divise rubate alla polizia per trarre in inganno gli uomini della banda del gangster George Bugs Moran, la sera del 10 Dicembre 1969 i killer di Cosa Nostra si recarono al quartier generale di Cavataio in viale Lazio, a Palermo, indossando le uniformi della Guardia di Finanza. Dopo avere fatto irruzione all’interno degli uffici, il commando aprì il fuoco contro Cavataio, il quale fu pronto a rispondere ai proiettili dei sicari con la sua Colt Cobra e riuscì a colpire a una mano Bernardo Provenzano e a ferire mortalmente Calogero Bagarella. Nel corso della sparatoria la pistola di Cavataio si scaricò proprio nel momento in cui ad essere sotto tiro era Provenzano, il quale, scampato il pericolo, puntò contro il nemico ormai disarmato la sua mitraglietta, che pure si inceppò. Il corleonese fracassò dunque il cranio dell’inerte Cavataio con il calcio della stessa arma, per poi ucciderlo sparandogli alla testa con una pistola che, scivolata per terra nel corso della colluttazione, aveva raccolto dal pavimento.
Grazie al ruolo preponderante ricoperto in occasione di questa strage, i corleonesi cominciarono a ritagliarsi una posizione importante all’interno di Cosa Nostra. Essi fecero capire fin da subito ai vertici della Commissione che, prima di tutto a livello “esecutivo”, avrebbero avuto pochi rivali in tutta l’isola. I palermitani ebbero modo di comprendere questo aspetto ancora meglio pochi anni dopo, quando furono loro stessi a doversi difendere dalla feroce e spregiudicata offensiva dei viddani di Corleone.
Foto © AP Photo/File
Rubrica Mafia in pillole
La strage di viale Lazio: quando Cosa Nostra copiava Al Capone
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