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ingroia convdi Antonio Ingroia
Disse Sandro Pertini, sulle macerie del terremoto dell'Irpinia del 1980, che il modo migliore di onorare i morti era quello di pensare ai vivi. In questo post, soprattutto oggi, il giorno del lutto nazionale, non voglio polemizzare con nessuno, né con il governo, che in linea con i governi precedenti non ha considerato una priorità la prevenzione degli effetti catastrofici sui territori, né sui governi precedenti, perché non è questo il momento. Questo è il momento di contare i morti e di dare conforto e sostegno ai sopravvissuti. E devo dire che su quest'ultimo aspetto mi sento orgoglioso di appartenere alla mia comunità e al mio popolo che, quando si tratta di dare una mano nei momenti difficili, corre sempre in aiuto dando tutto se stesso.

Sono all'estero in questi giorni, nel continente americano, e ho appreso della tragedia che ha colpito il centro Italia, per via del fuso orario, con molte ore di ritardo. Erano passate parecchie ore e sui siti, oltre alle dirette dai centri colpiti, cominciavano già ad emergere le prime analisi e i primi commenti dei soliti esperti. Non ho vissuto dunque tutta l'angoscia delle prime ore perché era già il momento di un primo provvisorio bilancio. Così mi sono concentrato sulla lettura dei pareri degli esperti (ingegneri, geologi) e una delle prime cose che mi è venuta in mente è stato quello che avevamo inserito nel programma di Rivoluzione Civile, che avevo contribuito a scrivere e che è diventato dopo le elezioni e lo scioglimento di Rivoluzione Civile, il programma politico del mio movimento, Azione Civile. E ho ricordato che la prevenzione idrogeologica, nella quale chiaramente ricade anche la prevenzione sismica, era ben presente, in due capitoli di quel programma, quello sull'ambiente e quello sul lavoro. Scrivevamo allora:
"La difesa idrogeologica deve diventare la più grande opera pubblica italiana, all'interno di un grande piano delle piccole opere che crei occasioni di lavoro diffuse nel nostro paese, garantendo la sicurezza della popolazione".

Capite? La prima grande opera pubblica italiana. Altro che Tav, altro che Ponte sullo Stretto. Se avessimo governato noi quello della salvaguardia del territorio sarebbe stato uno dei nostri primi interventi. E lo avremmo fatto sia perché con questo si sarebbero ridotti i rischi di catastrofi a seguito di eventi naturali, sia perché, creando lavoro con investimenti pubblici mirati, avremmo potuto invertire la spirale della crisi economica e cominciare a risalire la china.

Attenzione. Non sto dicendo che un nostro successo elettorale avrebbe scongiurato la catastrofe. Non è un'operazione che si fa in tre anni, tanti ne sono passati dalle ultime elezioni politiche, su un territorio vasto come l'Italia e con il 60% degli edifici da mettere in sicurezza. Dico solo che qualcuno avrebbe dovuto pur cominciare. Cosa, colpevolmente, ancora non avvenuta.

Invece devo leggere le accuse che fanno all'Italia sulla stampa straniera. E leggere, ad esempio, che gli esperti del Mit di Boston, uno dei centri di ricerca più prestigiosi del mondo, dicono che il problema della catastrofe non è tanto della potenza della scossa, neanche tanto elevata, sostengono, ma della mancata messa in sicurezza delle strutture. Ne sanno qualcosa in Giappone che, con tremende scosse sismiche, da decenni hanno imparato a convivere senza troppi danni. Mentre noi fingiamo di non sapere di essere un paese ad alto rischio sismico, meno pericoloso del Giappone ma più vulnerabile. Il vero problema, dice infatti l'Ance, sono gli oltre due milioni di edifici in stato "pessimo o mediocre". E aggiunge che dagli anni 60 a oggi sono stati stanziati circa 150 miliardi di euro per le varie ricostruzioni (e sappiamo anche che una parte di quei soldi è stata usata per pagare mazzette e arricchire corrotti e corruttori, ma questa è un'altra storia) ma solo un miliardo è stato stanziato per la prevenzione sismica, dal governo Berlusconi dopo la tragedia dell'Aquila del 2009. Di questo miliardo, inoltre, sono stati spesi solo pochi spiccioli che hanno messo in sicurezza poco più di 200 edifici pubblici. Capite? 200 edifici su oltre due milioni.

Insomma, io non voglio incolpare né questo governo né quelli precedenti, perché ora è il momento di contare i morti e di essere solidali. Ma prima o poi sarà il caso di tornare a parlarne, in maniera meno pacata, perché questi nodi vengano al pettine.

Tratto da: huffingtonpost.it

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