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berlusconi napolitano1R400-300x200di Antonio Ingroia - 13 novembre 2014
Con una non notizia, né confermata né smentita dal Quirinale, siamo venuti a sapere nei giorni scorsi che a fine anno Giorgio Napolitano potrebbe dimettersi. Una non notizia perché era stato lo stesso presidente a dire con chiarezza, al momento della rielezione, che il suo sarebbe stato un mandato a termine e perché era scontato che avrebbe in ogni caso aspettato il semestre di presidenza italiano dell’Ue prima di lasciare. I tempi tornano, perciò nessuna sorpresa e semmai tanto rumore per nulla. La non notizia ha avuto comunque il merito di riproporre come centrale la questione Quirinale, questione delicatissima e di grande rilevanza per più di un buon motivo, riguardando la prima carica dello Stato e il ruolo fondamentale che essa è chiamato a svolgere. Un ruolo che a mio avviso Napolitano non ha saputo o voluto interpretare come avrebbe dovuto, prima non riuscendo a impedire il profondo degrado etico ed economico in cui il berluscononismo ha fatto precipitare il Paese (si pensi alle tante leggi ad personam promulgate senza troppi tentennamenti e poi sistematicamente bocciate dalla Consulta, si pensi al lasciapassare all’allegra finanza dell’era Berlusconi-Tremonti), e poi, soprattutto nella seconda parte del suo doppio mandato, distinguendosi per un interventismo che tlo ha portato spesso, troppo spesso, a sconfinare oltre i poteri previsti dalla Costituzione fino ad interferire con Parlamento, governo e magistratura, fino a trasformare di fatto l’Italia da Repubblica parlamentare in Repubblica presidenziale. Detto in altri termini, prima il presidente è rimasto a lungo spettatore, poi, a partire in particolare dal 2011, ha deciso di mutare vesti dismettendo quelle da arbitro per indossare quelle da attivissimo giocatore in campo. E se si può capire che di fronte a una situazione di assoluta emergenza e a una classe politica inetta e inefficiente, incapace di amministrare la cosa pubblica, il capo dello Stato svolga eccezionalmente un ruolo di supplenza, proprio ai confini del ruolo che gli assegna la Costituzione, non è però accettabile che in nome di questo ruolo di supplenza scavalchi altri poteri dello Stato o entri a gamba tesa su di essi, come invece è successo.

E’ stato Napolitano a volere a tutti i costi il fallimentare governo Monti nel 2011 e a sostenerne l’impronta liberista chiesta dall’Europa, impedendo al Paese di tornare al voto e inaugurando la sciagurata serie dei governi di larghe intese. Dopo la rielezione, che per me è stata un grave errore, è stato ancora Napolitano a volere prima il governo Letta e a benedire poi il governo Renzi. Governi arrivati a Palazzo Chigi con forzature evidenti, governi che non solo non hanno saputo tirare fuori il Paese dall’emergenza in cui si trovava ma che hanno scaricato immancabilmente i costi della crisi sulle fasce sociali più deboli, ossia lavoratori, famiglie, pensionati.
Il presidente della Repubblica ha un compito soprattutto, garantire il rispetto della Costituzione. E invece Napolitano ha consentito che un governo non scelto dagli elettori imponesse a un Parlamento di nominati, figlio di una legge elettorale incostituzionale, lo stravolgimento della Costituzione, quella Costituzione su cui egli stesso aveva giurato. Una manomissione, spacciata per riforma, frutto del patto segreto tra un presidente del Consiglio arrivato a Palazzo Chigi senza passare dalle urne e un ex presidente del Consiglio condannato in via definitiva e dichiarato decaduto dalla carica di senatore.
Il presidente della Repubblica è anche il presidente del Csm e come tale dovrebbe perciò essere il primo difensore dell’autonomia e indipendenza della magistratura. Napolitano invece non si è fatto mancare attacchi alla magistratura, travestiti da moniti, ripetendo più volte la litania del conflitto politica-magistratura, ignorando che la magistratura è stata solo vittima delle aggressioni della politica. Non bastasse, invece di esprimere una parola di solidarietà per i pm palermitani condannati a morte dalla mafia ha pensato bene di sollevare il conflitto d’attribuzione davanti alla Corte Costituzionale nei confronti della procura di Palermo, determinando un inevitabile squilibrio tra i poteri dello Stato, con un’accentuazione del ruolo de presidente della Repubblica. Una scelta consapevole e determinata, fatta da un uomo di Stato che ha ritenuto di dover difendere lo Stato da una magistratura decisa ad andare, nell’accertamento dei fatti, fino alla verità, anche quella più imbarazzante, a costo di superare gli angusti limiti che la politica gli ha voluto assegnare.
Insomma, se davvero Napolitano dovesse dimettersi a fine anno non rimpiangerò certo il modo con cui ha ricoperto e sta ricoprendo la più alta carica dello Stato. Dopodiché mi auguro che in un sussulto di dignità il Parlamento sappia eleggere un presidente più legato allo spirito della Costituzione, ai princìpi e all’assetto che i padri costituenti vollero scrivere nella Carta. Un presidente che non sia il solito uomo di partito, il frutto dell’ennesimo compromesso al ribasso di una classe politica sempre meno rappresentativa e credibile e sempre più in difficoltà. Non mi faccio illusioni, la vergogna a cui stiamo assistendo per l’elezione dei giudici alla Consulta induce al pessimismo, ma penso che un ex presidente della Corte Costituzionale potrebbe essere la persona giusta. Mi sbilancio e faccio anche un nome: Gustavo Zagrebelsky. E se si volesse anche pensare a dare priorità alla legalità antimafia, antiterrorismo e anticorruzione, che è una forma di legalità costituzionale, farei anche un altro nome, in alternativa: Gian Carlo Caselli. Sperare si può, ma so già che avere un ex magistrato antimafia al vertice istituzionale sarebbe troppo per un Paese come il nostro…

Visita: lultimarbattuta.it

Tratto da: azione-civile.net

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