Su Via D'Amelio manca solo un ultimo atto: affermare che nella borsa di Paolo Borsellino c'era il dossier mafia-appalti
Anni fa, a fronte dei tanti misteri che circondavano la strage di Via D’Amelio, scrissi un pezzo che intitolai “Lampi nel buio”.
Immaginai che i registi di quella strage illuminassero con una luce violenta, accecante, lo scenario dell’eccidio, Via D’Amelio, in maniera che tutto quello che c’era attorno sprofondasse nell’oscurità, che gli occhi accecati da quella luce abbagliante non potessero riuscire a vedere tutto quello che c’era attorno, i veri motivi, i veri esecutori di quella strage.
Immaginavo però che quei registi non riuscissero a controllare il cielo e, ogni tanto, un lampo nel buio illuminasse la scena intorno facendo intravedere un brandello, un barlume di verità.
Mi auguravo che quei lampi di luce diventassero sempre più frequenti in maniera che una Verità occultata ormai da più di trenta anni potesse finalmente venire alla luce.
Forse hanno avuto paura che qualche pezzo di Verità stesse per affiorare dalle tenebre, che la gente cominciasse a capire come quella di Via D’Amelio non sia stata soltanto una strage di mafia ma anche, come ho sempre sostenuto, una strage di Stato, ed allora hanno cambiato tecnica, hanno modificato la strategia.
I depistaggi come quello attuato tramite Vincenzo Scarantino, hanno ormai esaurito il loro effetto, hanno allontanato di almeno venti anni il corso della Giustizia rendendo possibili raffiche di prescrizioni, sequenze interminabili, nei processi, di “non ricordo”, “non posso ricordare”, morti naturali di personaggi che non potranno più pagare le loro colpe e morti, più o meno indotte, di testimoni che non potranno più portare altri sprazzi di Verità, altri lampi di luce.
In concomitanza allora, forse non solo casuale, con la campagna di beatificazione di Mori & C, dopo una sentenza definitiva che ha stabilito essere una attività legittima da parte di funzionari dello Stato trattare con la criminalità mafiosa, anche se questa attività non ferma le stragi, ma ne causa altre, dopo sentenze che hanno stabilito non essere reato, ma soltanto imperizia o distrazione non avere perquisito il covo di Totò Riina, non avere catturato Provenzano quando era possibile farlo, avere mancato a Terme Vigliatore la cattura di Santapaola facendo tanto baccano da permettergli di prendere il volo, ha avuto inizio una nuova stagione di depistaggi che viene ogni giorno alimentata da nuove notizie, o fughe di notizie, diffuse allo scopo di confondere l’opinione pubblica.
È una strategia sottile, non più luce accecante e tenebre intorno, ma luci stroboscopiche, intermittenti, ad alta frequenza, come in uso nelle discoteche, in grado di creare delle illusioni ottiche, di lasciare vedere non pezzi di verità ma barlumi di realtà alterati.
Si parte in largo anticipo, con le previsioni sulla resa di Matteo Messina Denaro fatte dal gelataio di fiducia dei Graviano, Salvatore Baiardo, che tra una mezza frase e l’altra lascia cadere la “notizia” che una copia dell’Agenda Rossa di Paolo Borsellino è in mano a Matteo Messina Denaro.
Non più quindi in mano soltanto a quei “Servizi” che la hanno fatta sparire nell’immediatezza della strage ma in mano anche alla controparte mafiosa che quindi può usarla anche come arma di ricatto.
Come tutti i messaggi provenienti da personaggi di alto spessore criminale mafioso, e parlo dei Graviamo non di Baiardo, è un messaggio difficile da decifrare, che, come le luci psichedeliche, può causare allucinazioni, che introduce altri interrogativi invece di dare delle risposte.
Non passa molto tempo e arrivano le “rivelazioni” di Avola, un inquinatore di pozzi che riesce a catturare anche la fiducia di Michele Santoro forse desideroso, attraverso un libro di pretese “verità”, di riacquistare la notorietà compromessa da anni di ostracismo e di digiuno televisivo.
Avola, che è stato già in passato collaboratore di Giustizia, ma senza avere mai fatto cenno alle nuove rivelazioni, pretende di riscrivere tutta la scena di Via D’Amelio con un intento ben preciso, eliminare dalla scena ogni presenza che non sia di elementi appartenenti alla mafia, presenza che viene eliminata anche dal garage dove la macchina utilizzata viene riempita di esplosivo, contraddicendo in tutto questo sia le rivelazioni di Spatuzza, che pure hanno permesso di smontare il depistaggio Scarantino, sia di Antonino Vullo, l’unico superstite della strage.
Peccato che, proprio come avviene nelle scene illuminate con luci stroboscopiche Avola avrebbe dovuto essere contemporaneamente in due posti diversi: a Catania, con un braccio ingessato e a Palermo, in Via D’Amelio e per di più improbabilmente travestito da poliziotto.
Arriviamo alle ultime indagini, se così si possono chiamare, sulla sparizione dell’Agenda Rossa.
Si parte con una perquisizione che avrebbe avuto ragione di essere decenni fa, quando la borsa di Paolo viene restituita ai suoi familiari.
L’Agenda Rossa che Lucia cerca tra gli effetti personali di Paolo non c’è e La Barbera assale verbalmente Lucia dicendo che delira, che l’Agenda Rossa non è mai esistita.
È allora che si sarebbe dovuto indagare, interrogare, ordinare perquisizioni, cercare riscontri fotografici sui movimenti dei presenti in Via D’Amelio nell’immediatezza della strage, forse allora a casa di La Barbera si sarebbe potuto trovare qualcosa, non adesso, a decenni di distanza.
Dalla lettura delle carte, di quelle nuove e di quelle di anni fa, viene fuori, in perfetto stile psichedelico, uno scenario frammentato, contraddittorio, con gente che non ricorda, ha soltanto ricordi indotti, contraddice quello che altri ricordano delle sue azioni.
Piuttosto cha fare passi verso la verità la scena si fa sempre più confusa, più contraddittoria, le illusioni visive create dalle luci intermittenti prendono il sopravvento.
Manca soltanto l’ultimo atto, che venga fuori qualcuno a dire che non c’era l’Agenda Rossa nella borsa di Paolo ma il dossier mafia-appalti che Paolo aveva, per proteggerlo meglio, foderato con una copertina rossa, come facevamo con i libri della scuola.
Così il depistaggio sarà competo e potremo mettere la parola “Fine”, anzi una pietra tombale sulle nostre assurde pretese di Verità e di Giustizia.
Foto © Deb Photo
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