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Un Gesù che attraversa le strade del suo tempo è, probabilmente, il più bel ricordo del Beato don Giuseppe Puglisi.

Lo hanno ucciso in strada. Dove viveva, dove incontrava i piccoli, gli adulti, gli anziani, quanti avevano bisogno di aiuto e quanti, con la proprio condotta, si rendevano responsabili di illegalità, soprusi e violenze. E per questo lo hanno ucciso: perché un modo così radicale di abitare la strada e di esercitare il ministero del parroco è scomodo.

Lo hanno ucciso nell’illusione di spegnere una presenza fatta di ascolto, denuncia, di condivisione. Un talento raro nell’educare.

Con la sua testimonianza don Pino ci sprona a sostenere quanti vivono questa stessa realtà con impegno e silenzio. Non il silenzio di chi rinuncia a parlare e denunciare, ma quello di chi, per la scelta dello stare nel suo territorio, rifiuta le passerelle o gli inutili proclami. «Beati i perseguitati a causa della giustizia perché di essi è il regno dei cieli».

Anche questo ci ha consegnato: una grande passione per la giustizia, una direzione e un senso per il nostro essere chiesa e soprattutto un invito per le nostre parrocchie ad alzare lo sguardo, a dotarsi di strumenti adeguati e incisivi per perseguire quella giustizia e quella legalità che tutti, a parole, desideriamo.

Per questo “don Pino” è morto: perché con l’ostinata volontà del cercare giustizia è andato oltre i confini della sua stessa comunità di credenti.Don Puglisi non è stato ucciso perché dal pulpito della sua chiesa annunciava principi astratti, ma perché ha voluto uscire dalla loro genericità per testimoniarli nella vita quotidiana, dove le relazioni e i problemi assumono la dimensione più vera.

*Presidente Libera e Gruppo Abele

Tratto da: liberainformazione.org

Foto © Imagoeconomica

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