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Ormai tutto quello che riguarda Peppino Impastato fa notizia. Secondo lo schema da lui adottato della “controinformazione”, si scambia per informazione ufficiale quella che è fatta da notizie e da episodi documentati della sua vita per negarne l’esistenza, per modificarne il racconto del vissuto, per lasciare briglia sciolta a qualsiasi ipotesi fantastica su complotti, strategie segrete, depistaggi ben più alti e più segreti rispetto a quelli che abbiamo vissuto sulla nostra pelle.
Dal 2012 è diventato quasi d’obbligo collegare Peppino con la strage della casermetta di Alcamo, quando nel 1976 vennero uccisi due carabinieri, Carmine Apuzza e Salvatore Falcetta. Su questa strage è stato detto di tutto, e ne parlo in un mio articolo pubblicato sul sito di ANTIMAFIADuemila il 18 febbraio 2012, replicato poi nel libro “Era di passaggio” (Navarra 2016). In quell’occasione si ipotizzò un attentato terroristico, con l’arresto, le torture, poi rivelate dal carabiniere Olino, per estorcere una confessione che costò a Gulotta quasi 20 anni di carcere e a Vesco uno strano “suicidio” in cella. A condurre le indagini il capitano Subranni, lo stesso che condurrà le indagini sulla morte di Peppino, (vedi Elio Sanfilippo, “Il grande intrigo” pag. 64) e il colonnello Russo, quello che Badalamenti aveva cercato di salvare dalla condanna a morte decretata da Riina. Vennero perquisite le case dei compagni di Lotta Continua di Cinisi, compresa quella di Peppino, e di Castellammare del Golfo, senza alcun risultato. A distanza di anni il pentito Calcara, al processo che portò all’assoluzione di Gullotta, sostenne che i due carabinieri furono uccisi perché avevano fermato un camion carico di armi destinato all’organizzazione parafascista Gladio, che aveva una base con un piccolo aeroporto nella vicina zona di Castelluzzo: li avrebbero uccisi emissari della mafia alcamese per ordine di Gladio. Nel 2012 il pm Francesco Del Bene aveva riaperto l’inchiesta sull’omicidio di Peppino, interrogando me, Andrea Bartolotta, qualche altro “compagno” e Giovanni Impastato, interrogato anche da Di Matteo, alla ricerca di nuovi indizi che potessero chiarire eventuali responsabilità di ambienti neofascisti e degli autori del depistaggio delle indagini. In quella audizione Giovanni Impastato sostenne che Peppino aveva mostrato molto interesse alla strage e aveva una “cartelletta” in cui raccoglieva documenti ed elementi relativi al duplice omicidio, “convinto del coinvolgimento dei Servizi”. La cartella sarebbe poi scomparsa e mai più ritrovata, dopo la perquisizione “informale” effettuata dai carabinieri nella casa di Peppino, da cui asportarono quattro sacchi di materiale, di cui non si è saputo più niente. In quell’occasione venne dato a Del Bene tutto il materiale, già attenzionato anche dalla Commissione Antimafia. Io stesso gli diedi una copia della mia biografia su Peppino, dove erano riportate notizie rimaste fuori dagli atti processuali. L’ipotesi di possibili misteriosi collegamenti è stata poi ripresa da qualche fantasioso giornalista pregiudizialmente schierato a difesa dell’operato dei carabinieri, da un giovane, Ivan Vadori, che ne ha tratto lo spunto per un suo filmato e un suo libro su Peppino, dal giornalista di “Repubblica” Francesco Viviano in un articolo del 14.2.2012 e più recentemente, nel 2022, nel già citato libro di Elio Sanfilippo.

Il primo articolo
La stranezza più grossa la si può comunque cogliere in due articoli a firma Michele Biondo, apparsi su “Il Riformista” dell’8 e del 27 gennaio 2023. Il primo ha come titolo: “Il vecchio che piscia a mare, quel clic che riaccende la scintilla dell’anarchico Peppino Impastato”: in apertura c’è una foto di un vecchietto appoggiato a un muretto di Piazzetta Belvedere a Terrasini, con sullo sfondo una nave e sul muro una scritta: “Il comunismo non passerà”. La fertile fantasia del giornalista lo porta a immaginare che quel vecchietto ripreso di spalle stia pisciando, senza riflettere che il vecchio è comodamente poggiato su un braccio e che, all’atto della minzione, si usano abitualmente tutte e due le mani. Sempre fantasiosamente Peppino diventa un anarchico, ignorando una sua frase “Il comunismo non è oggetto di libera scelta intellettuale né vocazione artistica: è una necessità materiale e psicologica”. Alla parziale anarchia di Peppino viene associata anche una parziale lettura della mafia e Peppino diventa “colui che fu prima di ogni cosa un irregolare alla periferia dell’Impero Occidentale, una prima linea dove si combatteva non tanto la mafia ma le buone tradizioni borghesi (che erano anche mafiose) di una morale che a Cinisi, e non solo a Cinisi ma in tutte le enclave di provincia, era in pieno stile iraniano: niente baci in pubblico, lo struscio nel paese rigorosamente separato tra marciapiedi per maschi e marciapiedi per femmine, con la variante siciliana che prevedeva la fuitina e magari pure un colpo di lupara”.


carri militari elicottero vitale agostino

© Agostino Vitale


Anche qua chi scrive queste cose ignora forse che negli anni 70 Cinisi era ben oltre questi schemi e che la sessualità e i rapporti tra i ragazzi e le ragazze da tempo non erano più legati da simili vincoli moralistici, o almeno che era in corso un’azione continua delle nuove generazioni per il loro superamento. Un contributo notevole venne dato in ciò dal Circolo Musica e Cultura.
A onor del vero si parla di Peppino come “ irregolare, perché comunista ma non stalinista, irregolare perché non affiliato al Pci del compromesso storico e perché schifava la lotta armata e gli assalti al cielo bolognesi e padovani, troppo fighetti, troppo “arancioni”. Irregolare perché non c’era altro modo in quel tempo e quello spazio, a quelle latitudini”.
La irregolarità di Peppino è stata meglio definita dalla Commissione Antimafia, che lo ha definito “non omogeneo al sistema” nel senso che si è trovato come un organo estraneo in un corpo interamente permeato dalla cultura e dalla violenza mafiosa.

Il secondo articolo
Il secondo articolo è del 27 gennaio 2023 e riprende la vicenda della strage di Alcamo Marina scrivendo che “Agostino Vitale, amico e sodale di Impastato nell’avventura di Radio Aut, racconta al Riformista che l’attivista “non aveva pace, non aveva mai mollato la sua personale inchiesta su Alkamar. La connetteva a campi para-militari e a traffici di armi. Era però molto accorto, ne parlava come di un lavoro di contro-informazione che doveva avere basi sicure prima di essere rivelato”.
Ebbene, Agostino Vitale è morto nel febbraio 2005: come fa a fare oggi queste rivelazioni? La foto a lui attribuita appartiene all’archivio di Paolo Chirco, così come le altre, ma non è corretto scrivere che si tratta di foto inedite che gli inquirenti non hanno voluto attenzionare: alcune già le si conoscevano sin dal 6 maggio 1978, quando vennero esposte sul corso di Cinisi per la Mostra “Mafia e territorio, con la scritta: “Le navi della VI flotta americana “a guardia” delle nostre coste con i loro carichi di morte”. Sono esatti i riferimenti cronologici del primo sbarco del 30 marzo 1978, durato due giorni e del secondo sbarco il 25 ottobre 1978, e i modelli Sea Knight dei due elicotteri: il nome della nave, che è americana non saprei dire se è Santa Barbara, che è italiano: di fatto le armi venivano trasferite presso la vicina base Nato di Isola delle Femmine, oggi dismessa, ma ancora recintata. Non è esatto che “Dall’archivio di Radio Aut spariscono anche i redazionali su Alkamar, le schede utilizzate per i notiziari. Secondo la Procura di Palermo ad aver materialmente compiuto il “sequestro informale” fu l’allora tenente dei Carabinieri Enrico Frasca. L’ufficiale, scomparso nella primavera scorsa, interrogato ha ammesso tutto: “Fui comandato dal mio superiore di allora, il maggiore Antonio Subranni di usare quella dicitura, sequestro informale. Fu la prima e ultima volta”.
La mattina del 9 maggio vidi dalla mia casa, sita a circa duecento metri dalla sede di Radio Aut, arrivare una jeep da cui scesero due carabinieri che aprirono la porta della radio con una chiave, riferendo, a me che ero accorso e mi ero qualificato come redattore della radio, che era “quella dell’Impastato” e scesero, dopo una rapida perquisizione, solamente con una matassa di cavo telefonico ancora intonso, trovata nel solaio, convinti che fosse quello che, collegato alla batteria della macchina di Peppino, era servito a fare brillare l’esplosivo. Naturalmente, per fare ciò sarebbe occorso un complice che non è stato mai trovato, malgrado le successive perquisizioni nelle case di alcuni compagni. I fogli dei notiziari e i redazionali sono conservati a Casa Memoria, dopo che buona parte di essi sono stati pubblicati da Edizioni Alternative. Ma in nessuno di questi si parla di Alkamar, perché nel momento in cui successe il fatto Radio Aut ancora non esisteva.
L’ipotesi che Peppino fosse sulle tracce di un traffico di armi o che comunque stesse preparando un dossier venne presa in considerazione dai compagni subito dopo l’omicidio, (Vedi S. Vitale: “Nel cuore dei coralli” pag.154) e resa nota da una dichiarazione dell’avvocato Turi Lombardo, che aveva offerto il suo patrocinio gratuito alla famiglia Impastato, al Giornale di Sicilia, ma la cosa finì lì, in mancanza di ulteriori riscontri. Qualche compagno riferì che Peppino avrebbe detto: “Tra qualche giorno questa radio diventerà famosa in tutta Italia”, ma a che cosa si riferisse non si è mai saputo. Di sicuro non alla sua morte.
Per il resto l’articolo offre pregevoli riflessioni e alterna elementi reali con altri fantastici o ipotetici, come è normale che succeda nella ricerca di spiegazioni in una realtà torbida e piena di misteri irrisolti.

Foto di copertina © Paolo Chirco

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