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Il capo dei pm vaticani Diddi potrebbe convocare una mezza dozzina di prelati. Il giallo dei nastri spariti

Una mezza dozzina di cardinali, una pattuglia nutrita tra monsignori e vescovi e un gruppo di appartenenti a forze dell’ordine in Italia e nello Stato Città del Vaticano: se è vero che la nuova inchiesta sulla scomparsa di Emanuela Orlandi partirà dalle istanze rimaste finora senza risposta della famiglia Orlandi inoltrate negli anni alla giustizia vaticana, è facile immaginare che il promotore di Giustizia Alessandro Diddi potrebbe convocare numerosi alti prelati. Da quelli vicini a Wojtyla, partendo dal cardinale polacco Stanislao Dziwisz, già segretario personale di Giovanni Paolo II al vescovo Emery Kabongo, già vice di Dziwisz per Wojtyla, ai monsignori Josez Kowalczyk e Tadeusz Rakoczy, «persone molto fidate - si sottolinea nelle denunce - e molto vicine a Giovanni Paolo II». Ci sono anche porporati che hanno ricevuto incarichi speciali da Ratzinger, come Salvatore De Giorgi e lo spagnolo Julián Herranz Casado - indicati per aver fatto parte della commissione Vatileaks, voluta da Benedetto XVI nel 2012 su ombre e malaffare nei sacri palazzi – per arrivare a Giovanni Battista Re, all’epoca assessore alla segreteria di Stato e considerato oggi la memoria storica vivente di quegli anni. Per finire a monsignor Pierluigi Celata, «all’epoca stretto collaboratore del cardinale Casaroli e padre spirituale e confessore di Marco Accetti, uno degli indagati nell’inchiesta», in Italia.

La carpetta con questi documenti sul tavolo del magistrato che coordina le nuove indagini è alta quasi una spanna. Un primo elenco di persone da sentire era stato appunto indicato da Pietro Orlandi e dal suo avvocato Laura Sgrò già il 17 aprile 2018. Si trattava di 19 persone a iniziare da chi all’epoca era al potere in curia ma nel frattempo visti tutti gli anni passati senza fare indagini, diverse purtroppo sono morte a iniziare da Benedetto XVI, dal cardinale Eduardo Martinez Somalo (deceduto nel 2021 e all’epoca sostituto del segretario di Stato Sodano, una sorta di ministro dell’interno), allo stesso Sodano fino al cardinale Jean Louis Tauran. Quest’ultimo doveva essere sentito su un documento di cinque pagine rinvenuto in curia e pubblicato da Emiliano Fittipaldi sulla scomparsa della Orlandi, peccato che il porporato sia anche lui deceduto pochi mesi dopo la presentazione della denuncia come il cardinale Josef Tomko, mancato lo scorso agosto.


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Laura Sgrò, legale della famiglia Orlandi, e Pietro Orlandi, fratello di Emanuela © Imagoeconomica


Nel documento si chiedeva che venissero sentiti anche i più stretti collaboratori di Ratzinger e che potrebbero essere convocati: da monsignor Georg Ganswein all’ex segretario di Stato, Tarcisio Bertone. Orlandi chiede di sentirli per sapere se erano a conoscenza degli incontri riservati tra chi indagava in Italia sulla scomparsa, il procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo in primis, e l’allora vertice della gendarmeria del piccolo Stato. Sul capitolo della presunta «trattativa», tra fine 2011 e inizi 2012 tra procura di Roma e autorità vaticane (smentita da Pignatone, ma rilanciata sempre dal suo vice Capaldo) oltre allo stesso Capaldo, si chiedeva di sentire Paolo Gabriele, maggiordomo di Ratzinger deceduto nel 2020 e ancora Ganswein. «Tale trattativa avrebbe avuto un doppio oggetto – si sostiene nella denuncia -. La segreteria di Stato avrebbe, infatti, chiesto a Capaldo che fosse lo Stato italiano a farsi carico dello spostamento della salma di Enrico De Pedis, detto “Renatino”, noto esponente della banda della Magliana, che scandalosamente giaceva sepolto nella Chiesa di Sant’Apollinare. Dal canto suo, Capaldo avrebbe chiesto in cambio informazioni utili alla soluzione del caso della Orlandi, includendovi il corpo della ragazza, se deceduta. La risposta che Capaldo avrebbe ricevuto da un esponente della curia sarebbe stata: «Va bene. (…) Proprio perché la segreteria di Stato era intenzionata a “chiudere” questa triste vicenda, sarebbe stato redatto un dossier, intitolato “Rapporto Emanuela Orlandi” che è stato visto da più persone sulla scrivania di Ganswein, e avrebbe dovuto essere consegnato a Capaldo. In tale rapporto vi sarebbero stati alcuni nomi di personalità vaticane coinvolte nella vicenda».


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© Imagoeconomica


Interessante l’argomento che potrebbe approfondire monsignor Giovanni Morandini: «Vicinissimo alla famiglia Orlandi - si legge nel documento - era quasi tutti i giorni a casa di questi ultimi. Riferiì a Ercole Orlandi di aver saputo di un’intesa tra lo Stato italiano (presidenza del Consiglio, ndr) e lo Stato Vaticano per evitare di aprire una falla che difficilmente si sarebbe potuta richiudere».
Negli anni si sono poi aggiunti altri prelati come il sottodecano del collegio cardinalizio, il porporato Leonardo Sandri sulla famosa telefonata che sarebbe arrivata nei giorni del sequestro sull’utenza della sala stampa vaticana. Su questo episodio, Pietro Orlandi chiede con l’avvocato Laura Sgrò di sentire anche monsignor Carlo Maria Viganò, già nunzio a Washington e facente parte dell’area più ostile a papa Francesco. Viganò aveva svelato alcuni presunti retroscena sulle telefonate del cosiddetto «americano» a Casaroli. In particolare, sostenne che sarebbe sparita la trascrizione del colloquio della sera del 22 giugno 1983, ma dalla Santa Sede filtrò la smentita alla sua ricostruzione.
Del resto, negli archivi del Vaticano devono essere custoditi molti documenti assai utili alle indagini. A iniziare da alcun ben evidenziati nella denuncia che oggi il Santo Padre ha chiesto di approfondire. In particolare, tornando ai giorni dopo il sequestro sarebbe utile esaminare documenti e ascoltare nastri mai consegnati all’autorità giudiziaria italiana seppur siano state presentate quattro rogatorie, rimaste senza risposte esaustive. In particolare, sono diversi i punti forieri di domande: «La segreteria di Stato ha messo a disposizione una linea telefonica, la numero “158”, così come richiesto dai presunti rapitori della ragazza, attiva da luglio a ottobre del 1983, per trattare della sua liberazione direttamente con Casaroli. Le telefonate sono state registrate» e quindi dove sono i nastri? Ancora: «In data 14 luglio 1983 i presunti rapitori riferivano a Maria Sgrò, madre dell’amica della Orlandi, allora quindicenne, Carla De Blasio, che nella piazza di San Pietro in direzione della finestra dell’Angelus era stato lasciato un nastro, mai recuperato. In data 17 luglio 1983, una voce anonima comunicava all’Ansa che il nastro non era stato trovato in quanto prelevato da due funzionari del Vaticano». Domanda: se la ricostruzione è vera, ci sarebbe da chiedersi se nei sacri palazzi c’è ed è ancora conservato quel nastro?

Tratto da: La Stampa

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