Questo sito utilizza cookie tecnici e di terze parti per migliorare la navigazione degli utenti e per raccogliere informazioni sull’uso del sito stesso. Per i dettagli o per disattivare i cookie consulta la nostra cookie policy. Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina o cliccando qualunque link del sito acconsenti all’uso dei cookie.

Lo scandalo euro-mazzette - Ogni proposta di trasparenza è stata sistematicamente respinta. Il peso delle lobby dei Paesi membri e degli Usa. Per non dire dei singoli parlamentari per cui il gusto dei soldi è diventato una seconda pelle

Quel che è sicuro, nello scandalo delle colossali tangenti versate a eurodeputati, ex eurodeputati e loro assistenti dal Qatar e dal Marocco, è l’inadeguatezza, la cecità, l’abissale mancanza di autocritica del Parlamento europeo.

Neanche chi lo presiede pare all’altezza. “L’Europa è sotto attacco, la democrazia è sotto attacco”, ha esclamato il 12 dicembre Roberta Metsola, conservatrice maltese, aggiungendo che gli attaccanti sono Stati terzi che interferiscono nelle politiche dell’Unione. “Meglio stare al freddo che essere comprati!” ha concluso, mimando la gravitas d’una Sibilla.

Troppo facile tuttavia e soprattutto fuorviante prendersela con le lobby straniere anziché con se stessi. “Lo scandalo non è l’attacco, ma il danno autoinflitto da un’assemblea storicamente refrattaria a regole vincolanti di integrità”, commenta Alberto Alemanno, fondatore dell’associazione Good Lobby. Il Parlamento è certo screditato dall’ipercorruzione di alcuni deputati, in special modo italiani. Ma veramente “sotto attacco” sono i cittadini che eleggono i propri rappresentanti in Europa, che pagano le risorse delle sue istituzioni, e che si trovano beffati da una truffa che ha arricchito con centinaia di migliaia di euro una serie di eletti e assistenti.

Il linguaggio bellico è inoltre del tutto inappropriato: le lobby – straniere ma anche europee– non irrompono col mitra negli uffici dei deputati o della Commissione ma, dopo aver individuato i più corrivi, “attaccano” con valigie colme di banconote e offerte di viaggi lussuosi. Chi è seduto in quegli uffici può dire, senza timore di cadere per terra stecchito: ‘No, guardi ha sbagliato porta’. C’è qualcosa di marcio nell’Unione, se c’è chi non sa dirlo. Già sono pochi i cittadini che votano alle Europee. Chi vorrà ancora farlo, dopo simili sbandate?

La faccenda ha molti aspetti che vanno esaminati, per capire come sia stato possibile che le istituzioni Ue – compreso il decantato Parlamento – siano scese così in basso.

C’è in prima linea l’aspetto istituzionale. Quel che andrebbe finalmente ammesso è che una parte cospicua di parlamentari, italiani ma non solo, si fa eleggere perché desiderosa di più vistose carriere nazionali (è il caso di tanti eletti che presto tornano in patria come ministri o deputati: come spiegano agli elettori questi traslochi, se mai li spiegano?). Ma l’essenziale è la “mal-amministrazione” di cui si macchiano, il gusto di soldi che diventa una loro seconda pelle: per forza la metamorfosi colpisce anche i parvenu dell’ex sinistra, da quando s’è fatta establishment.

Lo stipendio percepito dagli eurodeputati, al netto delle tasse dovute all’Unione, è di circa 7.300 euro. Accanto a questa somma incassano un compenso di 338 euro per pagare soggiorno, vitto e trasporti, per ogni giorno che firmano il registro delle presenze (non di rado arrivano la sera per intascare il bonus giornaliero). Ma soprattutto ricevono l’indennità Spese Generali: circa 4.500 euro esentasse al mese, per il funzionamento degli uffici (computer, carta, basi d’appoggio nazionali, ecc.). Una somma esorbitante – che fai con tutti quei soldi, una volta acquistati computer e simili? – e non rendicontata, malgrado i soldi siano dell’Ue, non tuoi. I deputati non sono obbligati a restituire all’Unione le somme non spese: né durante né dopo il mandato. Il manuale di fine mandato invita il deputato a restituire il non speso, “se vuole”. Se non vuole l’intasca e non sono bruscolini.

C’è poi l’aspetto politico. Il legislativo europeo non è paragonabile a quello nazionale, non avendo di fronte a sé un esecutivo che rispecchi gli equilibri scaturiti dal voto. Non esiste divisione fra sinistra e destra, fra governativi e non governativi, tra chi vince e chi perde alle urne. La Commissione non risponde davanti al popolo: è una tecnostruttura, non un governo. E in Parlamento si perpetua un ferreo patto maggioritario, sulle questioni fondamentali e quale che sia l’esito delle elezioni, fra Popolari, Socialisti, Alleanza dei Democratici e Liberali, che include sempre più spesso i Verdi ed esclude le cosiddette estreme: destra, M5S, sinistra. È il granitico blocco centrale che nega sistematicamente, da anni, provvedimenti stringenti che obblighino i parlamentari a una cultura della rendicontazione e della trasparenza. Contro tale mal-amministrazione si è rivolta l’Ombudsman dell’Ue, l’impeccabile Emily O’Reilly, denunciando nel maggio 2019 il rifiuto opposto da tale blocco a concedere l’accesso della stampa alla documentazione sulle Spese generali dei deputati. In spagnolo l’Ombudsman ha un nome ben più attraente: Defensor del Pueblo.

Chi scrive era deputato nella penultima legislatura, e nel luglio 2018 si dissociò pubblicamente dall’Ufficio di presidenza del Parlamento – a quel tempo presiedeva Tajani – che aveva respinto le modeste proposte avanzate da un gruppo di lavoro sulla gestione delle Spese generali. “Sebbene siano previste linee guida sulla loro gestione – dichiarai – l’attuale normativa prevede che tale somma forfettaria sia assegnata al conto del deputato ed esclusivamente sottoposta al suo controllo. Il minimo che ci si possa aspettare è che un revisore dei conti esterno e indipendente verifichi le spese dei deputati. I Popolari e parte dei Socialisti hanno giudicato non accettabile questa semplice richiesta. Sono rimasti in minoranza Sinistra unitaria, 5 Stelle, Verdi e Alde”. Fu respinto perfino l’obbligo di tenere gli scontrini delle spese d’ufficio.

Naturalmente non c’è rapporto fra la mal-amministrazione e l’enormità delle tangenti odierne. Ma conoscere le abitudini opache che regnano nella piazza di tutti gli affari (i caffè della Place du Luxembourg davanti al Parlamento di Bruxelles) serve a capire come si possa arrivare alle attuali vette di corruttela.

Quanto alla disciplina delle lobby, va detto che i criteri sono anche geopolitici e che gli abboccamenti non sono imputabili solo al Qatar o al Marocco. Sono praticati massicciamente anche da lobby dei Paesi membri, degli Usa – rivali del Qatar come fornitori di gas liquido – e di innumerevoli Stati terzi (lobby farmaceutiche, militari, alimentari, ecc.). È quantomeno sospetto che l’attenzione non si concentri su tutti i gruppi di pressione e le Ong di copertura, esterni e interni all’Ue. Quanti rotoli di banconote circolano a Bruxelles, non qatarioti o marocchini?

Per concludere, va menzionato uno degli aspetti più nauseabondi dello scandalo: l’intreccio fra sbandieramento dei “valori europei” e malversazioni. Quasi tutti i deputati con bauli pieni di banconote si sono occupati primariamente di diritti umani, e perfino di lotta all’impunità. Il Parlamento europeo straparla di valori all’estero e tace sui disvalori in casa. Non se ne può davvero più di “quei filantropi” descritti da George Eliot in Middlemarch: “che traggono profitto da imbrogli velenosi per dichiararsi nemici della corruzione, o possiedono delle azioni in una bisca per poter meglio difendere la causa della moralità pubblica”.

Tratto da: Il Fatto Quotidiano del 22 Dicembre 2022

Foto © Imagoeconomica

ARTICOLI CORRELATI


Qatargate, i giudici di Bruxelles hanno deciso: Eva Kaili resta in carcere

Qatargate: l'Europarlamento destituisce Eva Kaili e presto altre teste potrebbero saltare

Scandalo mondiali Qatar: arrestata vice presidente parlamento europeo Eva Kaili

Morti e violazione di diritti: in Qatar il ''Mondiale della vergogna''

La Coppa del Mondo riempita con petrolio del Qatar svela il momento più oscuro della storia del calcio

TAGS:

ANTIMAFIADuemila
Associazione Culturale Falcone e Borsellino
Via Molino I°, 1824 - 63811 Sant'Elpidio a Mare (FM) - P. iva 01734340449
Testata giornalistica iscritta presso il Tribunale di Fermo n.032000 del 15/03/2000
Privacy e Cookie policy

Stock Photos provided by our partner Depositphotos