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Sono passati pochi giorni dalla sentenza di condanna a otto anni e sei mesi, da parte del tribunale di Caltanisssetta, nei confronti dell’ex presidente dell’Ufficio misure di prevenzione di Palermo Silvana Saguto. Anzi, le sono stati comminati due mesi in più, rispetto al primo grado. Alcuni imprenditori, vittime della Saguto, che si erano costituiti parte civile, avevano chiesto di vedere riconosciute le loro ragioni con un parziale rimborso dei danni subiti. Invece il tribunale ha disposto per tutti costoro, tranne che per la famiglia Rappa, il pagamento delle spese processuali, come dire che il principio della misura di prevenzione, cioè del sequestro dei beni era legittimo e che la Saguto aveva agito nel pieno delle sue competenze, salvo poi rispondere alla giustizia per altre condotte criminose. E tuttavia i Virga avevano provveduto a inoltrare un’altra denuncia per abuso d’ufficio, falso e corruzione in atto pubblico ed oggi è venuta fuori la notizia dell'iscrizione nel registro degli indagati per l’ex magistrato. Difficile dire se il PM si sia lasciato coinvolgere dalla solidarietà nei confronti di una ex collega, ma di fatto, con molta generosità aveva chiesto il proscioglimento della Saguto da ogni accusa. Per contro il gip Gigi Omar Di Modica ha accolto solo in parte tale richiesta, ritenendo che il reato di abuso d’ufficio è prescritto, ma ha accolto la richiesta di procedimento, e quindi di iscrizione nel registro degli indagati, della Saguto per i reati di falso e corruzione in atto pubblico. Tutto fa capo al sequestro di prevenzione emanato ai danni dei Virga il 25.6.2015.
A suo tempo il sequestro destò molta impressione per la cifra, stimata, secondo la DIA in un miliardo e 600 milioni di euro, nei confronti di noti imprenditori della provincia di Palermo, i Virga di Marineo, accusati di essere legati al mandamento di Corleone. Il sequestro interessava nel dettaglio i beni di Gaetano Virga, imprenditore del settore calcestruzzi che già da sei anni collaborava con la giustizia e aveva presentato numerose denunce contro vari tentativi di estorsione. Con le sue testimonianze aveva portato in manette Francesco Lo Gerfo, ritenuto il capomafia di Marineo, Stefano Polizzi, presunto estorsore, altre tre persone ed aveva portato anche allo scioglimento per infiltrazioni mafiose del Comune di Marineo. Virga dal 2010 aveva fatto una coraggiosa scelta, diventando un punto di riferimento per gli imprenditori che rifiutavano di pagare il pizzo e ottenendo il sostegno di associazioni come Addio Pizzo, Libero Futuro e Fai. Nel processo contro Polizzi, dal quale costui uscì assolto, e in altri 5 processi è stato assistito da Addio Pizzo. Il maxi-sequestro di beni eseguito dalla Dia, con una relazion di duemila pagine e numerosissimi allegati, riguardava trust, beni immobili e mobili registrati, rapporti bancari e imprese intestate ai fratelli Carmelo, Vincenzo, Anna, Francesco e Rosa. Secondo gli inquirenti i Virga sarebbero stati organici alla famiglia mafiosa di Marineo, legata al mandamento di Corleone e sarebbero riusciti, nel tempo, a sviluppare e a imporre il loro gruppo di imprese, soprattutto nel campo dell’edilizia, anche attraverso il cosiddetto “metodo Siino”, consistente nell’organizzazione di “cartelli” di imprenditori, per l’aggiudicazione pilotata degli appalti pubblici. Il sequestro non mancò di stupire per la cifra data in pasto ai giornali e per l’inevitabile domanda: possibile che in uno scordato paese delle Madonie esistesse gente così ricca? In realtà si trattava di una cifra gonfiata, comprendente vecchie aziende aperte e chiuse in poco tempo, quello che poteva bastare a un cantiere per prendere e completare un appalto. E, del resto, era la stessa Saguto, a confermare, in un’intercettazione, le stime gonfiate: «Non è che ti pare questo sequestro chissà che è, con tutte ’ste storie... sono tutte case». Amministratore giudiziario venne nominato, su particolare pressione del colonnello della DIA Fabrizio Nasca Giuseppe Rizzo...
Accogliendo l’istanza dei legali dei Virga il gip ha rilevato, con certezza, che sino al 22 giugno la Saguto non aveva letto le carte, ovvero tre giorni prima della decisione del sequestro. In una telefonata del 18.6.2015 aveva ammesso, con Nasca, di non sapere niente, ma di avere già deciso la nomina di Rizzo. “Ci ho messo a Rizzo perché lo vuole Nasca” Non ci è dato sapere perché Nasca tenesse tanto alla nomina di Rizzo, il quale, sempre a dire della Saguto, stava portando avanti il sequestro dei beni di Stefano Parra, dove, dopo tutto quello che è successo. Già dal processo e dalla sentenza di condanna in primo grado si rileva come la Saguto avesse apposto la firma al provvedimento senza leggerlo e senza avere interpellato i suoi colleghi del collegio giudicante: "Questa era una cosa di Tanino, ma non gliela possiamo dare, per adesso a Tanino, come tu sai". Tanino è Gaetano Cappellano Seminara.
Quindi nessuna camera di consiglio per decidere sul sequestro, tant’è che dalle intercettazioni risulta che i giudici Chiaramonte e Licata non sapevano nemmeno chi fosse Rizzo. Da altre intercettazioni con Giuseppe Rizzo, i risulta che i numeri citati dalla Saguto, relativamente agli immobili sequestrati sono errati, a riprova che la stessa non aveva preso in esame né studiato l’istanza di sequestro. L’ordinanza cita una serie di passaggi nei quali la Saguto parla di Rizzo come “un uomo da 50 mila euro” e dei suoi interlocutori, Nasca e i colleghi Chiaramonte e Licata che, invece di effettuare con lei una camera di consiglio, erano all’oscuro di tutto. In altre intercettazioni la Saguto si adopera per far nominare il marito e la fidanzata del figlio, oltre che un tal Pierfrancesco: E’ il colonnello Nasca a dirle: “Tranquilla, ti dico io come fare, non comparirà da nessuna parte, viene assunto da un’altra, da una terza persona. Punto …Non emerge nulla, come anche per Mariangela (la fidanzata del figlio della Saguto), non emerge assolutamente nulla, da nessuna parte, quindi lo sappiamo solamente noi due e lo saprà solamente tuo marito, il quale non avrà rapporti con Rizzo….”. Evidente un accordo corruttivo tra Nasca, la Saguto e suo marito.
L’incarico all’’amministratore giudiziario Rizzo è stato revocato per “gravi irregolarità” il 25.6.2016, tra cui si cita la nomina di uno spropositato numero di collaboratori. Al suo posto è stato nominato il catanese Privitera, che ha finito di distruggere il poco che restava, sino alla definitiva chiusura della cava.
Enrico Colajanni, presidente di Libero Futuro, ha confermato il percorso di riscatto da anni fatto da Gaetano Virga, al quale sono stati bruciati nel 2013, a ripetizione, un centinaio di mezzi e che ha ottenuto anche un fondo di rimborso per le vittime danneggiate dalla mafia in un’inchiesta coordinata dai procuratori Vittorio Teresi e Leonardo Agueci. L’unica vecchia accusa nei suoi confronti è quella di turbativa d’asta, nel 1992.
Naturalmente le trombe dei giornalisti, alimentate da chi ha progettato il sequestro, si sono messe a suonare dicendo che ci troviamo davanti a una nuova strategia della mafia, quella di fingere di collaborare, e insinuando che le denunce e la partecipazione a Libero Futuro, erano tutti espedienti per salvare il patrimonio, ma che non sono serviti, vista l’acutezza mentale di magistrati e investigatori.
La verità è che i Virga hanno creduto nell’aiuto dello Stato, a sostegno delle loro scelte, ma che si sono illusi, essendosi trovati davanti al protagonismo di Silvana Saguto e del suo cerchio magico.
Il provvedimento di sequestro è stato revocato nel giugno 2021, quando ormai tutte le aziende avevano dichiarato fallimento o erano state comunque chiuse. Di quello che era un impero finanziario, almeno sulla carta, non è rimasto più niente. A margine si annota che per il reato di corruzione in atti giudiziari si applica la pena da sei a dodici anni.

Foto © Imagoeconomica

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