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19.07.1992, 30 anni dopo - La pista dimenticata. A oggi l’inchiesta non è chiusa: il gip di Caltanissetta ha dato ai pm altri 6 mesi per 32 atti di indagine

Oggi, giustamente, Borsellino sarà ricordato per il maxiprocesso, per l’amicizia con Falcone, per il sacrificio estremo, e gli italiani si sentiranno migliori. In fondo se è vero che questo Paese ha partorito l’organizzazione criminale più efferata dell’occidente, ci diremo sollevati, nessuno al mondo può vantare un personaggio come Borsellino.
Tutto vero, ma questo privilegio dobbiamo meritarlo. Allora veniamo al punto: come si onora la memoria di un servitore dello Stato come Borsellino? Verità, giustizia e amore per la sua patria sono state le sue ragioni di vita e di morte.
E noi, che siamo lo Stato, lo abbiamo ripagato negandogli la verità e la giustizia senza amore. Prima lo Stato ha depistato le indagini sulla strage poi, quando la verità è uscita per bocca di un mafioso, è partita un’indagine chiusa l’altro giorno con un’assoluzione-prescrizione. Per anni i magistrati hanno goduto di un’aura di prestigio (non sempre meritata) grazie al sacrificio di Borsellino. Anche per questo come categoria dovranno vergognarsi a vita se ‘il depistaggio più grande del secolo’ sarà chiuso come una pratica qualsiasi.
Come si onora un magistrato che ordinava al figlio di regalare il motorino a un coetaneo sconosciuto per dimostrare che lo Stato vale più della mafia, a Palermo? Come si onora un pm che non accarezzava più i figli negli ultimi giorni di vita perché voleva abituarli al distacco? Certamente raccontando tutto questo. Ma evitando che il trentennale si riduca solo a un grande kolossal con i buoni uccisi dai cattivi che poi muoiono in galera. Meglio allora ricordare oggi le domande su cui non solo i magistrati dovrebbero interrogarsi. Perché Totò Riina, ha deciso di attuare le stragi con modalità tanto spettacolari e politicamente destabilizzanti nel 1992? Perché ha accelerato improvvisamente l’uccisione di Borsellino con una scelta boomerang per Cosa Nostra? Qual è il movente dell’accelerazione e chi sono, se ci sono, i ‘mandanti esterni’ che hanno condiviso il programma stragista?
Su queste domande si sta esercitando da decenni ormai la Procura di Caltanissetta.
Il giudice delle indagini preliminari di Caltanissetta, Graziella Luparello, ha rigettato il 18 maggio 2022 la richiesta di archiviazione della procura. Per i pm non esisterebbero i mandanti esterni perché la mafia non prende ordini da nessuno. La Gip ha negato l’archiviazione perché le indagini non erano sufficienti e ha ordinato ai pm di eseguire 32 attività di indagine.
Il fascicolo è un modello 44 cioè a carico di ignoti. La Gip esplora in 25 pagine di ordinanza molte piste. Ricorda quanto emerso nei processi sulla strage di Bologna, su 'Ndrangheta stragista' e sull’omicidio dell’agente Agostino. Esplora la ‘pista nera’ e approfondisce i legami emersi in varie inchieste tra eversione, mafia, 'Ndrangheta, servizi segreti e massoneria. Alla fine scrive: “Vi è, infine, un ultimo livello investigativo da sondare, e afferisce alla eventuale presenza, nella filiera stragista, di un anello, di carattere politico, individuabile in un personaggio o in un partito politico che potrebbe avere concorso a definire la strategia della tensione, allo scopo di legarsi, in un reciproco do ut des, a Cosa Nostra e attingere al bacino elettorale che, debitamente orientato dalla organizzazione mafiosa, era appartenuto a quella Dc con cui Riina, com’è noto, aveva chiuso ogni finestra di dialogo. Sul punto devono prendersi in considerazione i seguenti elementi, che ormai costituiscono anch’essi oggetto di fatto notorio (‘giudiziario’)”. A questo punto la Gip Luparello inserisce in un paio di pagine una serie di elementi che riguardano Silvio Berlusconi e Marcello dell’Utri, non indagati. Si va dai verbali dei collaboratori di giustizia Cancemi e Brusca alle dichiarazioni del boss Giuseppe Graviano, condannato per le stragi del 1992 e del 1993. Tra l’altro scrive il Gip: “nell’anno 2016 Giuseppe Graviano, intercettato in carcere dalla Procura della Repubblica di Palermo nell’ambito dell’indagine sulla trattativa Stato-mafia, raccontava ad Umberto Adinolfi, codetenuto, che ‘Berlusca mi ha chiesto questa cortesia. Per questo è stata l’urgenza’. E poi: ‘Lui voleva scendere, però in quel periodo c’erano i vecchi e lui mi ha detto ci vorrebbe una bella cosa’. (…); nell’anno 2021 Graviano, sentito dai magistrati di Firenze, confermava il riferimento, nel corso del dialogo che precede, a Silvio Berlusconi; nel corso del processo sulla ’ndrangheta stragista, sopra citato, Graviano faceva ampi riferimenti a cointeressenze economiche che avevano legato la sua famiglia a Berlusconi, dichiarazioni cui seguivano l’interrogatorio di Graviano, da parte dei pm fiorentini che indagano sulle stragi nel Continente, e la ricerca di riscontri documentali alle sue propalazioni”. Si tratta di circostanze sempre smentite da Berlusconi tramite il suo legale Niccolò Ghedini e considerate prive di riscontro in una sentenza di Reggio Calabria su altri fatti. Però, alla fine della sua ordinanza, il Gip indica ai pm di Caltanissetta le cose da fare entro sei mesi, cioé entro novembre. Ben 12 punti su 32 hanno a che fare con la pista che porta a Berlusconi e Dell’Utri, non indagati a Caltanissetta per le stragi del 1992 ma indagati a Firenze per le stragi del 1993.
La Gip Luparello invita i pm di Caltanissetta tra l’altro a “acquisire, ove possibile, gli accertamenti eseguiti da altre autorità giudiziarie (Procura di Firenze) a riscontro delle dichiarazioni, rese da Giuseppe Graviano, sulle cointeressenze economiche che lo stesso avrebbe avuto con l’On. Berlusconi; in alternativa e nella impossibilità delle opportune forme di coordinamento tra procure, ricercare autonomamente siffatti riscontri”.
La Procura di Firenze nel frattempo il 31 maggio scorso ha depositato una memoria nella quale elenca tutti gli elementi che sostengono l’ipotesi di accusa - tutta da verificare - di strage nei confronti di Marcello Dell’Utri e Silvio Berlusconi in relazione alle stragi di Firenze e Milano e agli attentati di Roma realizzati dalla mafia nel 1993-1994.
Sono fatti enormi, tutti da riscontrare ribadiamo, ma di cui la stampa, gli storici e gli intellettuali si disinteressano. L’accertamento della verità, anche in senso favorevole a Berlusconi e Dell’Utri, sembra un affare esclusivo della magistratura. La stampa celebra il trentennale della morte di Borsellino, ucciso dagli uomini di Giuseppe Graviano. Due procure stanno indagando sui rapporti, asseriti da Graviano, con Berlusconi eppure i due temi sono tenuti distinti da una muraglia cinese. Poco prima di morire, Borsellino diceva che la lotta alla mafia deve essere un movimento culturale. Un buon modo per ricordarlo sarebbe non delegare queste questioni solo ai suoi colleghi.

Tratto da: Il Fatto Quotidiano

Foto © Shobha

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