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Respinta l’istanza di risarcimento inoltrata dalla famiglia

E’ una battaglia che i familiari di Silvio Badalamenti e soprattutto la moglie Gabriella Ruffino, portano avanti da quasi cinquant’anni, ovvero che il loro parente nulla avrebbe avuto a che fare con il mondo della mafia, né, tantomeno, con la figura di suo zio Gaetano Badalamenti, uno dei più grandi boss di Cosa Nostra, condannato per l’omicidio di Peppino Impastato. Poco tempo dopo la morte del marito, la vedova scrisse un’appassionata lettera al Giornale di Sicilia sostenendo l’integrità morale del marito. Qualche anno più tardi, nel 2002, pubblicò, con la casa editrice Sellerio, un libro, “Come l’oleandro”, una sorta di romanzata autobiografia in cui si raccontano le vicende, le avventure, le espressioni di una cultura, in parte popolare, in parte mafiosa, in parte arcaica, ma anche le intuite crudeltà di Faro Badalamenti, una immaginaria e cavalleresca figura nella quale non è difficile intravedere l’ombra dello zio Tano, “il dolce profumo del venefico oleandro”. Anche una delle due figlie di Silvio, Maria, ha raccontato della sua vita e delle sue scelte, opposte a quelle di Don Tano, in un libro dal titolo: “Sono nata Badalamenti”, sostenendo: “Porto il cognome Badalamenti, ma disprezzo quello zio boss”. Si può trovare su YouTube un’intervista di Salvo Palazzolo su La Repubblica del 12.06.2018 e si può leggere nello stesso libro l’ammirazione di Maria per il padre, che, a suo dire, aveva tagliato i ponti e i legami con lo zio e scelto una vita onesta. Citato anche Giovanni Falcone che, dopo aver disposto l’arresto di Silvio, ne firmò la scarcerazione dopo averlo interrogato, invitandolo, a dire della figlia, ad allontanarsi dalla Sicilia.

Una richiesta non accolta
La richiesta della vedova e delle due figlie di Silvio B. di accedere ai benefici economici previsti dalla legge a favore dei familiari superstiti delle vittime della criminalità organizzata di stampo mafioso, presso il Ministero degli Interni, era già stata respinta in prima istanza e in Appello, nel 2015, sino all’attuale sentenza della Cassazione, che chiude la vicenda, non essendo stato riscontrato il requisito della “estraneità della vittima, al tempo dell’evento, ad ambienti e rapporti delinquenziali e, nella specie, al contesto mafioso». La sentenza richiama quella della Corte di Assise di Trapani relativa all’omicidio di Badalamenti e ai suoi “ignoti” autori, nella quale si citava «il radicato rapporto di fiducia» della vittima con suo zio, il boss Badalamenti, “fondato su presupposti non esclusivamente basati sul mero vincolo di sangue» e si riferivano le «condizioni di vita e professionali» di Silvio Badalamenti, «responsabile dell’esattoria comunale di Marsala, facente capo ai noti esponenti mafiosi Antonino e Ignazio Salvo, legati da stabili vincoli di affari con Gaetano Badalamenti».

La “guerra di mafia” a Cinisi e dintorni
Silvio B. venne ucciso a durante la guerra di mafia che i Corleonesi, alla fine degli anni ’70 scatenarono contro quelli che Mario Francese chiamava “i guanti di velluto”, ovvero la cosca dei badalamentiani, legata in stretti rapporti d’affari con Spatola, Inzerillo, Bontade, i Rimi di Alcamo e, Leonardo Greco di Bagheria, Cosimo Di Cristina, Tommaso Buscetta ed altri elementi di spicco della vecchia generazione di mafia, interamente cancellata dalla violenza e dalla spietatezza dei Corleonesi di Leggio, Reina, Bagarella, Provenzano, e altri boss di provincia e di città, come i Greco di Croceverde, i Brusca di San Giuseppe Jato, Nenè Geraci capo della cosca dei Partinicesi. Sulle strade della Sicilia Occidentale nel triennio 1980-1983 i morti furono più di duecento, ma nella sola Cinisi e zone limitrofe si contarono una trentina di caduti, quasi tutti dell’esercito di don Tano, che già, dal 1978, anno in cui era stato “posato” da capo della “Commissione”, ed in cui era stato ucciso Peppino Impastato, era scomparso. Ricomparve l’8 aprile 1984, quando venne arrestato a Madrid, assieme al figlio Vito e al nipote Pietro Alfano, a seguito di una complessa operazione internazionale, la “Pizza Connection”, un colossale traffico di droga. L’arresto di Badalamenti mise fine a un’epoca in cui, malgrado tutte le violenze, tra le istituzioni, le forze dell’ordine e il mondo politico c’era una sorta di continuo e in gran parte pacifico scambio di favori, di affari, di voti, di denaro, di carriere.

L’ombra dei Salvo
E’ in questo contesto che venne ucciso a Marsala, Silvio Badalamenti, responsabile della locale esattoria comunale e collettore di imposte dirette per la zona di Marsala e per altri comuni delle provincie di Palermo, Agrigento e Caltanisetta, dopo avere lavorato, dal 1969 al 1977 presso l’agenzia di Castellammare del Golfo.. Marsala è a due passi da Salemi, il regno dei due cugini Ignazio e Nino Salvo, esponenti di punta della D.C. siciliana, “legati da stabili vincoli di affari con i boss”, in particolare a Gaetano Badalamenti, “grandi esattori” attraverso la SA.RI, delle imposte di tutta la Sicilia, grazie a un incarico dato dalla Regione e costantemente rinnovato. Scrive la sentenza: «le pregresse esperienze giudiziarie e altri stretti rapporti con esponenti mafiosi di primissimo rilievo, erano tutti elementi, per la Corte di merito, univocamente orientati a certificare la sostanziale contiguità di Silvio Badalamenti ad ambienti mafiosi o quantomeno ad ingenerare il forte sospetto della sua non estraneità al contesto criminoso nel quale era maturato il delitto, circostanze entrambe ostative al conseguimento, da parte degli eredi, del beneficio economico rivendicato». Secondo i giudici “non basta la sola incensuratezza della vittima o la non affiliazione a una cosca, ma occorre che «vi sia la completa estraneità ad ambienti delinquenziali mafiosi, intesi in senso ampio e in modo particolarmente rigoroso laddove per vincoli, e ragioni familiari, la frequentazione di quegli ambienti sia naturalmente assidua».

La macchina di don Tano
Al momento della sua uccisione Silvio Badalamenti aveva addosso un assegno di sei milioni di lire, sulla Cassa Centrale di Risparmio, rilasciato da Rosalia Benedetto quale prezzo di una autovettura SAAB 900 TURBO venduta, tramite il Badalamenti, al Direttore della Esattoria di Trapani, Sig. Trapani, il quale dopo qualche giorno si era detto insoddisfatto dell'acquisto ed aveva richiesto la restituzione della somma pagata. Ma la vicenda più interessante è quella legata alla macchina di Don Tano, come viene fuori dalle indagini della squadra Mobile: Il 13 marzo 1982, i carabinieri di Montagnana (Padova) trovarono nella officina di De Putti Renzo, in riparazione, una autovettura "Alfetta 2000" targata PA-539233, blindata, intestata a Badalamenti Gaetano, ma in uso a Badalamenti Silvio che, interrogato, dichiarò di aver avuto in prestito la vettura dalla zia anche perché trovasse qualcuno disposto ad acquistarla. Dichiarava altresì di trovarsi in Veneto da solo per cure mediche. A Padova Silvio B. aveva preso contatto con Catarinicchia Alfonso - impiegato presso la Prefettura di tale centro, palermitano di origine, amico della famiglia Badalamenti conosciuta a Cinisi ove si recava ogni estate in vacanza – affinche lo accompagnasse da uno specialista per una visita e, nello stesso tempo perché gli indicasse un meccanico presso il quale fare eseguire alcune riparazioni all’Alfetta blindata che lo aveva portato a Padova. Qui vicino i carabinieri avevano sequestrato l’auto blindata, mentre Silvio si spostava a Macherio, tra Monza e la Brianza, presso la casa del magistrato Cusumano Antonino, la cui moglie era sorella della moglie del Badalamenti. Dall’interrogatorio del giudice Cusumano veniva fuori che Silvio era in affettuosi rapporti con il giudice, che, ogni qualvolta si recava al Nord per lavoro, veniva a trovarlo, che dopo l’omicidio di Giacomo Impastato (15.01.1982 ), imparentato con Gaetano Badalamenti, egli aveva pregato Silvio di trasferirsi a casa sua, a Milano, ed egli, dopo essersi dichiarato tranquillo, perchè diceva di non avere alcun rapporto con lo zio, verso la fine di gennaio del 1982, aveva accettato l’offerta, portando con se' moglie e figli, ed era rimasto a casa sua sino alla fine di maggio, recandosi spesso a Firenze presso la sede della SA.RI. sempre per esigenze del suo lavoro: erano arrivato a Milano con la moglie, verso i primi di ottobre del 1981, a bordo di una Alfetta 2000 blindata e si erano trattenuti circa quattro giorni, recandosi anche a Brescia. L’auto era stata lasciata, parcheggiata, presso il cancello della sua casa ed era stata ritirata, un mese dopo, dal fratello di Silvio, Salvatore Badalamenti, in compagnia di uno o due persone, ed allo stesso aveva consegnato le chiavi dell'auto; secondo il giudice ad accompagnare il cognato poteva essere stato Ninni Di Giuseppe, nipote acquisito di Gaetano Badalamenti. Evidentemente, secondo il giudice Cusimano i familiari di Silvio pensavano che anche lui avrebbe potuto essere un bersaglio dei killers mafiosi, sia che egli detenesse la vettura dello zio per venderla, sia che durante i suoi viaggi al Nord andasse ad incontrare lo zio, segnalato proprio in quel periodo in detta zona della provincia lombarda.

L’arresto, il rilascio, l’agguato
Dopo l’arresto e l’interrogatorio Silvio, aveva dichiarato di temere per la propria vita e di essersi allontanato da Marsala consumando due mesi e mezzo di ferie non godute più altri due mesi di congedo per malattia, era stato rilasciato ed era tornato a Marsala dove, si legge nel rapporto, “veniva raggiunto dai killers i quali non avrebbero mai potuto permettere che rimanesse in circolazione, dati gli obbiettivi aiuti che poteva dare allo zio, come dimostrato, tra l'altro, dalle vicende della auto blindata".
Nel rapporto della Squadra Mobile di Palermo, (22.8.84) si riporta l’interrogatorio di Pellerito Maria - madre della vittima e cognata di Gaetano Badalamenti per averne sposato il fratello Giuseppe - la quale aveva dichiarato che il figlio Silvio raramente si incontrava con il predetto zio, ma si prende nota anche di un esposto anonimo, con il quale Rimi Natale e Badalamenti Gaetano venivano indicati quali mandanti dell'omicidio di Silvio Badalamenti, ritenuto destituito di fondamento dato che, perché nella guerra di mafia il clan dei Badalamenti era stato preso di mira dalle cosche vincenti con la eliminazione di molti dei suoi componenti.
La vittima, proprio per l'appartenenza al nucleo familiare dei Badalamenti, era stata inserita dagli inquirenti nella associazione mafiosa ed era stata raggiunta dall'ordine di cattura emesso il 26.7.82 dalla Procura della Repubblica di Palermo, nonché dai mandati di cattura n. 343 del 17.8.82 e n. 237 del 31.5.83. Aveva 38 anni, quando il due giugno 1983, a Marsala, era appena uscito di casa e venne freddato da un killer in via Mazzini, al civico n. 22. La moglie sentì i colpi di pistola dalla sua casa. Diverse notizie sono state ricavate dal sito “Domani” in un articolo del 2 aprile 2021, che riporta atti del maxiprocesso.

Una disputa inutile
Tra la famiglia Ruffino-Badalamenti e quella di Giovanni Impastato da tempo si trascina, specialmente su Facebook una querelle degna di miglior causa. Il 5 dicembre 2021, visibilmente irritata da frasi ingiuriose, amplificate, fra l’altro, dai commenti, in siciliano si dice “di cu si ci abbagna u pani”, cioè di chi vi inzuppa il pane, categoria di cui Cinisi è piena, Felicetta Vitale, moglie di Giovanni Impastato, ha scritto questa lettera, dalla quale si può facilmente ricavare il livello dello scontro e delle accuse, quasi a testimoniare la permanenza di ferite che, a distanza di quasi 50 anni, non si sono mai sanate. Non riporto le accuse di Maria Badalamenti, che sono fra l’altro bene evidenziate nel testo:
“Cari amici e compagni di fb dopo l'ennesima provocazione della nuova paladina antimafia di Cinisi Maria Badalamenti che augura malattie e disgrazie agli Impastato per vivere tranquilla, non posso non intervenire. Chi è Maria Badalamenti? È la figlia di Silvio Badalamenti nipote di don Tano e nipote del mafioso Salvatore Badalamenti fratello di Silvio. Per chi non lo ricordasse Salvatore era il proprietario dell'immobile confiscato dove attualmente ha sede la polizia municipale di Cinisi. Da quando lo stato ha negato l'attestato di vittima di mafia per il padre e non avendo il nostro supporto (famiglia Impastato, Casa Memoria associazione compagni di Peppino e CSD di Palermo) la signora Badalamenti fa come la volpe con l'uva, diventiamo i suoi nemici. Ci definisce "allegra comitiva tra mafia e massoneria, mafiosa antimafia e vermi di cadavere" e che ci siamo costruiti la carriera attaccando 3 donne piccole e indifese, (soffre di mania di persecuzione), non abbiamo mai speso una parola né una frase su lei nè su suo padre. Silvio Badalamenti era un dipendente della SA-RI (esattoria) dei fratelli Salvo vicini a Bontade a don Tano. (È entrato per concorso?) In un video la signora dichiara che i suoi genitori quando si sono sposati per dissociarsi da don Tano non lo invitano al matrimonio, non è perché in quel momento don Tano si trova al fresco all'Ucciardone, perché non mi spiego la presenza di Silvio davanti casa di don Tano quando questo ritorna a Cinisi da Padreterno: una volta lo scambiai per Vito perché fisicamente si somigliavano. Mi domando, se Silvio si dissocia a da don Tano, perché gli ha fatto il favore di portare l'alfa 2000 blindata a Macherio per consegnarla al fratello Salvatore che è andato a ritirarla con Ninni Di Giuseppe. L'attacco alla famiglia Impastato continua denigrando Luisa prendendola per ignorante senza cultura che ha solo la terza media ecc.. (non sa che Luisa era prossima alla laurea in lettere e non ha preso la laurea per motivi personali) in ogni modo per portare avanti la propria testimonianza non c'è bisogno di laurea, dovresti vergognarti. A Luisa muove continuamente l'accusa che ha rapporti con la figlia ricchissima di don Tano, ma che io sappia don Tano aveva due figli maschi Vito e Leonardo: Maria fai uno scoop facci una sorpresa rivela chi è. La nuova paladina antimafia ha atteggiamenti che di antimafia hanno ben poco anzi sembra che la mafia è innata in lei: ecco come si rivolge ad Umberto Santino Presidente del CSD, che io amo e stimo assieme ad Anna: "Volevo dire a maialino Umbi baffo, satanasso e basso che finito con due mongospastici (Giovanni e Luisa) comincio con lui e la vecchia (Anna Puglisi) e la verità supposta in quel posto ti deve finire!! Mostro vi faccio vedere io una che vi fa nuovi”. Un'altra accusa che ci muove è il pregiudizio che noi avremmo sul nome Badalamenti: la solita mania di persecuzione: abbiamo tanti amici e parenti Badalamenti e non ci poniamo il problema. Ai nostri compaesani che non dimostrano dissenso nei nostri confronti "Cinisarazza, brutti criminali, orrendi e volgari, cafoni e ignoranti, buzzurri e pezzenti." Ovviamente da una che ha tutto bello che è colta, che ha villa con piscina che possiede 10 Rolex non mi aspettavo un linguaggio del genere. Maria sei una sorpresa. Una nostra amica di fb che, alla ennesima volta che gli Impastato la perseguitano (sempre mania di persecuzione) gli suggerisce di rivolgersi agli organi inquirenti, la signora risponde che già si è rivolta a procure a società e potenti mafiosi..al che mi viene un dubbio, che ci sia il suo zampino nell'esposto anonimo arrivato in procura sull'irregolarità della nostra impresa sul territorio di Carini. Come mai Carini dopo quasi sessanta anni scopre che l'impresa Impastato opera abusivamente su un territorio non di appartenenza? Di Veca non posso parlare perché c è un procedimento in corso fate una bella coppia siete fatti della stessa pasta. Io preferisco l'amicizia di persone perbene. In ultimo va dicendo che a noi arrivano soldi tanti soldi tantissimi soldi, ebbene voglio fare una confidenza alla signora Badalamenti con tutti questi soldi abbiamo comprato su suo suggerimento la discoteca "New Kennedy" di Alcamo e stiamo organizzando il veglione di Capodanno, alla consolle ci saranno Giovanni e Luisa Impastato. Sei invitata non mancare".
Se Felicetta, che io conosco come una donna mite e riservata, sia arrivata a un livello di esasperazione da causare questo tipo di risposta, vuol dire che, attraverso i social Maria Badalamenti ha portato avanti una feroce campagna di accuse, soprattutto nei confronti di quella che per lei è un’antimafia di facciata che usufruisce di finanziamenti pubblici edi protezioni istituzionali. Personalmente, ogni volta che mi trovo davanti a questi violenti scontri che caratterizzano il variegato mondo dell’antimafia, e che ho provato anche sulla mia pelle per altre ragioni, provo molta amarezza e penso che tante forze così agguerrite andrebbero rivolte a combattere insieme il vero nemico, che è la mafia, non chi, con tutti i suoi limiti e con le sue cicatrici interne la mafia la combatte.E’ qualcosa che dico alle due famiglie private di un loro congiunto per opera di criminali mafiosi: “Unire le forze della Sicilia migliore, Organizzare assieme la vera antimafia per cambiare la Sicilia: che sogno!
Un’ultima nota che riguarda il casolare che, per quanto confiscato e restaurato, secondo la Corte d’Appello di Palermo andrebbe riconsegnato a Leonardo Badalamenti, figlio di don Tano: l’udienza definitiva è stata rinviata al 14 luglio.

In foto: il Tribunale di Palermo © Imagoeconomica

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