Marta Sollima ci regala un intenso ritratto di sua nonna, Letizia Battaglia, scomparsa poche settimane fa. Una vita vissuta senza paura e con una incessante voglia di non fermarsi
Mia nonna Letizia, instancabile ottantasettenne, progettava ancora tanto per il futuro.
Fino all’ultimo respiro ha vissuto all’interno di una contraddizione: se il suo corpo le chiedeva tregua e le ricordava suo malgrado l’esistenza di una linea temporale della vita, la sua mente invece partoriva continuamente idee vivaci da realizzare subito e senza perdere tempo.
Alle pareti azzurre della sua camera da letto, che ospita un armadio a specchio in cui ultimamente fotografava il suo volto mai del tutto stanco, erano appesi fogli che fungevano da calendario su cui annotava date di mostre e impegni da portare a termine.
Quando è andata via, ho continuato a guardarli non sapendo se lasciarli al muro, come prova della sua forza estrema e del desiderio di vivere o se rimuoverli. Non ho preso una decisione a riguardo, non spetta a me, e forse non è importante.
La nonna vedeva ancora un futuro davanti a sé e si comportava come chi ha tra le mani una vita da arricchire con stimoli, incontri, nuove fotografie…
Sognava di conoscere ancora il mondo, lei, che il mondo lo aveva visto in lungo e in largo, dalla Groenlandia all’India. Pochi giorni prima di andar via, mi aveva detto al telefono: “Marta, quando prenderai la patente?! Vorrei affittare un camper e girare l’Europa insieme a te”.
Non sarebbe stata la sua prima volta: con il suo compagno storico, Franco Zecchin, negli Anni Ottanta circa ha girato con il camper la Turchia, la Gran Bretagna, l’Egitto… So da Franco che è capitato che si sia avventurata da sola per le strade de Il Cairo senza paura alcuna. Qualche fotografia di questi viaggi oggi si trova nel suo archivio palermitano, una culla esplosiva di memorie: incontri fortuiti e rispettosi con cittadini mai più visti, testimonianze storiche, bambine palermitane, mamme con figli il cui destino non ci è dato sapere cosa abbia riservato loro.
La storia di Letizia Battaglia
Guardando alcune di quelle foto non si riesce a ricorrere all’immaginazione: pochi giorni fa ho chiesto a mio fratello Matteo, che ha lavorato al suo fianco fino all’ultimo, “Matteo, dove saranno oggi questi bambini dei quartieri disagiati di Palermo?” (relativamente a foto degli Anni Ottanta), per poi sentirmi rispondere “Molto probabilmente non esistono più”.
In quel momento ho sentito freddo. La nonna ha reso iconicamente immortali volti e corpi di persone anonime private di un futuro, di quella stessa linea temporale della vita di cui lei è riuscita a godere fino all’ultimo respiro.
Ma quali ottantasette anni… In quelle, quasi, nove decadi sono racchiusi forse centovent’anni per l’intensità di esperienze vorticose che l’hanno vista protagonista (dal fotoreportage al suo ruolo di assessore a ville e giardini con le mani “nella” terra, passando per il suo ruolo di editore per le Edizioni della Battaglia e come regista teatrale): il viaggio in camper per l’Europa e il Nord Africa è solo la punta di un iceberg.
Ma al di là dei mille ruoli e delle infinite esperienze che hanno formato la personalità di questa donna libera, Letizia è stata anche una madre, una nonna e una bisnonna.
Fino all’ultimo mi sono chiesta, da nipote, come potevo contribuire all’arricchimento di una vita già così ricca come la sua. Potevo, perché ne aveva bisogno. Aveva bisogno che tutto l’amore che aveva dato al mondo le tornasse indietro, la abbagliasse come una luce.
La visione lucida di Letizia Battaglia
Non siamo riuscite a viaggiare insieme in camper, ma abbiamo viaggiato in altro modo: guardando film ‒ fino a due giorni prima un documentario sulla storia del muro di Berlino ‒, raccontandoci confidenze per lei storiche, per me recenti, facendo fotografie insieme.
I giorni precedenti avevo abbozzato un’intervista per lei su questioni inerenti alla società del ventunesimo secolo perché non vedevo la nonna solo come un punto di riferimento sulla storia degli Anni Settanta e Ottanta del secolo e del millennio scorsi, ma come una mente vivace e analitica del mondo attuale, un mondo complesso di cui avrei voluto che lei mi esprimesse la sua visione, sempre aggiornata, lucida e mai anacronistica.
Nel mio ricordo presente, l’emblema della nonna è rappresentato da quei fogli-calendario appesi alle pareti azzurre, il suo guardare avanti anche quando il corpo le suggeriva di fermarsi. Lei non si sarebbe fermata mai e di tutte le frasi che ha potuto pronunciare nella sua vita, fino all’ultimo respiro una frase non ha potuto dire: “Ah, se avessi fatto questo o quell’altro”. Il potere del rimpianto, tipicamente umano, Letizia non l’ha conosciuto.
Tratto da: artribune.com
Foto di copertina © Francesco Caraviglia
Foto interne concesse dall'archivio fotografico di Letizia Battaglia ©
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