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Non mi sono meravigliato di vedere pubblicato un eccellente articolo (semplice ma ricco nel contenuto) su Letizia in un quotidiano uruguaiano. Al contrario, mi ha rallegrato vedere che tutto il lavoro di questa indimenticabile donna siciliana, che ho conosciuto nei primi anni del 2000, a livello mondiale, non era finito nel nulla. L'onda espansiva del suo lavoro da professionista si sta facendo sentire, come omaggio postumo, anche se anni fa, in più di un’occasione c’è stata una esposizione delle sue fotografie qui in Uruguay. Il livello professionale di Letizia è semplicemente una realtà che ha oltrepassato meritatamente l’Atlantico.
Come dicevamo oggi, a poche settimane dalla sua scomparsa fisica, La Diaria di Uruguay ha ricordato Letizia, nella sezione dedicata all’arte, con un titolo più che mai azzeccato, dalla mano della redattrice Manuela Aldabe e che ho molto apprezzato nella convinzione che Letizia non poteva non essere ricordata in queste latitudini. Infatti, in altri quotidiani argentini hanno riconosciuto e dedicato spazi alla sua opera e alla sua persona. Ha saputo guadagnarsi sia a Palermo che  fuori Palermo, affetti e lodi, ma specialmente ha saputo fare tesoro di vite, perché il suo carisma  nell’immortalare in foto  era unico, inedito; e la sua personalità non di meno. Così era Letizia Battaglia, il nostro reporter grafico di un’Antimafia eterna, senza frontiere. Ed oggi, a pochi giorni dal suo ultimo saluto a tutti noi, con la sua gran filosofia di vita, ci sentiamo di condividere con i nostri lettori l’articolo di Manuela Aldabe sopra citato.
Letizia cara, non mi è facile accettare la tua assenza nel mio prossimo viaggio a Palermo, e ti dedico queste righe, scritte da una donna uruguaiana molto eloquente, da questo paese dove vivo da oltre 60 anni. Grazie a te Letizia, per quello che sei stata, e grazie a te Manuela per averla ricordata e condiviso con gli uruguaiani il messaggio, l’informazione, la sensibilità e la storia di questa donna  attraverso la tua  mirabile penna.


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L'arresto del boss Leoluca Bagarella © Letizia Battaglia


La paura non può vincere: Letizia Battaglia, fotoreporter che ha documentato i crimini della mafia

di Manuela Aldabe en Arte
“Se guardo indietro, mi rendo conto di non essere nata una sola volta, la mia storia non è stata una linea retta. Mi sono spezzata e sono ripartita più volte, ogni volta più consapevole di prima. Sono nata come persona solamente quando avevo trentanove anni: è stata la fotografia a reinventarmi come donna, a darmi un’identità, un’autonomia, a farmi superare timori e ostacoli. È stata la macchina fotografica, arrivata nelle mie mani un po’ per caso, un po’ per necessità, che ha aperto le porte di quella prigione interiore in cui ero rimasta intrappolata, facendomi scoprire me stessa e la mia intima libertà”. Letizia Battaglia.

È deceduta la storica fotoreporter Letizia Battaglia, una delle narratrici più importanti del secolo XX, la fotografa antimafia, che ha contribuito alla storia della fotografia. All’età di 87 anni, il 13 aprile di 2022, se n’è andata lasciando alla sua amata Palermo (Italia) oltre 600.000 negativi ed un archivio che lei chiamava Archivio di Sangue. Sono stati scritti molti articoli informando sulla sua dipartita nei quotidiani più importanti del mondo: la BBC, il Washington Post, El País di Madrid l’hanno ricordata per le sue immagini sugli orrori della mafia. Ma c'è una parte di lei che non è stata raccontata e forse sarebbe proprio quella per la quale lei avrebbe voluto essere ricordata. L'artista palermitana difendeva con coerenza i più vulnerabili: nel 1981 scattò le foto del primo Gay Pride palermitano, e nel 2018 fu la madrina della marcia LGBT di Palermo. Sorridente, con i suoi capelli colore rosato, si muoveva in ogni ambiente come se le fosse proprio. È stato un punto di riferimento per il movimento della diversità sessuale.

Violenza in bianco e nero
Battaglia ha documentato con la sua camera i delitti di Cosa Nostra, la bellezza delle donne siciliane, gli ospiti dell'ultimo manicomio palermitano, la povertà di una città alla quale l'Italia voltava le spalle. Il suo linguaggio nel narrare il divario della disuguaglianza sociale siciliana è presente nei contrasti e si esprime nella sua massima potenza  come un obbiettivo grandangolare che riesce a contenere tutto, e dove i paesaggi umani ed urbani approfondiscono la notizia, offrendo un contenuto più ampio di quello che potremo cogliere con un semplice sguardo nella  cronaca nera.

Caterina Coppola, giornalista siciliana che lavorò per il quotidiano L'Ora di Palermo anni dopo Letizia Battaglia, ha raccontato, da Roma, a La Diaria che l’aveva conosciuta a 16 anni. La ricorda come “una persona estremamente gioviale, sorridente, disponibile a conversare con tutti, sia che parli con una ragazza di 16 anni o con  il presidente della Repubblica”. L'immagine che ritrae l’attuale presidente di Italia, Sergio Mattarella, mentre sostiene nelle sue braccia suo fratello Piersanti (allora presidente della regione), assassinato dalla mafia, è una fotografia di Letizia Battaglia. 

“Letizia è stata un simbolo, è stata la prima donna a fotografare le azioni della mafia; è difficile capire da fuori Palermo cosa significa questo: una donna che si faceva spazio a gomitate tra gli uomini che si sentivano autorizzati e legittimati ad essere in una piazza, in una viuzza palermitana nella quale era appena stato commesso un delitto di mafia, era qualcosa di dirompente".

Le sono state conferiti diversi premi, come l'Eugene Smith a New York (la prima donna europea a riceverlo), e l'Eric Salomon Award, ha collaborato con le più importanti agenzie di notizie del mondo e le sue fotografie si trovano nei più importanti musei. Nel 1979 è stata cofondatrice del Centro Siciliano di Documentazione Giuseppe Impastato. Ha fondato anche la rivista di donne Mezzocielo che ha diretto per diversi anni. Consigliera comunale del Partito Verde, è stata deputata siciliana con il movimento Rete ed anche vicepresidente della Commissione Cultura.

“Letizia ha avuto grande difficoltà a conquistarsi quel posto di riconoscimento che meritava per il lavoro che faceva, e lo faceva in un modo completamente differente da tutti gli altri, al punto che le sue immagini sono storiche. Pubblicate nell'unico quotidiano che a Palermo  parlava di mafia, quelle fotografie sono state esposte in molte mostre, meritando grande riconoscimento internazionale, perché lo sguardo di Letizia era assolutamente unico ed originale. Nelle fotografie di Letizia vi era tutta la narrazione sociale ed umana del fatto accaduto, al di là della questione giudiziaria, divenendo determinante nella storia del reportage di cronaca a Palermo, in Sicilia, ed io direi nel mondo”, ha aggiunto Coppola.


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Foto concesse dall'archivio fotografico di Letizia Battaglia ©

La storica fotoreporter ha confessato in qualche occasione che sognava di bruciare i negativi, che sentiva il rumore della plastica mentre bruciava; quelle immagini erano la sua prigione, ma non poteva smettere di farle, questo stava vivendo e lei, comunista, antifascista (come si autodefiniva) usava la fotocamera come strumento di resistenza. 

Cominciò a fotografare quando aveva 40 anni, a Milano, e da allora le sue immagini in bianco e nero, in difesa dei diritti di chi non ne ha, si trasformarono in un francobollo inconfondibile il cui slogan fu sempre: resistere, resistere, resistere.

“In questo paese chi usa la parola 'resistenza' lo fa in forma molto solenne, perché la resistenza è quella dei partigiani che lottarono contro il nazifascismo ribellandosi, che decisero di vivere nelle montagne, armati, e portarono questo paese alla liberazione dal nazifascismo. Quando le persone che hanno una formazione (che non è solo di sinistra, bensì una formazione civica e civile di un certo tipo), dicono 'resistenza', stanno usando una parola molto importante, e Letizia era molto legata alla sinistra storica. Quando lei parlava di resistenza si riferiva a tutte le forme di resistenza che ognuno di noi può portare avanti nel suo piccolo mondo, tutti i giorni, di fronte a qualsiasi ingiustizia”, ha affermato Coppola.

La stampa internazionale la chiamava “la fotografa della mafia” e lei, furiosa, dichiarava sempre di non appartenere a nessuno, tanto meno alla mafia. Ha lottato con la sua macchina fotografica contro la guerra che riempiva di sangue le strade della sua città natale negli anni 70 e 80. Aveva paura, molta paura, e per questo motivo aveva coraggio. Quando si supera la paura, significa fare un salto perché non vedi un’uscita, e Letizia è stata maestra con il suo coraggio. La sua camera, che richiedeva gran vicinanza con il suo obbiettivo grandangolare, la portò una volta così vicina ad un capo mafia che stavano arrestando che, sebbene riuscì a scattare la foto, finì per terra per un calcio. 

 Quando è esplosa la guerra in seno alla mafia, i corleonesi hanno iniziato ad assassinare chiunque si intromettesse tra loro ed il potere: magistrati, politici, giornalisti, rivali mafiosi. Le strade palermitane, negli anni 70, erano un fiume di sangue. Battaglia decise di documentare ogni morte come risposta di fronte alla paura, arrivando a fotografare quattro o cinque omicidi quotidiani nei momenti più duri degli anni di piombo. Nei funerali, tossiva affinché non si sentissi il clic quando scattava la foto.

Lei scattò una foto al mafioso Nino Salvo insieme a Giulio Andreotti, il politico che è stato premier dell'Italia sette volte. Un colpo basso per Andreotti che negava di conoscere il mafioso siciliano che aveva, insieme a suo cugino, la gestione della riscossione esattoriale nell'isola. I cugini della famiglia Salemi facevano parte della buona società palermitana e degli ambienti locali democristiani fino a quando, a metà degli anni 80, il giudice Giovanni Falcone li portò a processo. La foto arrivò alla magistratura ed Andreotti affrontò il processo. Le prove a suo carico risultarono insufficienti, ma la fotografia parla da sola.

La mafia mise a segno un attentato sulla autostrada facendo saltare in aria il magistrato Falcone, amico di Letizia. Un duro colpo per il reporter che sentì di non farcela più. Non aveva mai voluto avere la scorta, benché i giudici gliela avessero proposto, perché pensava che “due mesi dopo avere assegnata la scorta si sarebbe sentita ancora più esposta”. La decisione era un modo di avere più cura di sé stessa. Dopo gli attentati contro i magistrati Falcone e Paolo Borsellino smise di fotografare la mafia e cominciò la sua corsa politica, occupandosi della cultura. Allo stesso tempo la mafia cambiò strategia e smise di ammazzare nomi noti per strada.

Nuove forme della stessa cosa
Con i suoi capelli colorati a sorpresa, tagliati nello stile di Raffaella Carrà, ha dichiarato in qualche occasione che la guerra contro la mafia è stata persa. Tanto lei come Coppola avevano capito che la mafia era cambiata completamente già da molto tempo: ora girano in cravatta. Non sono per strada: ora la mafia è inserita nelle istituzioni. Coppola spiega: “La mafia, rispetto a quando Letizia cominciò a fotografare le sue azioni più crudeli, è cambiata. Da decadi la mafia non è più quella che spara per strada, o nei quartieri, o in piccole guerre di famiglie: la mafia investe nella borsa, la mafia sta dentro le banche, sta nelle istituzioni. Non è un caso che l'Italia abbia una serie molto corposa di leggi intente a resistere all'influenza mafiosa, nell'assegnazione di opere pubbliche come ponti, autostrade ed in moltissime altre situazioni. Lo spettro della mafia è presente ogni volta che si parla di ricostruire un paese colpito da un terremoto; attualmente si trova nel PNRR [Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza] che è un piano che si attua con il denaro dell'Unione Europea per 'risanare' la società dopo gli effetti socioeconomici della pandemia. Si dice che la mafia ha lasciato le armi e adesso indossa la cravatta, ed è la verità. Da decenni non è più una questione siciliana, non è più una questione calabrese né napoletana, è una questione globale”.


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Letizia Battaglia con Paolo Borsellino © Shobha


Ho chiesto a Coppola cos’è la mafia. “La mafia è potere ed oppressione. La mafia è un potere persuasivo, invasivo, che cerca (ed a volte riesce), di sostituirsi allo Stato, e quando capisce che non può sostituirlo, allora cammina al suo fianco. È una forma di potere violento ma che non  si avvale delle armi: una situazione violenta è quella dove tu non puoi vivere la tua vita liberamente e secondo le tue scelte, perché il sistema che ti circonda è basato su una logica mafiosa di fronte alla quale o ti ribelli o ti sottometti. Contro la mafia non ci sono mezzi termini, l'indifferenza non è una scelta possibile, se scegli di essere indifferente stai scegliendo di lasciare campo libero alla mafia; l'indifferenza è una forma per favorirla. È una forma di sottocultura che ti fa pensare che per avere quello che meriti per diritto, non puoi chiederlo come si deve, reclamando quel diritto, ma devi chiederlo a qualcuno come fosse un favore. E quando chiedi un favore a qualcuno per avere quello che ti aspetta per diritto, allora diventi schiavo di quel qualcuno e cadi così nelle sue mani (più o meno, secondo quello che chiedi), ed allora non sei più una persona libera. La battaglia principale che può presentarsi contro la mafia è essere persone libere. Ottenere quello che ci aspetta e che meritiamo per diritto e legge senza essere schiavi di nessuno, essendo persone libere”.

Mostrare quello che nessuno vuole vedere
L'occhio artistico di Letizia è andato oltre la cronaca per raccontare i sentimenti, i paesaggi palermitani nella scena del crimine. Senza colori che distraggano, sono fotografie che hanno contenuto, non solo per la consistenza della notizia bensì perché lei si inseriva dentro la scena. Indubbiamente punto di riferimento del reportage italiano dichiara nel libro ‘Volare alto, volare basso. Conversazioni con Goffredo Fofi’: “I giornali non vogliono oramai che raccontiamo come stanno le persone, i giornali vogliono che contiamo gli immigranti su un'imbarcazione, non i loro sentimenti; vogliono che raccontiamo le notizie senza immedesimarsi dentro. I giornali non vogliono più fotografie come quelle degli anni della Farm Security, le mie foto furono pubblicate, ma non interessa loro oramai pubblicare quel tipo di lavori, la fotografia non è più ricercata dai direttori della stampa che non le pagano, non le apprezzano, non le conoscono, quindi fanno a meno della fotografia. Questa convivenza tra bianchi e neri è una cosa inaccettabile, non possiamo vivere senza la bellezza dei popoli deboli, è inaccettabile”. Il reportage è un genere fotografico che ci obbliga ad immergerci nella situazione, a convivere giorni e giorni in un centro di detenzione di immigranti o in un accampamento indigeno, ci aiuta a ricostruire la storia attraverso le immagini. Le breaking news descrivono solo una notizia. Il reportage ci porta dentro la notizia.

Come le bambine, come i matti
Letizia Battaglia fotografa donne perché cercava sé stessa in loro. Amava i volti delle bambine, l'illusione di essere amate. Raccontava che in loro ricercava quell'ingenuità che aveva perso a dieci anni, il giorno in cui un uomo si masturbò di fronte ai suoi occhi. Il prezzo di quella violenza fu che suo padre, impaurito, non la lasciò uscire più. A 16 anni si sposò, con l'idea di recuperare la sua libertà. Ebbe tre figlie, si separò e, per ritrovare la sua vita, scelse il giornalismo. Andò a Milano. Presto si rese conto che con le foto il suo lavoro sarebbe andato meglio. Era una compagna, una compagna comunista, e così incontrò Pier Paolo Pasolini e gli fece un ritratto così pulito, essenziale e perfetto  come è possibile  che avvenga solo tra due artisti.


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Letizia Battaglia © Franco Zecchin

Nel 1978 fu approvata la legge che proibiva i manicomi in Italia, inspirata da Franco Basaglia. Letizia documentò la realtà dei malati mentali nel manicomio di Palermo. Partiva dal concetto che la pazzia è migliore di molta normalità, e per guadagnarsi la fiducia dei “matti” organizzava attività: cominciò a giocare a palla, organizzava teatro, yoga. I suoi ritratti nel manicomio, gli occhi che guardano direttamente alla camera, sono finestre nell’anima. Era una narratrice che sentiva, che amava attraverso la macchina fotografica. Al riguardo Coppola dice: “Insieme ad un gruppo di fotografi, tra loro sua figlia Shobha, decisero di documentare quello che avveniva nel manicomio di Palermo di Via Pindemonte, perché al di là che la legge Basaglia del 1978 aveva stabilito la chiusura di tutti i manicomi di Italia, il palermitano rimase aperto per altri tre anni, forse perché in Sicilia ci vuole più tempo per adottare le leggi nazionali. Lei diceva che non aveva paura della pazzia. Anzi, abbracciava la pazzia, e così si avvicinò al manicomio di via Pindemonte. Nelle sue fotografie non c'è un occhio che giudica, non c'è  differenza tra lo  sguardo di chi si sente sano e la persona 'malata'; c'è piuttosto uno sguardo di umanità. C'è un tentativo di restituire umanità e dignità alle persone alle quali è stato tolto per una condizione psichiatrica diversa. Non si limitavano a fotografarli, ma entrarono in contatto con quelle persone che erano stati rinchiuse per anni”.

Uno degli ultimi atti creativi di Letizia è stata la campagna di Lamborghini 2020 With Italy, for Italy che causò gran scandalo nelle reti sociali e fu infine censurata dal suo amico Leoluca Orlando, sindaco di Palermo. Fotografie di bambine ed adolescenti nelle strade palermitane con dietro  auto di lusso, color giallo acceso. L'artista fu accusata di presentare immagini “pedofile”, mentre la sua intenzione era mostrare la sua amata città come una bambina. È difficile comprendere l'arte quando ci disturba. Anche Oliviero Toscani, durante le campagne per la Benetton, molestò con le sue fotografie. Ci sta una linea molto sottile tra comunicazione, pubblicità ed arte. Battaglia fu censurata e ne uscì uscì molto ferita da quell'esperienza perché, come lei stessa disse ad attaccarla sono state le donne, mentre lei ha sempre avuto cura di loro, di noi.
Ai suoi 87 anni compiuti a marzo, consigliava alle donne di non abbandonarsi alla vecchiaia, non permettere che i pregiudizi ti mettano “da parte, come se non servissi più a niente o fossi di un'altra storia”. Perché la storia è nostra, in ogni passo, in ogni evento. 

Tratto da: La Diaria del 28 aprile 2022

Foto di copertina © Shobha

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