Molti si domandano che cosa l’Italia debba fare in Ucraina. Per rispondere, bisogna ricorrere all’analogia organica di Herbert Spencer e immaginare l’Unione europea come un corpo vivente. Braccia, mani e gambe svolgono funzioni diverse, ma ogni singolo arto è essenziale al funzionamento di tutto l’organismo. Lo stesso discorso vale per l’Unione europea. La struttura delle relazioni internazionali, emersa dopo la Seconda guerra mondiale, ha assegnato all’Italia il ruolo di potenza di pace. Questo ruolo è stato sancito prima dall’articolo 11 della Costituzione Italiana, che ripudia la guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali, e poi ribadito da una legge del 1990, che impedisce all’Italia di vendere armi ai Paesi in Stato di conflitto armato. Tutto questo significa che l’Italia e la Francia, per citare un solo esempio, sono tenute a svolgere funzioni diverse, per quanto siano entrambe fondamentali al funzionamento complessivo dell’Unione europea nei momenti di crisi.
Senza la Francia, nessun Paese dell’Unione europea saprebbe come combattere efficacemente il terrorismo in Africa. Questo compito ingrato e violentissimo spetta a Parigi e non a Roma. In base all’ordine europeo emerso dopo la Seconda guerra mondiale, spetta ai soldati francesi di andare a morire contro i jihadisti dell’Isis, non all’Italia. La Francia, ma non l’Italia, può avere un seggio permanente con diritto di veto nel Consiglio di Sicurezza dell’Onu, e pure la bomba atomica.
Se gli arti smettessero di svolgere la propria funzione specifica, il corpo si bloccherebbe. È proprio questo il motivo superiore della paralisi dell’Unione europea in Ucraina, resa evidente dal fatto che tutti i mediatori sono Paesi non europei. Una delle ragioni principali per cui nessuno intravede una soluzione alla guerra è perché, sotto il governo Draghi, l’Italia è diventata un arto politico amputato, che ha smesso di svolgere la propria funzione di pace nel corpo dell’Unione europea. L’Italia è una potenza di pace, non di guerra. Nel momento in cui Mario Draghi parla, pensa e agisce come Boris Johnson, che non fa più parte dell’Unione europea, ma che paradossalmente la guida con il suo oltranzismo bellicista, l’esito non può che essere la mancanza assoluta di una prospettiva di pace per l’Europa.
Che cosa dovrebbe fare il governo Draghi concretamente per la pace? Dovrebbe procedere secondo cinque mosse. Primo: ribadita la condanna dell’invasione russa, dovrebbe creare una rottura momentanea in seno all’Unione europea (rompere non è fuoriuscire) e riconoscere che il blocco occidentale ha commesso alcuni errori. Secondo: dovrebbe dirsi disponibile al riconoscimento del Donbass e della Crimea (rendersi disponibile non significa riconoscere). Terzo: dovrebbe risparmiare milioni di euro per le armi all’Ucraina e utilizzare quei soldi per costruire, con la compartecipazione del Vaticano, due grandi ospedali per i civili ucraini mutilati dalla guerra. Il primo per i bambini e il secondo per gli adulti. Tali ospedali dovrebbero essere costruiti al confine settentrionale dell’Italia in modo da rendere più rapido il trasferimento delle vittime ucraine in Italia, e dovrebbero essere denominati rispettivamente “Madre Ucraina” e “Gesù di Mariupol” in modo da saldare il movimento pacifista laico con quello cattolico. Quarto: il governo Draghi dovrebbe annunciare che, una volta terminata la guerra in Ucraina, si impegnerà a fare ciò che Kennedy e Krusciov fecero dopo la crisi dei missili del 1962, ovvero aumentare il livello di fiducia tra l’Unione europea e la Russia attraverso la creazione di una nuova istituzione denominata “Consiglio Russo-Europeo per la difesa della pace”. Quinto: il governo Draghi dovrebbe annunciare di voler costruire un’Unione europea sempre meno armata e amica della Russia, e assicurare che si opporrà a qualunque ulteriore tentativo di espansione della Nato ai confini russi, a partire dalla Georgia.
Tratto da: Il Fatto Quotidiano
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