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La rielezione di Mattarella e la conseguente permanenza di Draghi a capo del governo è stata vista ed elogiata dai vari leaders europei e non solo, come un atto di stabilità politica, a conferma di un ruolo sempre più autorevole che l’Italia sembra avere assunto con l’era Draghi. In Italia per contro tutti i soloni della politica hanno avuto da ridire, tutti hanno parlato di sconfitta della democrazia, di crisi dei partiti e delle loro leadership (Giannini, nel suo deviato catastrofismo, ha addirittura parlato di “rovine fumanti” sulle quali sarà difficile ricostruire). In pratica si è gettato un assist alle divagazioni della Meloni, quasi fossero l’unica analisi possibile.
E’ vero che gli italiani non sono mai stati capaci e seguaci della continuità politica e pertanto ogni occasione diventa la scusa per chiedere cambiamenti o per illudersi che la sostituzione di qualche pedina o di qualche norma possa comportare cambiamenti radicali. La ricerca della novità, spesso illusoria, è una delle tristi eredità del berlusconismo, secondo cui l’importante non è il fare, ma il far credere di fare. Ma è anche una sorta di stimolo o di risposta rispetto alle difficoltà e alle restrizioni in cui ci si muove, soprattutto nei periodi in cui non si può dare piena risposta neanche alle esigenze più elementari.
E così, secondo molte strane letture dei fatti, il sistema partitico, nella sua incapacità di sapere trovare un nome o una “personalità di alto profilo”, si sarebbe accontentato di quello che c’era già, in attesa di tempi migliori, con ogni probabilità intravisti nelle prossime elezioni nazionali. Non è certo un attestato di stima per Mattarella, che ne uscirebbe come il male minore o un ripiego, in mancanza... Pertanto è finito nell’occhio del ciclone Salvini, colpevole di non avere saputo fare eleggere un candidato del centrodestra, e di avere bruciato i nomi di Casellati, di Moratti, di Casini, di Frattini, di Pera. In realtà Salvini ci ha provato in tutti i modi, ma buona parte del Parlamento, compresi molti di quelli della sua area, non hanno voluto saperne. In pratica ha commesso lo stesso errore fatto nel momento in cui mandò in fumo l’alleanza con i pentastellati, ovvero avere la falsa convinzione che era possibile dare la spallata senza averne i numeri. Ed anche stavolta, rendendosi contoche non era il momento, ha ripiegato, come aveva fatto con Draghi, nel nome che garantiva l’unità nazionale in un difficile momento. Non mi pare ci sia nulla di strano né nulla che faccia gridare a presunte crisi: magari tirerà la giacchetta a Draghi per avere qualche bocconcino in più, senza alcuna garanzia che Draghi possa cedere. Sappiamo che nel suo mirino ci sono Lamorgese, Speranza e Castellani. Sul campo pentastellato a Conte si rimprovera di essere stato troppo allineato col PD e nello stesso tempo di avere ”bruciato” il nome della Belloni, che non piaceva al PD, ma piaceva a Salvini. Insomma. anche qua l’ex presidente del Consiglio, trovatosi a reggere il timone di una barca con un equipaggio disordinato e rissoso, ha fatto quello che poteva, rispettando gli accordi col PD e cercando di uscire dall’impasse, senza riuscirsi: la crisi dei Cinque stelle parte da molto più lontano e le uscite di Di Maio sembrano dire che il vero leader del movimento è lui e non Conte.
Si ritiene che anche Draghi ne sia uscito perdente, quando è stato proprio Draghi a contattare Mattarella per convincerlo ad accettare. Coloro che hanno voluto che Draghi restasse al suo posto non avevano tutti i torti, sia perché in questo momento una crisi di governo sarebbe stata catastrofica, sia perché il ruolo di Presidente del Consiglio è quello del timoniere, è quello di colui che ha in mano le leve del potere: altro che sconfitta! Alla Meloni si imputa di non essersi associata al clima di unanimità nazionale e di avere aumentato, da 60 a 90 i voti dati al suo candidato di bandiera Nordio, ma soprattutto si ritiene che voglia sottrarre a Salvini il ruolo di leader del centrodestra, per questo prova a farlo giudicare un “perdente”. Dietro Meloni c’è un fascista di lungo corso, La Russa, che è l’autentica anima nera dei fratelli, cugini e cognati d’Italia. I berluscones, scornati dalla loro stessa protervia nell’appoggiare la “resistibile” corsa al colle del loro leader, tanto per salvare la faccia, vogliono far credere che artefice dell’elezione di Mattarella sia stato addirittura lo stesso Berlusconi, dalla sua stanza al San Raffaele. Siamo sempre nel “far credere”. Ma c’è chi si spinge più avanti inventandosi fantapolitiche alleanze di Letta con Renzi e Berlusconi per la costruzione di un centro dal sapore democristiano. Si potrebbe continuare a scavare in questo clima di persistente conflittualità che sta finendo per scambiare come crisi di sistema quella che è una normale dialettica e una normale caratteristica italiana delle forze politiche. In conclusione non c’è stato alcun momento di crisi dei partiti e della politica, anzi si è avuto il suo trionfo, con un saggio ripiegamento in una soluzione che accontenta tutti e, primi fra tutti gli italiani. Non sono scesi nel clima di “resa dei conti” il PD, autentico vincitore della partita, Liberi e Uguali di Speranza e lo sbruffoncello di Firenze, al quale va il merito di avere portato alla ribalta Mattarella sette anni prima. Sembra invece che, proprio nel nome di Mattarella e di Draghi tutto si ricomporrà rapidamente, tutto sia stato una manifestazione fisiologica della italica politica, e si andrà avanti, senza esclusione di colpi, alle prossime elezioni, per le quali la campagna elettorale è già partita, e che presumibilmente, a meno che non si cambi questa sciagurata legge elettorale, il prossimo governo vedrà il centro destra dilagare, perché è lampante che, a parte le piccole beghe interne, a destra, nei momenti decisivi sanno stare uniti, a sinistra sanno stare divisi. A questo punto davvero Mattarella non avrebbe più motivo di restare.

Foto © Imagoeconomica

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