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Il 19 gennaio 2022 è il suo onomastico.
È domenica, ma Mario è in ufficio… a studiare il processo denominato “Lo scandalo dei petroli”.
Il nuovo palazzo di giustizia del 1974 conserva il cortile interno, con il portico colonnato e lo scalone monumentale, dell'edificio settecentesco dell'ospedale di Pammatone, ma è fasciato da vetro, metallo e cemento in un connubio di luce remota e futura.
A Mario intriga, in pochi metri si percorrono secoli! E gli piace affidarsi alla stanza moderna, distaccata, fredda proprio perché l’attimo dopo può godere della superba, sensuale, antica architettura. Ci lavora volentieri, anche per i ricorrenti break visivi fra abrogato raffinato e vigente grezzo ma fecondo, soprattutto quando non ode transiti vocianti, carrelli appesantiti da vicende criminali, silenzi prontamente rimossi. Preferisce i bui fiochi dei pomeriggi invernali e delle laboriose ore notturne in attesa dell’atto decisivo, dell’intuizione determinante, del cerchio che si chiude.
Si accorge che la testa penzola e gli occhi arrossati reclamano un cuscino sognante.
Ma, mentre comincia a raccogliere i fogli che ondeggiano sulla scrivania, ne fissa uno, con l’intestazione accattivante. È la svolta!
È una lettera! Dell’associazione petrolifera nazionale! È diretta a quella ligure: “Ci siamo accordati con i partitiper dare loro questa somma. Tutti hanno pagato; solo voi no. Volete versare la vostra quota?”.
È una prova documentale della corruzione fra petrolio e politica!
Mario è eccitato! Nei suoi trentacinque anni non ha mai provato quell’emozione, non statica ma dinamica: una simbiosi in evoluzione fra gioia, leggerezza subito gravosa, responsabilità preoccupante, paura, inquietudine… Lui, il giudice, Mario ha le qualità per istruire un siffatto processo? le capacità per reggere un fardello così enorme ed informe? E il coraggio per incriminare ministri e deputati? Proprio il coraggio in quell’istante s’è rifugiato nell’andito più recesso del suo stomaco e lo ammonisce con una nausea mista a impercettibili conati.
Il tutto dura un oggettivo nanosecondo, una soggettiva era glaciale. Mario si tocca braccia e gambe e respira calmo. È o non è il giudice ragazzino che all’ultima assemblea dell’associazione magistrati si è beccato applausi convinti e prolungati? “Fino ad ora la gran parte della magistratura non è stata proprio indipendente. C'è stata una specie di coesione di tutta la classe dirigente del Paese, dai politici ai magistrati, ai professionisti, agli imprenditori, ai funzionari pubblici. Per cui, se si è accusato un giudice, o un medico, o un sindaco, si è teso a coprire. Ma nella base della magistratura si estende la voglia diindipendenza in attuazione della Costituzione. È il momento di non guardare più in faccia a nessuno. È tempo di procedere anche contro i potenti, senza nessun timore reverenziale!”.
Queste parole gli pulsano nelle vene e, se non gli infondono una solida fermezza, almeno neutralizzano la paura e le impediscono di paralizzarlo, di condizionare le sue scelte.
L’indomani avrebbe preso in giro i colleghi di ventura Adriano Sansa e Carlo Brusco: “Leggete un po’! Grazie alla taccagneria di voi liguri scopriremo i santuari dello scambio di mazzette. Siete avari anche quando dovete pagare le tangenti!”. “Ma stai zitto, sardo scorbutico!” gli avrebbero risposto.
Ma è già domani, alle 7.00 bussa il custode.
È come un secchio d’acqua fredda sul viso. Le energie si arrampicano per i polpacci, il fegato, il cuore, la mente.
“È già qui, dottor Almerighi?”.
“Sì, ci sono dolci zanzare che volteggiano…” accenna in confusione Mario.
“Mi faccio il caffè, ne vuole anche lei?” taglia corto il custode, depositario delle sue ripetute veglie.
Mario non è ancora consapevole di essere uno dei primi “giudici d'assalto”, quelli veramente e finalmente indipendenti. Spontanei e non organizzati si diffondono a macchia d'olio. L'indipendenza preme forte come il vento e negli anni ’80 sono tanti i processi contro persone influenti. La gran parte non arriva a conclusione, perché, se sono indipendenti i giudici, non lo sono ancora i capi degli uffici giudiziari. Salvo eccezioni comequello di Falcone e Borsellino... il maxi-processo si fa non solo per loro, ma anche grazie al capo indipendente: Antonino Caponnetto.
Mario non conosce ancora Susanna che sarà sua moglie.
Non conosce ancora Valeria che sarà sua figlia, né Dario che sarà suo figlio... né me che sarò il suo fratello minore: mi trasmette la sua utopia: sperare non è solo logico, ma vitale, perché ci obbliga all’impegno, ci rende felici già mentre sviluppiamo l’azione, a prescindere dal conseguimento dell’obiettivo... imparo osservando il suo agire, il suo trasformare ogni vittoria in umile tassello, ogni sconfitta in nuova energia, perché il bene sa vincere anche perdendo.
Quella notte però Mario c’è già tutto. È l’espressione dell’umanità in divenire.

Foto © Imagoeconomica

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