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La sede era ubicata a Terrasini, in via Vitt.Eman. III al n.108. Si trattava di una vecchiacasa messa a disposizione dal sig. Bommarito, padre di uno dei compagni, che aveva, di rimpetto un negozietto di alimentari: se ne serviva per mettere a stagionare i caciocavalli interi, appesi a una sbarra, con corde penzolanti, quasi fossero forche. Non sono sicuro, ma credo che fosse stato concordato un prezzo minimo d’affitto. Al pian terreno c’era una stanza con un arco che la separava da una piccola alcova interna e una porta molto vecchia con volta ad arco, che non veniva aperta quasi mai, in quanto si accedeva alla stanza dal portoncino attiguo, che si apriva su una scala con mattoni smozzicati, che portava al primo piano.


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Ci servimmo di questa stanza per alcune assemblee in occasione della preparazione e della partecipazione alla campagna elettorale per le amministrative del 14 maggio 1978. In quella occasione il gruppo era diviso tra coloro che rifiutavano qualsiasi “ingresso” nelle istituzioni, per non rendersene strumento, e coloro che invece propugnavano la partecipazione elettorale per non disperdere i voti del gruppo, per non affidarli comunque al PCI, che già in passato ne aveva fatto cattivo uso, e per disporre di notizie più documentate su quel che succedeva nel palazzo di città. Tra questi Peppino che, pur esendo minoritario, riuscì a far passare la sua linea e ad occuparsi di tutte le incombenze burocratiche.  La campagna elettorale sarebbe stata un buon canale di denuncia e di diffusione delle speculazioni politico-mafiose, anche con il supporto della radio. Tra le due porte del pianterreno c’era una “fiuredda”, cioè una nicchia che una volta doveva avere accolto una illustrazione della Madonna.


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A metà scala c’era una porticina che si apriva su una sorta di sottoscala, adibito a deposito di scartoffie. Al primo piano si accedeva attraverso un’alcova interna, simmetrica a quella del pian terreno, dove era stata sistemata una piccola libreria, una vecchia radio e alcune sedie: si accedeva alla stanza di lavoro, che riceveva luce da  una persiana con un balcone, dove era appesa l’insegna: a sinistra, all’angolo, una vecchia poltrona dove Peppino amava spesso stendersi, a destra una scrivania con al muro una sorta di pannello in cui si appendeva il palinsesto di lavoro del giorno e della settimana. Tra i vari manifesti che costellavano la parete dipinta in calce azzurra e umida, spiccava quello delle donne partigiane  armate di  mitra. La stanza di trasmissioni radio, era divisa da una parete in legno che comprendeva una vetrata per poter seguire e guardare i compagni in onda senza disturbare ed una porticina posta sulla destra per entrare, dove erano sistemati: un mixer, due giradischi, il registratore-mangianastri, un microfono e il trasmettitore. Inoltre vi era appesa una sirena da Ambulanza che Faro aveva procurato presso l’ospedale di Carini che veniva utilizzata spesso negli sketch di Onda Pazza.


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L’ambiente era stato insonorizzato con  cartoni per uova e polisterolo. Sotto la consolle c’era spazio per i dischi e per le cassette, sistemate comunque in un’improvvisata scaffalatura attaccata alla parete. Una finestra dava luce alla postazione. Si saliva poi sul terrazzo, dove era stata sistemata l’antenna e dove, nella stanzetta d’accesso c’era di tutto, in particolare secchi, scope e manifesti. La casa fu disponibile sino all’estate del 1980: dopo la chiusura della radio i pezzi vennero smontati, e le varie attrezzature finirono nelle case di qualche non identificato compagno e la casa rimase in uno stato di abbandono sino a quando l’attuale proprietaria non ha deciso di ristrutturarla. Unica testimonianza rimasta è una lapide della quale lo scritto  il testo, realizzata da Filippo Palazzolo, un compagno ceramista, che venne affissa nel 2003.

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