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Dopo nove lunghi giorni di agonia, Peter de Vries, il giornalista olandese è morto. Ho collaborato con lui sul tema delle infiltrazioni mafiose che riguardavano il Recovery Fund europeo. Sposò subito la mia teoria sul fatto che a rischio non erano solo i fondi destinati all’Italia ma anche quelli di molti altri Stati membri tra cui anche l’Olanda. Non l’ho conosciuto personalmente, ma, purtroppo, come accade oggi, solo tramite un freddo collegamento telematico. Mi parlò del ruolo delle mafie in Olanda e dei narcotrafficanti che ormai dominavano la scena criminale nei Paese Bassi. Convenimmo sul fatto che l’Olanda fosse strategicamente interessante per la criminalità organizzata legata al narcotraffico internazionale, con porti di transito come Rotterdam e Amsterdam, e di come il suo Paese fosse anche un ottimo luogo dove riciclare denaro sporco attraverso il turismo e le infrastrutture a esso connesse. Gli dissi che in Europa siamo indietro di molti decenni nella lotta alle mafie transnazionali e gli promisi che lo avrei messo in contatto con il mio amico Franco Roberti, ex procuratore nazionale antimafia in Italia, poiché era tra i magistrati viventi più competenti in materia di criminalità organizzata. Ci salutammo con un mio “quasi” rimprovero: “Voi sottovalutate troppo cosa sia realmente la nuova mafia e di cosa sia capace”. Quando seppi del suo attentato, fui davvero incredulo. Per quel poco tempo nel quale ci siamo confrontati, mi sembrava tranquillo ed entusiasta del lavoro che stava facendo. Oggi apprendo la brutta notizia della sua morte e il mio pensiero va a Peppino Impastato, Pippo Fava, Mario Franzese, Mauro Rostagno, Beppe Alfano, Mauro De Mauro, Giancarlo Siani e a tanti altri giornalisti che hanno semplicemente svolto il loro lavoro con onestà e senso di verità. Oggi è un brutto giorno e ci arriva un segnale ancor più deleterio: parlare di mafie è pericoloso, si rischia la vita!

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