L’arresto di Giuseppe Calvaruso, ritenuto capo del mandamento di Pagliarelli, è una nuova, quasi provvidenziale occasione di riflessione per quanti in questo momento si occupano degli strumenti di prevenzione e contrasto alle mafie.
Prima di entrare nel merito del contenuto di una delle intercettazioni rese disponibili alla lettura, una sottolineatura di metodo: la presunzione di innocenza fino a sentenza di condanna definitiva è un principio costituzionale fondamentale che dovremmo avere tutti metabolizzato e che dobbiamo sempre tenere presente (ben vengano le direttive europee a ribadire questo caposaldo), proprio quando ci formiamo una opinione a partire da atti che sono soltanto tappe di un lavoro molto più complesso, che porterà alla definizione certa di una eventuale responsabilità penale. Ma non di sola responsabilità penale vive l’uomo! Oltre al penalmente rilevante, esiste il moralmente ripugnante, esiste il politicamente inopportuno, esiste il socialmente pericoloso… Ed esistono i modi attraverso i quali ci si può formare una convinzione e tra questi c’è senz’altro la pubblicità degli atti di una indagine giunta ormai ad una fase nella quale legge e circolari chiariscono cosa si debba pubblicare e cosa no.
E così arrivo al contenuto di una delle intercettazioni rese pubbliche nel quale si ascolta un indagato sostenere: “A Brancaccio comandano ancora i Graviano, tramite un loro cugino”.
Vero? Falso? Lo stabiliranno i magistrati. Ma considerate le circostanze in cui viene espressa questa opinione, circostanze che descrivono quantomeno una certa intraneità degli indagati al contesto mafioso palermitano, in tal senso militando almeno le precedenti condanne definitive, dovrebbe accendersi nella mente dei decisori pubblici la spia rossa dell’allarme. L’allarme che dovrebbe indurre a maneggiare con molta prudenza quegli istituti piazzati dallo Stato (con grande sacrificio) a tutela della libertà dei cittadini e della qualità della democrazia.
Qualche esempio.
I Graviano stanno in carcere da oltre 25 anni e pare siano carcerati modello. Filippo sembrerebbe addirittura pronto a dissociarsi da Cosa Nostra pur senza aver mai collaborato. E tuttavia da questa intercettazione, si ricaverebbe che il controllo mafioso su Brancaccio faccia ancora riferimento a loro. Ecco una ragione per la quale, ad oggi (!), l’unico comportamento che lo Stato apprezza per valutare la rottura del vincolo associativo tra mafioso ed organizzazione sia la collaborazione con lo Stato, che, ricordiamolo ancora una volta, deve comprendere la rassegnazione delle ricchezze accumulate attraverso l’attività criminale.
Le pietanze succulente fatte arrivare in carcere ai detenuti mafiosi per dar loro un segno della continuità del sodalizio e del prestigio che ne deriva. Ecco una delle ragioni a sostegno del 41 bis dell’Ordinamento penitenziario, così detto carcere “duro”, che invece dovrebbe più opportunamente essere definito “carcere impermeabile” in entrambe le direzioni, cioè dall’interno verso l’esterno e viceversa, utile ad impedire al mafioso, tra le altre cose, di ostentare il proprio rango criminale all’interno della comunità carceraria.
L’ordine pubblico sul territorio fatto rispettare dal sodalizio mafioso, con tanto di punizioni esemplari ai danni di ladri non autorizzati. Ecco, quando si dice che la mafia è una specie particolarissima di criminalità organizzata, potenzialmente eversiva dell’ordine democratico, questo si intende. Per questo sono così importanti il 416 bis ed il 416 ter, ma altrettanto le misure di prevenzione patrimoniali che prosciugano la ricchezza esibita spesso sui territori.
Certo che non basta, ma intanto guai a disperdere questo patrimonio. Non basta, perché a fronte di tutto questo lavoro di prevenzione e contrasto delle organizzazioni mafiose, serve continuare in un altrettanto tangibile lavoro di promozione dello Stato sociale e di diritto che possa rappresentare una alternativa credibile soprattutto a chi vive certi contesti. Ecco perché sono così importanti, tra gli altri, il riutilizzo sociale dei beni confiscati e gli interventi a sostegno degli imprenditori onesti in crisi economica che evitino la trappola dell’usura. Il Ministero dell’Interno fa un lavoro insostituibile su questi assi, ma serve una regia maggiore con altri Ministeri perché questa strategia diventi sempre di più una priorità del governo tutto.
Tratto da: ilfattoquotidiano.it