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Non è pratica inusuale che Cosa Nostra cerchi di utilizzare quelle strategie che gli consentano di ottenere dei benefici penitenziari senza dare in cambio nessun contributo concreto allo Stato.
Ma la situazione si può far ancora più complicata quando è lo Stato stesso che permette che tali strategie possano essere attuate a discapito della difesa dei valori Costituzionali.
L’ex magistrato Gian Carlo Caselli si è espresso al riguardo con un articolo pubblicato sul Fatto Quotidiano, in cui commenta la decisione dello storico capo mafia di Brancaccio Filippo Graviano di volersi dissociare da Cosa Nostra senza però accusare nessuno dei suoi sodali e non prendendo nessuna posizione favorevole alle attività della magistratura.
Per il boss di Brancaccio quindi la dissociazione è una sorta di tentativo per aprire un percorso che coinvolga altri soggetti al fine di far venir meno il regime carcerario duro (41 bis), l’ergastolo, le confische di beni per ottenere più benefici. Un esempio lampante è il caso di Antonio Gallea, mandate dell’omicidio del giudice Rosario Livatino, condannato all’ergastolo, che dopo aver beneficiato di numerosi permessi premio e della semilibertà ne ha approfittato per riallacciare rapporti con i suoi sodali ed è tornato a occupare posizione di rilievo all’interno dell’organizzazione. L’ex magistrato sottolinea che lo Stato dovrebbe reagire a queste iniziative con una logica di mero pragmatismo e non seguendo un percorso ideologico astratto.
Infatti lo status di “uomo d’onore” non ha nessun altro modo di cessare se non con una concreta e attiva collaborazione processuale.
Detto in altri termini, non possono lasciare da soli i giudici di sorveglianza a decidere su una cosa così delicata come quella della concessione dei benefici penitenziari a detenuti al 41 bis, poiché tale concessione dovrebbe includere elementi che dimostrino l’impossibilità del detenuto di riaprire contatti e attività con l’organizzazione criminale di riferimento. Inoltre i magistrati di sorveglianza, oltre a correre un rilevante rischio, sono sottoposti ad una forte esposizione e ad un incisivo carico di responsabilità.
Certamente qualcosa è cambiato da quando due sentenze - una della Cedu pronunziata il 13.06.2019 e una della Corte Costituzionale del 23.10.2019 (con Marta Cartabia come presidente n.d.r) - hanno esteso i benefici penitenziari anche a chi è stato condannato all’ergastolo per reati di mafia, come ad esempio le stragi, causando una vera e propria “spallata all’ergastolo ostativo con evidenti ripercussioni sul pentitismo”.
Si possono ancora udire le parole del defunto boss di Cosa Nostra Salvatore Riina il quale diceva che si sarebbe “giocato anche i denti” per annullare la legge sui pentiti e il 41 bis, lo Stato deve adoperarsi e prendere le dovute misure per evitare che tali propositi diventino concreti.

Foto © Imagoeconomica

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